Una regola non scritta del cinema di spionaggio dice che meno ci si capisce più ci si avvicina al vero mondo dell'intelligence. Perché allora rinunciarci, si chiede il regista Tomas Alfredson mentre seguendo la stratificata sceneggiatura tratta da un romanzo di John Le Carré comincia a infilare nomi ed ellissi senza sosta spostandosi con deliberata noncuranza tra passato e presente (che poi è comunque passato, visto che abiti, auto e oggetti rimandano ai Settanta)? L'importante per lui è ritrovare con gusto il clima cercato comunicando una freddezza che è insieme cupezza, focalizzando visivamente il grigiore dei rimpalli tra Londra e il blocco comunista, con gli impassibili agenti del "Circus"...Leggi tutto (i servizi segreti britannici) a muoversi in uno scacchiere le cui pedine principali non son troppe ma i legami che intercorrono tra di esse spesso sfuggono come vuole la regola. Lo stile scelto si adagia placido su ritmi lentissimi, lasciando spazio a scene decisamente superflue, dialoghi mai interessanti, notazioni che dicono poco o nulla, sguardi che dovrebbero comunicare chissà quale profondità di pensiero ma che dopo un po' diventano solo fastidiosi contrappunti al nulla. Frattanto s'introducono nella storia nuovi personaggi a muovere le acque e costringere chi guarda ad un supplemento di attenzione che rischia di portare all'esasperazione chi desidererebbe invece potersi concentrare anche un po' sulla storia, afferrandone non solo i contorni ma l'essenza, la complessità degli intrecci. Invece Oldman (che appare terribilmente impagliato, ancor più del veterano John Hurt) gioca a dire il meno possibile, gli altri fanfaroneggiano dell'operazione Strega insistendo su sguardi enigmatici e flashback che dovrebbero chiarire ma solo in parte, stando attenti a non svelare subito troppo perché altrimenti attenti, il castello di carte crollerebbe in un attimo e difficilmente si accetterebbe tanta lentezza, se deprivata di ogni significato. Sulla capacità di Alfredson di cogliere la particolarità nelle inquadrature non si discute: esteticamente il film ha momenti di grande impatto, la supervisione delle musiche è perfetta (ed eccezionale l'uso del pezzo cantato nel finale); e nemmeno la scelta del cast può dare adito a critica alcuna: per quanto immobile, Oldman resta un grande attore, così come lo è chi lo circonda. No, quello che non funziona sono proprio sceneggiatura e regia, che si rincorrono nell'affannoso tentativo di proteggere il finale (ovvero se la talpa esiste davvero e, nel caso, chi è) confondendo gli indizi sotto una spessa coltre di false dichiarazioni, doppi giochi e uno stile estetizzante che copre le falle di uno script piegato alle regole del genere e che seppellisce lo spettatore di indizi, spunti e riflessioni sperando che poi sia lui a ricongiungerli tutti (o quasi) prima del gran finale. Il problema è che molti avran già lasciato perdere un'ora prima... Colpa loro? Forse. Allora evviva il cinema d'elite che nutre la mente e disprezza la massa... O è solo fumo negli occhi?
Dai vampiri alle spie Alfredson conferma il suo talento e la sua tendenza alla raffinata contemplazione. Qui lo sguardo si posa su un intreccio di doppi giochi (una volta tanto è l'MI6 e non la CIA), tanta ambiguità e azione quasi bandita dallo schermo. Un po' limitante, a dire il vero, perché le variabili sono troppe e non si entra in sintonia coi personaggi. Anche la ricchezza del cast non pare essere sfruttata del tutto. Peccato, ma è comunque molto ricercato nei colori pastellati e negli sguardi/movenze da notabili dei protagonisti.
Le spie non sono uomini ma pedine, né bianche né nere ma grigie: impastate di bene e male, torti e ragioni. Hanno corazze di rigida spietatezza e indifferenza scalfite qua e là da sprazzi di umanità.E sono sole, maledettamente sole. Le Carrè lo sa bene e il regista riesce a trasporre magnificamente le sue pagine scritte. La nebulosità iniziale si dirada col procedere dei minuti. Tutto diventa sempre più chiaro e il narrato si fa sempre più incalzante ed avvincente. Alla fine ogni tessera del mosaico va a posto. Grandiosa la prova di Oldman.
