Quello che temevo contenesse il primo, lo contiene in toto il secondo.
Probabilmente è uno mio problema, ma il cosidetto cinema estremo, perlopiù, mi crea assuefazione, mi annoia, non mi emoziona, mi lascia totalmente indifferente, tra inedia e monotonia.
La raffinata morbosità del
primo capitolo va a farsi benedire e il talento figurativo di Six viene offuscato (tranne qualche momento ben assestato) da una marea olezzosa di liquami organici (diarrea, succhi vaginali, sangue, saliva sputacchiante e sozzure varie), autoerotismo deviato (la masturbazione con la carta vetrata alla Albert Fish), dalla componente eccessivamente ultrasplatter (denti spaccati a martellate, tendini del ginocchio recisi, lingue strappate, gole squarciate, natiche asportate con conseguente emoraggia, bocche graffettate malamente e rudemente sul sedere, devastazioni orali ) e da un'atmosfera troppo sudicia, laida e degradata che sembra studiata a tavolino giusto per rincarare la dose di perversione e depravazione, solitudine, marciume e alienazione mentale (amplificata dall'ottimo bianco e nero).
Six calca la mano fino alle estreme conseguenze (e questo è il suo difetto principale), lasciando fuori quanto di sorprendente c'era nel primo, andando giù pesante , senza remore, con parafilie di ogni risma (onanismo, sodomia, abusi sessuali genitoriali, fellatio di prostitute a esseri abbietti) che alla lunga diventano stucchevoli, così come l'ultima parte nel capannone degli orrori (senza dialoghi ma solo con la sonorità dei lamenti delle vittime ridotte a un grottesco millepiedi fai da te), troppo dilatata e insisitita sul sex and violence fine a se stesso, che più che impressionare o disgustare, ottiene l'effetto contrario e cioè monotonia e indifferenza (che ti viene da affermare: "Si, ok Tom, ma anche meno"), dove dandoci dentro, Six, si impantana addirittura nel ridicolo involontario e nella pagliacciata sguaiata (il lassativo che nemmeno il
Gian Burrasca di Pingitore-mancava solo il coretto "Urrà, urrà, urrà"-, l'imbuto rettale
sadiano dove finisce la scolopendra e la donna incinta che fugge, nuda, sprizzando sangue tra le gambe, per poi partorire in auto, maddai!).
In mezzo a cotanto fracasso carnoso esagerato, Six mette a segno alcune idee geniali, come il meta cinema post
craveniano (l'ossessione morbosa di Martin per
The Human centipede, tanto da custodire gelosamente un faldone con i ritagli del film, che si guarda sul PC fino allo spasimo, mandandolo avanti e indietro, soffermadosi su alcune scene, studiandone i minimi dettagli, così come la passione malsana per l'attrice del film, Ashlynn Yennie, attirata con l'inganno pensando di lavorare per Quentin Tarantino
, che spiega a Martin come sul set di
The human centipede gli attori si dovevano fare la doccia prima di girare la scena del millepiedi umano, visto che la bocca sfiorava il sedere
, evitando così spiacevoli inconvenienti maleodoranti) e il rapporto
psychosissimo con mammà, totalmente impazzita, che da il via a un folle rapporto edipico che sfocia in isteria e teste sfondate come nel miglior
Herschell Gordon Lewis.
Parafrasando uno dei signorotti del
Salò pasoliniano (che qui Six amplifica a dismisura) "tutto lè bello quando lè eccessivo", ma in questo caso il troppo "extreme" stroppia.
Nettamente inferiore, sotto tutti i punti di vista, al gioiellino che lo precede.