Pronti via con campo-controcampo di una donna che vede il marito precipitare dal balcone: ed è subito una scheggia di bel cinema. Il film, seppur a folate, gode di belle suggestioni visive - aiutato da fotografia, colonna sonora e un montaggio decisamente di rilievo. Difficile, allo stesso tempo, negare che l'indagine della mascolinità tossica costringa il film ad avvitarsi su una reiterazione di dinamiche-archetipo dallo stampo programmatico (il camaleontismo del bravo Kinnear o la partenogenesi dell'uomo dentro l'uomo). Poco curata la prospettiva del reale/immaginario, oltretutto.
MEMORABILE: La scena iniziale; Il tunnel (eco e sagoma); L'uomo verde attorno alla casa; La mano "divisa" che stringe il collo; La partenogenesi finale.
Una londinese affitta una villa in campagna per elaborare la morte del marito: sarà al centro di situazioni surreali. Sorta di film visionario, con sfumature drammatiche e angoscianti (soprattutto nella parte finale). Location mozzafiato. Regia di Alex Garland sofisticata, come la fotografia. Jessie Buckley si conferma attrice di buon livello. Tendenza a salire.
Visivamente e uditivamente parlando il film ha un fascino innegabile. Garland padroneggia magistralmente sia le immagini sia la partitura sonora che è anch'essa notevole. E anche narrativamente parlando la prima parte funziona bene: sa creare interesse, sa incuriosire e coinvolgere lo spettatore. Nascono invece perplessità quando a un certo punto l'iniziale nebbia del significato inizia a diradarsi approdando verso lidi banali. Funziona, sebbene un po' ripetitivo, il "mostruoso" finale (con tanto di body-horror), non così enigmatico come potrebbe sembrare. Notevole Kinnear.
Ai maschi innamorati come te quali emozioni, quali bugie. Eh, i danni delle tossine relazionali con radionuclidi psichici a decadimento zero! Congiunzione astrale, anzi astrattista, tra repulsioni a trasognata mis(t)ura di occultista e il body horror ripensato da un evaso dal manicomio criminale o da un neoespressionista incipriato di polvere d'angelo. Facendosi largo a visive pedate che son passaporto per il walkout, Garland fa sbocciare suoni e conflagrare colori, forgia un neofolk horror sull'apocalisse gestionale dei sentimenti. Ovazioni al multi-Kinnear, lanci di rose a Buckley.
Una donna si rifugia in campagna dopo la morte del marito. Alex Garland costruisce un racconto fatto di sentimenti contrastanti, atmosfere inquietanti e trovate grottesche. L’uomo e la maschilità tossica (?) come entità sovrannaturale gravida di artefatti organici, matrice quasi-algoritmica che deforma la realtà circostante. O qualcosa del genere. Più di ogni altra cosa rimane il dubbio (e la sensazione) di avere davanti un progetto ambizioso ma incompiuto, un tentativo di "elevazione del genere" messo a segno con elementi già collaudati di una politica produttiva riconoscibile.
Mystery soprannaturale che parte da presupposti interessanti, creando un certo clima bizzarro e sinistro nella prima parte, con personaggi ambigui quasi a ricordare il classico The wicker man o Calvaire a gender ribaltati; ben presto però risulta palese l'ennesimo tentativo di fare un film apertamente femminista, in cui persino l'ultima parte da body-horror viene sfruttata in modo da veicolare l'idea che gli uomini siano tutti fatti della stessa mostruosa pasta. Buoni il cast (soprattutto il trasformista Kinnear), gli SPFX e la fotografia ma film di un servilismo woke ripugnante.
La morte del marito ossessivo e l'affettività ricattatoria spingono Harper a rifugiarsi in una località di campagna per disintossicarsi dall'evento e da un senso di colpa che l'attanaglia; ma il pregresso si rifà vivo sotto forma di incubo ad occhi aperti. Un horror visibilmente a tesi, sull'irredimibilità del maschio. Un impianto dal sapore misterico con la sua bella dose di cripticità funzionale al tema portante. Brava come al solito la Buckley e impressionante l'abilità di Kinnear di impersonare l'universo maschile. Ottimo uso degli SPFX, specie nel crescendo finale.
MEMORABILE: L'incrocio di sguardi durante la caduta e il corpo straziato dalla cancellata; La mano divisa in due; L'orrido "parto" finale.
Per riprendersi dalla morte del marito da cui stava divorziando, una donna affitta una villa isolata in una località amena presso un villaggio in cui tutti i maschi hanno la stessa faccia... Nella prima parte, magistrale l'abilità del regista di rendere il senso panico della natura, ma in seguito l'apologo contro il maschilismo tossico prende il sopravvento mescolandosi con il folklore nordico dell'uomo verde e il racconto va alla deriva per diventare sempre più criptico. Nel complesso, originale e fascinoso per immagini e suoni quanto narrativamente irrisolto e perplimente.