MEMORABILE: "Vorrei che ammettessi che c’è della ragione anche nella mia parte oltre che nella tua"
Ambientazione anni '70, in piena guerra fredda. Agente segreto in pensione viene richiamato in servizio per scoprire chi, fra i boss dell'Agenzia, sia una talpa infiltrata dai russi. Gran lavoro di atmosfera, tutta in tono (grigio il cielo di Londra, grigio il lavoro delle spie impiegatizie, ingrigite le tempie dei protagonisti), ma sceneggiatura ermetica, dialoghi criptici, snodi narrativi troppo ellittici. La confezione eccellente e la prestazione altamente professionale dello splendido cast garantiscono lo spettacolo, ma nel complesso il film risulta freddo, poco coinvolgente.
MEMORABILE: L'inquadratura dall'alto del corpo riverso sulle foglie secche - La canzone nel finale
Pellicola di indubbia classe registica. La trama è un po' cervellotica, ma il tutto è talmente ben reso, persino nei momenti più pesanti (ritmo zero, col protagonista quasi mummificato) da impedire allo spettatore di perdere interesse. Questo anche grazie alle convincenti prove degli attori, dai protagonisti alle seconde linee. E’ la classica storia di spionaggio con traditore, senza grandi guizzi, ma raccontata bene, sfruttando l'intero succo (poco) che un film del genere può dare. Uomini, omuncoli e vermiciattoli sono qui presenti al gran completo (niente buoni e cattivi). Notevole.
MEMORABILE: Ambientazioni e inquadrature, che compensano la mancanza di ritmo; "Quello che il Circus prende per oro colato è merda fabbricata a Mosca".
Dopo la bella prova di Lasciami entrare, Tomas Alfredson si conferma talentuoso regista, dirigendo questo adattamento del romanzo di Le Carrè. Ne deriva un film di grande eleganza formale nel quale è rappresentato, in modo impeccabile con grande senso della ricostruzione scenica, il clima della guerra fredda. Ritmo assolutamente funzionale alla storia e grande prova corale del cast, nel quale spicca Gary Oldman in uno dei migliori ruoli della carriera. Da vedere.
Film di spionaggio più mentale che d'azione, con un Gary Oldman truccato da vecchio molto bravo e in parte. Cast con grandi nomi inglesei ma sono più dei camei che dei co-protagonisti, rispetto a Oldman. La Guerra Fredda secondo John Le Carré, il cui romanzo era già stato portato dal vivo, anni fa, in una breve serie tv con Alec Guiness. Forse la confezione tv, secondo me, era più adatta, perché nel film si perdono un po' di dettagli. Qualcuno potrebbe rimpiangere James Bond vedendo il film, ma lo spionaggio è anche questo ed è sporco. Tre.
Un film che sembra uscito direttamente dagli anni 60-70, felice trasposizione del non facile libro di Le Carrè "La talpa", interamente sorretta da un comparto attoriale eccelso in ogni sua parte e da un Alfredson che con una messa in scena fredda ed elegantissima avvolge lo spettatore per le due ore di durata. I ritmi sono quelli lenti dei film che richiedono attenzione e predisposizione mentale, non certo visioni da multisala usa & getta e chiunque cerca azione o twist incredibili è bene che si rivolga a Bond o a Bourne. Qui troverà "solo" cinema.
Voglio dirlo che il re è nudo: io di questa vicenda non ci ho capito quasi niente, e il "quasi" è dovuto solo al fatto che conosco un po' di storia della guerra fredda. Qui non c'è uno splendore visionario che faccia perdonare una sceneggiatura che gira a vuoto come una vite spanata, non in un genere che dovrebbe fare del narrato il proprio punto di forza. Affaticati come muli mente e memoria per districare un po' dell'irta matassa, non c'è tempo nè voglia di apprezzare i meriti squisitamente estetici di una regia di classe.
Tanto rumore per nulla? No di certo. O tantissimi indizi per un solo colpevole? Forse. Trama a dir poco arzigogolata che imbriglia l'attenzione ma ispessandosi sempre più, tanto da aver avuto il dubbio se mollarlo al suo destino. Cast di livello e Goldman che assolve al suo compito, contribuendo a distribuire lentezza al contorno. Di sicuro un gran romanzo, ma la deframmentazione scenica è logorante, salvo il finale che soddisfa l'animo di essere giunti fin lì.
Un film complesso, che richiede una buona dose di attenzione da parte dello spettatore. Ma è proprio grazie alla sua trama intricata e alle notevoli capacità registiche di Tomas Alfredson che riesce a rendere perfettamente le atmosfere del periodo, la sfuggevolezza della verità e la solitudine delle pedine che si muovono all'interno dei palazzi del potere. Certo, la pellicola può risultare un po' respingente per i non amanti del genere, ma in fondo non è altro che un ottimo film di genere.
Lento sì, elegante pure, ma cervellotico. Ci si può chiedere se questa sua peculiarità sia necessaria, sia un marchio del genere. Anzitutto dubito che qualcuno si avventuri in una seconda visione; precisato questo, qualche concessione allo spettatore (alla sua comprensione) l'avrei fatta. Certo, questo senso enigmatico contribuisce a rendere appieno l'atmosfera e a elevare i personaggi sul piedestallo riservato agli agenti segreti. Dunque il gusto rimane. Però che fatica.
Tratto da una romanzo di Le Carrè, "La Talpa" risulta essere un discreto film, che comunque evidenzia alcune pecche per quanto riguarda ritmo e trama. Se infatti il primo non riesce a convolgere del tutto lo spettatore (rendendo il film un po' troppo "lento"), la seconda appare troppo complicata ed ingarbugliata, rischiando così di lasciare attoniti. A parte ciò il film riesce comunque a convincere in altri aspetti: colonna sonora, fotografia e un grandisssimo Gary Oldman. Buon film: migliorabile, ma comunque da vedere.
Dalla Svezia con rigore. Parrebbe Tom Hooper col suo Re balbuziente, ma è solo un allievo della scuola di Stoccolma calatosi alla perfezione nell'aplomb britannico. Gli interni subiscono repentine panoramiche che oliano l'arzigogolato costrutto di andirivieni temporali ed improbabili"exit strategy", conducendoci sani e salvi alla (magistrale) conclusione. Se poi si riceve la grazia di un parterre attoriale così variopinto... Beh, è senz'altro tutto più facile: nelle difficoltà ci si prodiga in esplicativi primi piani. Gary Oldman vagamente impagliato. ***
"La mer" (versione live di Julio Iglesias del 1976) libera finalmente, alla grande, alleggerendo una visione non facile di questa spy-story, senz'altro piena di cose pregevoli, ma che per gustarle appieno basterebbe il trailer. Lì almeno tutto è compresso ed è di grande effetto e in tre minuti tutto è finito. Chi invece si è lasciato attrarre alla visione completa (come me) per capirci di più, se è rimasto sveglio ci ha capito ancora meno. Tra le cose pregevoli un altro Iglesias, Alberto, che ha firmato una notevole colonna sonora.
Spionaggio british in piena guerra fredda più curato nelle atmosfere che nella trama, soporifera per lunghi tratti. Il veterano dimesso dall'incarico ricerca la talpa tra i colleghi con cui ha lavorato per anni, indizi infarciti di dialoghi vaporosi, esecuzioni cruente e sanguinarie che mal si sposano con l'eleganza dimostrata poco prima, spie omosessuali messe lì ad alimentare il calderone. Cast di lusso ma sembra mancare l'alchimia, il finale si snocciola in poche sequenze; quando ci si risveglia dal torpore è tardi, arrivano i titoli di coda...
Il felice incontro tra la certezza e la scommessa: la certezza naturalmente è Gary Oldman, che con un personaggio adatto, riesce a rendere immortale il silenzio struggente di una vita per il lavoro, per la patria, sconfitta solo dall'amore. La scommessa era Alfredson, alla prova della maturità dopo Lasciami entrare. Una scommessa vinta con la testardaggine dello stile: i tempi sono quelli del cinema classico di spionaggio da scrivania, la tensione è un filo continuo lungo il dispiegarsi della sceneggiatura.