MEMORABILE: La passeggiata nel bosco; L'eco; Kinnear nudo, ragazzino e prete; La mano biforcuta stretta attorno al collo; La mostruosa partenogenesi multipla.
Dopo aver perso il marito violento e suicida trascorre una vacanza nella campagna inglese ma troverà inquietanti figure maschili. Ambientato nell'Inghilterra rurale con tutte le caratteristiche tipiche (il cottage, i prati verdissimi, la chiesa gotica, il pub, il bosco) e un’atmosfera da romanticismo/gotico, inizia con uno stalking concreto, dopo la metà assume toni mistici per poi divenire visionario, con simbolismi dalle caratteristiche visive estreme e sanguinarie che fanno emergere il conflitto interiore/esteriore della protagonista. Qualcosa è successo veramente, ma che cosa?
Per riprendersi dallo shock di aver assistito al suicidio del marito James (Essiedu), estrema esternazione di una relazione tossica, Harper (Buckley) si regala una vacanza in solitaria in uno sperduto villaggio del Leicestershire. "Solitaria" si fa per dire, perché i villici, maschi dalle fattezze tutte uguali, sembrano da subito adocchiarla... Alcune sequenze piuttosto inquietanti (il ribaltamento inseguitore-inseguito nel tunnel; l'assedio al villino) non riescono a riscattare la predicibile trasparenza di un manifesto di genere convenzionale anche nella sua simbologia folk horror.
MEMORABILE: Il morso della mela; Presenza inaspettata all'altro capo del tunnel; L'assedio al villino.
Il limite del film è racchiuso nell'ostentazione della sua metafora (la mascolinità tossica), che sembra denunciare il timore di Garland di non far arrivare al pubblico il senso del film. Escluso questo problema, non di poco conto, "Men" è però ricco di situazioni suggestive e si inserisce con modernità nel genere del country horror inglese. Il crescendo orrorifico finale è molto potente e il dialogo conclusivo ha una sua tragica ironia che lascia il segno.
Donne, se il vostro uomo è un narcisista patologico, vi colpirà, vi ferirà e non potrete fare altro che emendare tanto dolore. È la natura primordiale a metterlo sulle vostre tracce, non per avere un figlio da voi, ma riprodurre se stesso ad libitum. Ecco. In sostanza, un service per il movimento neofemminista, che spiega troppo (la partogenesi) o troppo poco (cosa è accaduto concretamente?), e quindi costringe a farsi ripensare, senza riuscire però a farsi rivalutare: cinema predigerito e apparecchiato, specchio dei tempi correnti, certo, ma come horror rimane un bidone colossale.
Alla terza prova Garland si conferma regista di talento, portando in scena la sua idea di machismo e di patriarcato. Se la narrazione nella prima parte è piuttosto classica, nella seconda abbandona il racconto e diventa principalmente strumento per veicolare un messaggio. Tutti i personaggi hanno la stessa faccia e rappresentano gli aspetti più deteriori del "maschio", in un crescente incubo che culmina con una memorabile partenogenesi dalle atmosfere cronenberghiane. Molto bella la colonna sonora, compresi gli inquietanti vocalizzi nel tunnel.
Quando uscì il trailer di "Men" non si capiva praticamente nulla. Dove voleva andare a parare Garland? Dopo la visione del film sono emerse critiche spietate per apologia al neofemminismo. "Men" è invece un grandissimo film, a cominciare dalle performance eccezionali della Buckley e Kinnear. Certo ancora una volta la mascolinità viene raccontata con durezza, ma la qualità del film permette di soprassedere. A volte misterioso e ricco di inquietudine, altre volte folle e spietato. Ma gli uomini non sono tutti uguali.
Il folk horror secondo Garland è un interessante, seppur non del tutto riuscito, thriller psicologico femmineo che vede la bravissima Buckley confrontarsi coi propri demoni maschili, tutti personificati da un altrettanto encomiabile Kinnear (oltre che impressionante sotto un profilo interpretativo, la "clonazione" dell'attore eleva il clima perturbante della pellicola a livelli esponenziali). Dopo un setup lento ma angoscioso, se non terrorizzante (l'eccezionale sequenza del tunnel), l'ultimo atto si perde nell'enigmaticità allegorica. Ottimo, comunque, il metamorfico delirium gore.
MEMORABILE: Il suicidio al ralenti con sguardi dei coniugi che s'incontrano durante la caduta; L'eco nel tunnel che si fa colonna sonora; L'uomo nudo in giardino.
Bisogna pazientare qualche minuto prima di capire il senso generale dell’opera e godere, di rimando, della forza che è in grado di sprigionare. L’elaborazione di un trauma rappresenta il filo conduttore, anche se l’origine va ricercata nei rapporti di coppia disfunzionali. La trasfigurazione in chiave horror è quasi inappuntabile, riuscendo Garland a suscitare inquietudine e angoscia, senza dimenticare la componente psicologica. Indovinato, inoltre, il richiamo all’uomo verde, il cui alone ancestrale e pagano ben si cala all’interno dell’incubo della protagonista.
MEMORABILE: L’albero di mele; I volti maschili; I parti sequenziali.
Se si valutasse solo la confezione (fotografia, musica, suono, cast ed effetti) il film varrebbe almeno quattro pallini, ma un'estetica impeccabile non è nulla senza una storia sensata accanto. Quest'opera equivale purtroppo a un meraviglioso scrigno dorato vuoto; fine a sé stessa e dilatata oltremodo, esageratamente diffamante verso il genere maschile e priva di reali messaggi o significati all'infuori di una sfacciata propaganda ad uso e consumo del femminismo più becero. Un lavoro a parti invertite avrebbe fatto gridare allo scandalo da ogni dove. Urticante e opportunista.
MEMORABILE: La sequenza nel tunnel, con l'eco che diventa colonna sonora (eccezionale il suono); In negativo, il parto plurimo (al terzo ha già stancato).
Incipit davvero notevole per questa nuova prova di Alex Garland, magistrale nel tessere l’atmosfera di inquietudine che monta intorno alla (brava) protagonista, isolata nel suo buen retiro di campagna. Nella seconda parte, però, il film prende una piega fin troppo allegorica e crolla sotto il peso di simbolismi molto facili, per sfociare in un’orgia di body horror che rasenta il ridicolo. Comunque meritevole di una visione.
Garland ci aveva deliziato con un bell'esordio e il gusto visivo lo ha conservato, come anche la capacità di echeggiare note suadenti. Tuttavia la solidità del primo racconto qui pare dissolversi in nome di una prima parte fascinosa nei colori ma troppo ricercata e attendista. Seguita da un horror bizzarro che recupera una genesi particolare (il conflitto col marito fuori di testa) e si riproduce in una serie di parti multipli e viscidi oltremisura. Se alcune sequenze di assedio alla casa mantenevano una discreta fattura tutto quello che viene dopo è assai vacuo.
Il film riposa in una scenografica overdose di luoghi, melodie e colori, in perenne bilico tra autorialità e mestiere, disorientato dalla malia dell’horror, atterrito dal maleficio del dramma. La regia di Garland è attenta al dettaglio visivo ma poco alle implicazioni narrative, incorrendo in una certa esuberanza decorativa che riesce comunque a catturare l’interesse e a lasciare, in più di un’occasione, a bocca aperta. Gore di rilievo.
I maschi sono tutti uguali e alla stessa stregua carnefici, la donna ne è eterna vittima, la mela di Eva rotola e bla bla bla. Quindi? Scenicamente illuminato e intelettualmente paravento, con quindici minuti spaziali di orrori e inquietudini mietute da ogni gambo ritto, eppure a Garland qualcuno dovrà pur dire che lo spettatore non deve per forza capirci un acca o correre su Google per dare un senso compiuto (?) all’uomo verde. Così dal cinema si scappa a gambe levate, al massimo ci si compiacerà, finalmente progressisti ma mai progrediti, del proprio 4K da divano.
Folk Horror che Garland fotografa in tinte rosso verdi nella magnificenza della campagna inglese. Il film pone la lente sulle dinamiche che si si sviluppano nei rapporti di coppia malati, in cui i sensi di colpa e le prepotenze portano a vivere situazioni al limite della follia. Fotografia sublime che posa con delicatezza le sue tinte su una colonna sonora di raro impatto emozionale. Tra canti post gregoriani e simbolismo neo pagano il film è assolutamente godibile. Il finale potrebbe essere riassunto dal testo di una famosa canzone: "The same old fears, wish you where here". Valido.
Una donna prova a rimettersi in piedi dopo il suicidio del marito, prendendo in affitto una deliziosa casetta di campagna con tanto di albero di mele piantato nel giardino. Ma a quanto pare i suoi pensieri disturbanti circa i suoi profondi sensi di colpa non riescono ad andare in vacanza con lei. Buone le atmosfere dark, taglienti le inquietudini interiori che sanno infondere angoscia a dovere. Il finale maieutico riesce a spiegare il perché di tanto mistero usando un doveroso registro horror.