Notevole film di spionaggio di Alfredson che, dopo aver rivisitato (noiosamente) il genere vampiresco, riesce a cogliere le atmosfere avvolgenti degli scritti di Le Carrè, fatte più di impressioni che di azioni, più di uomini fumosamente normali che di 007. Se è vero che il ritmo a volte cala, lo svedese ricostruisce però con classe i complicatissimi anni '70 della guerra fredda e dirige con mano sicura un cast importante (dopo parecchio ho rivisto Oldman in un ruolo degno della sua classe). Finale stellare con Julio. Arzigogolatamente d'altri tempi.
Sinceramente accademico, molto apprezzabile per l'eleganza e l'uso della macchina da presa ma poco coinvolgente per chi di film di spionaggio sulla guerra fredda si è nutrito per quasi tutti gli anni '70 e ha avuto modo di apprezzare tutta la produzione coi vari Trintignant, Ventura e soprattutto Caine in cui l'azione passava in secondo piano a vantaggio di lasciarti vivere la storia sullo schermo. Personalmente l'ho trovato noioso e la bravura dello scenografo, mestiere difficile quando un film è ambientato in quegli anni, non mi è bastata.
Spy story di gran classe (ma d'altronde è basata su di un racconto di le Carrè) in cui scalate, arrivismi, amori e doppiogiochismi si sposano mirabilmente con la splendida prova attoriale del cast (su tutti un ispiratissimo Gary Oldman). Necessita di freschezza mentale e assoluto silenzio per essere seguito in maniera soddisfacente (e così è se si ha pazienza). Un altro ottimo tassello che lascia ben sperare nella giovane carriera del regista svedese, che dimostra (anche in trasferta) veramente di saperci fare, non c'è che dire.
Da amante dei film di spionaggio mi ero preparato a una visione che richiedesse grande concentrazione e attenzione ai dettagli, ma dopo una mezz'oretta mi sono arreso e ho sperato che la trama si semplificasse almeno un po'. Speranza vana, tanto più che le ambientazioni tutte uguali (stessa luce, stesse scenografie, Londra sembra Kiev) contribuiscono a lasciare lo spettatore smarrito in una storia più complicata che complessa. Irritante.
Clamoroso al Circus, le spie sono uomini di mezz'età, poco appariscenti, poco interessanti, carrieristi, cinici, freddi. Tutti hanno un punto debole, un "black spot". Anche la cupola del MI6, dove si nasconde una talpa sovietica. Il Governo richiama in servizio l'algido Smiley (mai nomen fu meno omen), epurato forse proprio dai cospiratori, per indagare. Splendida messa in scena, grande recitazione (da ascoltare in inglese) per un film che ha un unico difetto nella complessità non sempre risolta della trama. Sorpresa assoluta, regista da seguire.
Un grande film di spionaggio, che esce dagli schemi dei moderni blockbuster restando però sempre sul "classico". La pellicola non concede quasi nulla alla spettacolarità e all'azione, concentrandosi sui personaggi, sui rapporti che intercorrono tra loro e sulla narrazione, non lineare e ricca di flashback che dipanano mano a mano l'intricata matassa dell'intreccio. Questo modo di raccontare la storia è, tuttavia, anche un difetto: uno spettatore medio come me, si ritroverà più volte confuso e stordito dalla quantità di dati fornitigli.
MEMORABILE: La sequenza finale, perfetto esempio di come la musica possa sposare le immagini.
Nonostante i ritmi bassi il film si fa guardare grazie a un'ottima regia, accompagnata da fotografia e ricostruzioni costumistiche e sceniche a grandi livelli. Peccato che come ogni spy-thriller tratto da qualche romanzo di scrittori di successo la sceneggiatura sia ingarbugliata e poco fruibile, se il film lo si guarda una volta sola. E allora non resta che affidarsi alla prestazione maiuscola di un istrionico Oldman, invecchiato ma in forma, alla visione di belle inquadrature e ai dialoghi a tratti superlativi. Ottimo anche il resto del cast.