Si può discutere sul significato ma è innegabile che, in questa pellicola, sia l'ambientazione che la colonna sonora riescano a creare la giusta, sinistra e opprimente atmosfera. In più, protagonista e chi le ruota attorno sono piuttosto convincenti, contribuendo a dare qua e là la sensazione di una sorta di incubo a occhi aperti. Certo, il finale può colpire quanto infastidire, per un senso di incompiutezza che porta inevitabilmente all'interpretazione personale, che è un po' come scaricare la responsabilità sullo spettatore, ma resta comunque singolare. Non male dopotutto.
MEMORABILE: Il primo contatto col proprietario; La descrizione della caduta al prete (gli sguardi che si incrociano); Il "problema" al braccio; "Lieti" eventi.
Interpretazioni semplicemente magistrali, fotografia a effetto, regia centrata, musiche e suoni a dir poco sorprendenti. E qualche scena altamente inquietante e senza necessità di jumpscare o altre banalità da horror di bassa lega. La trama non è chiara? E' troppo politicamente corretta? Non importa, in film come questi rilevano le emozioni, le sensazioni e in "Men" ce ne sono a bizzeffe. Bravo Garland, non ancora Cronenberg o Lynch ma sulla buona strada.
Tanta (troppa?) carne al fuoco per questo dramma con venature horrorifiche a firma di Garland. Elaborazione del lutto, senso di colpa, mascolinità tossica, folk e body horror, metafore e allegorie. Dalla eccellente messa in scena, con un notevole utilizzo del suono e un paio di belle trovate (l'utilizzo di Kinnear per tutti i ruoli), si perde proprio nel suo messaggio apertamente femminista. Così sospeso tra la didascalica banalità (i maschi sono tutti uguali) e l'ondivago focus narrativo (cosa sia successo realmente). Avvince ma non convince.
MEMORABILE: La mela; Il trasformismo di Kinnear; I parti sequenziali.
Garland si cimenta col folk horror e toppa di nuovo in pieno. All'inizio intriga anche, con la Buckley che arriva nella sperduta campagna inglese (un topos) come una specie di Alice nel Mondo (mostruoso) delle Meraviglie con tipi bizzarri (il solito prete allupato, il giovane squilibrato); poi però si vira in un delirio incomprensibile e indigeribile che lascia basiti. Certo la fotografia del verde british è una gioia per gli occhi e la visionarietà di Garland non manca, ma vedere un senso nel tutto (metafora della mascolinità tossica? boh?) è veramente arduo. Bravo il pluri-Kinnear.
MEMORABILE: I tipi nel pub con la stessa faccia; Il prete con la mano tagliata che violenta la Buckley; Il parto anale plurimo di una specie di fauno (!).
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Non ne ho idea, ne parlavo con Zender l'altro ieri, errore del sito credo.. Tra l'altro ne approfitto per chiederti, l'avevi inserito proprio tu o si è sballato qualcosa e l'avevo inserito io? O c'era una scheda doppia? In ogni caso se non ero il primo commentatore ero sicuramente il secondo.. Un mistero davinottico haha
Tra l'altro vedo che anche Leandrino avrebbe commentato nel tuo stesso minuto.. Mi viene il dubbio che si sia sballato qualcosa negli orari dei commenti, non sono al 100% sicuro di averlo inserito io ma ho il forte dubbio, più che altro perchè mi pare di aver letto il tuo commento e quello di Leandrino successivamente.
un dubbio posso intanto toglierlo: la benemeritata fu senz'altro mia. ciò nonostante apparve però, forse per quel minuto di scarto di cui accenni, prima il commento di leandrino del mio. ma in altri casi, come willy's wonderland, è capitato il contrario - cioè è apparso prima il mio di quello del benemeritante.. mentre questa replica del tuo è davvero misteriosissima e inedita. a rigore dovrebbe esserci quello di rebis. credo che la partenogenesi multipla del protagonista stia colpendo anche i commenti e siamo senza saperlo tutti lo stesso utente...
Ok, almeno il dubbio della benemeritata me l'hai tolto, sulla questione del mio commento "riproposto", non ho ben capito cosa sia successo, so che l'altro giorno andando sulla scheda del film ho visto "sarà pubblicato prossimamente" ma non si è ben capito perchè haha..
DiscussioneZender • 13/09/22 07:38 Capo scrivano - 48364 interventi
Il commento l'aveva inserito Schramm, ma siccome quasi nello stesso momento l'avevano inserito Herr e Leandrino ho divuto spostare i loro commenti su quello di Schramm e questo deve aver creato un po' di confusione con quello di Herr, che era rimasto indietro e ho autenticato correttamente ieri. Normale invece che possa apparire prima quello di Leandrino rispetto a quello di Schramm, lì i commenti del giorno dopo non seguono un ordine cronologico.