Riduzione cinematografica di un grande romanzo di John Le Carré (che compare anche per un attimo nel film, durante la festa di Natale), ne è la fedele trasposizione per lo schermo, servita da un stuolo di attori altamente professionali e da una confezione adeguata. Il dubbio è che si tratti di un'opera priva di autonomia dal modello letterario: chi ha apprezzato il libro ritrova vicenda e ambienti; senza di esso, resta solo una storia quasi incomprensibile, immersa in un malinconico grigiore.
Lo spionaggio dei burocrati meglio non poteva essere rappresentato, col grigio nella fotografia ma anche nelle interpretazioni; ma la narrazione è troppo persa in cavilli e puntualizzazioni: ci vuole una tanica di caffè per seguire questo film e a mio modo di vedere il bel cinema è tutt'altro. L'operazione comunque è pienamente riuscita e il film è granitico, nella sua integrità. Buon per chi lo riuscirà ad apprezzare.
Laddove in Lasciami entrare l'austero governo della mdp trovava la sua compensazione nell'abbeverarsi allo sconvolgimento di giovane, vampiresco sangue caldo, qui lo stile ieratico di Alfredson par fare tutt'uno col "controllo" d'una materia cinematografica, quella del film di spie, per sua natura tetragona a emozioni e sentimentalismi. Il risultato è spiazzante, nel metterci di fronte a uno spettacolo mistericamente magnetico dal punto di vista visivo quanto complesso, adulto e a tratti insostenibile sul piano narrativo. Inafferrabili Oldman e Hurt.
Il gotha del cinema britannico in quest'opera tratta dal geniale romanzo di John La Carré (che appare anche come produttore e collaboratore), fittissima di narrazioni che si intrecciano imponendo allo spettatore una "religiosa" attenzione. In piena guerra fredda si profila una caccia implacabile dietro a una "talpa" dei servizi segreti, per la quale è caduta una associazione di spionaggio. Un film ragguardevole che desta rispetto, nonostante lo stile serissimo e cervellotico.
MEMORABILE: La faccia e il profilo che più british non si può di Benedict Cumberbatch.
Tedioso oltre ogni limite di sopportazione: stanze indistinguibili, colori sempre uguali, una storia che continua ad aggiungere elementi senza lasciar mai neanche intuire una connessione. L'azione è ridotta all'osso e in un giallo lo si potrebbe tollerare ma in un film di spionaggio, senza alcuna tensione narrativa, è francamente imperdonabile. Scenografie grandiose, attori in gran forma, perfetta la ricostruzione storica ma se il tutto è a servizio di uno script grigio e insipido la palpebra cala. Forse si può vedere, ma certo non rivedere.
Cerebrale, asettico, chirurgico: è l'umanità che si spoglia dei propri sentimenti per mettersi al servizio della strategia, in un'estenuante partita a scacchi dove mezzo e fine spesso si trovano a coincidere. Romanzo piuttosto complesso da trasporre sul grande schermo, quello di le Carré, ma il lavoro di Alfredson e in particolar modo del direttore della fotografia Van Hoytema, è eccellente: si esce dalla prima visione leggermente frastornati, col terrore di aver mancato dei passaggi fondamentali, ma con la certezza di aver visto un gran film.
MEMORABILE: In negativo (come sempre) lo sbrigativo titolo italiano, che banalizza la polisemia dell'originale.
Capolavoro del regista svedese e del cinema di spionaggio tout court. L'opera di le Carré non poteva ricevere una trasposizione più fedele, magnificata dall'incredibile atmosfera grigia e malinconica che Alfredson riesce ad imprimere in una scena, fatta eccezione per la luce violenta del sangue a Instanbul. Un incedere lento e intricato ma mai confusionario di giochi di spie che paiono ormai fine a sé stessi e alla riproduzione della triste casta burocratica del Circus. Il reparto attoriale conferma che l'eccellenza è possibile anche al giorno d'oggi, se diretto da mano sicura.
MEMORABILE: La festa di capodanno con l'inno dell'Unione Sovietica; Lo smascheramento della talpa.
NELLO STESSO GENERE PUOI TROVARE ANCHE...
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE: Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT): Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ: Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICHE: Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
DiscussioneZender • 22/01/12 10:16 Capo scrivano - 48372 interventi
Io l'ho trovato un film d'atmosfera e basta. Altre qualità non riesco a trovargliene e mi è parso inutilmente involuto. Non trovo proprio che tutto sia comprensibile e soprattutto è il solito film di spionaggio dove si gioca a fare i misteriosi ad ogni costo. Hitchcock era l'esempio opposto: film come Il sipario strappato sono l'esempio di come si riesca a fare un film complesso spiegandolo con massima chiarezza. E ovviamente mi associo a Greymouser specificando che non mi sono addormentato neanche per un secondo. Semplicemente a un certo punto mi son proprio disinteressato alla trama perché non ci trovavo nulla di interessante.
DiscussioneDaniela • 22/01/12 11:00 Gran Burattinaio - 5941 interventi
Grande atmosfera, certo.. ma non concordo sulla totale comprensibilità - battute a parte, credo di aver seguito il film con sufficiente attenzione, eppure ho avuto la sensazione che, diradatosi la nebbia, restasse il fumo.
SPOILER (anche se confuso, per rimanere in tema)
Perchè una certa pallottola parte proprio in quel momento lì? Sarei per escludere l'incarico dall'alto, certo era stato già concordato uno scambio coi russi... Potrebbe essere la vendetta personale per essere stato tradito da quello che credeva un amico, e forse era stato un amante (lo sguardo fra i due nella fotografia). Ma perchè proprio allora, dato che l'aveva scoperto ben prima? La vendetta è un piatto che fa assaggiato freddo, ma c'è tanto più gusto ad abbattere un vincente piuttosto che uno sconfitto...
No, non l'ho proprio capito.
FINE dello SPOILER confuso
Non ho nessuna intenzione di leggermi il romanzo - non amo questo genere letterario. Casomai voglio cercare di ripescare la serie tv del 1979, con Alec Guinness nel ruolo di George Smiley. Ma credo sarà difficile...
Io ho interpretato lo sparo come una vendetta personale. A questo proposito non ricordo quale giornale ha parlato di una spy story in chiave omosex....
SPOILER
DiscussioneZender • 22/01/12 12:00 Capo scrivano - 48372 interventi
Esatto Daniela (per quel che mi riguarda): più una cortina di fumo che di ferro, senza dubbio. Ma c'erano molto molti altri interrogativi irrisolti, che però non ho a dire il vero nessun interesse a risolvere.
DiscussioneGreymouser • 22/01/12 12:34 Call center Davinotti - 561 interventi
Zender ebbe a dire: Ma c'erano molto molti altri interrogativi irrisolti, che però non ho a dire il vero nessun interesse a risolvere.
Ecco, Zender, per me hai centrato il punto...
Ci sono film complessi (ottimo l'esempio di Hitchcock, ma pensiamo pure, per dire, a Cronenberg) che però ci trovano complici nel cercare di sciogliere i nodi, come se il regista accettasse di fare un percorso insieme allo spettatore, e non contro lo spettatore.
Nel caso di Alfredsson (e lo dico da assoluto adoratore di lasciami entrare), mi sembra che l'operazione sia un filo arrogante, come a dire: io mi occupo di fare un bel film, a capirlo pensateci un po' voi...
Un film può avere una sceneggiatura intricata, ma deve dare a chi guarda tutti gli strumenti e gli indizi per venirne a capo. Secondo me qui non ci sono nè strumenti nè indizi sufficienti: ci sono momenti che non si capisce dove siano o cosa stiano esattamente facendo i personaggi; ci sono salti temporali piuttosto nebulosi, passaggi ora ridondanti ora ellittici. Ovvio che sono pareri soggettivi e che rispetto chi pensa sia un grande film. Tornando al punto di partenza e all'affermazione di Zender, forse il punto vero è che la storia, al di là del grado di comprensione, non mi ha proprio preso.
DiscussioneZender • 22/01/12 19:06 Capo scrivano - 48372 interventi
Ecco, hai ripreso meglio quel che volevo dire io quindi mi trovi d'accordo in tutto (tranne nel giudizio su Lasciami entrare, che mi aveva lasciato abbastanza... freddo), chiaramente ribadendo anch'io il concetto forse più importante anche se per chi mi conosce dovrebbe essere ovvio: rispetto chi pensa sia un grande film.