Chiusura in bellezza, per la serie ideata da Mick Garris. Affidato alle capaci mani del celebrato Takashi Miike, l'ultimo episodio di "Masters of horror" è l'esemplificazione dello stile molto particolare del suo regista. Una storia che comincia in modo apparentemente semplice per lambire sempre più da vicino i lidi della follia fino a condurci verso un finale del tutto imprevedibile. Siamo in un'isola popolata - dice qualcuno - solo da demoni e prostitute. Un americano (Billy Drago) ci arriva alla ricerca di una ragazza, Komomo, le cui tracce ha perso da tempo. Raggiunto un bordello locale, farà la conoscenza di una prostituta dal volto sfigurato (in realtà...Leggi tutto ha solo la bocca storta verso l'alto) che gli dirà di averla conosciuta, la sua Kokomo. Attraverso flashback che alternano la triste vicenda di Komomo e l'infanzia difficilissima di colei che racconta, Miike fa procedere l'episodio con caratteristica lentezza, soltermandosi sui volti, su un paio di splendide aperture paesaggistiche e cominciando presto a mostrare una terrificante e prolungata scena di tortura (con spilloni infilati sotto le unghie e nelle gengive), a raccontarci di un'ostetrica (la madre della prostituta) e dei feti di cui disfarsi (almeno un paio di brevi sequenze agghiaccianti). Stiamo parlando di alcuni tra i momenti più insostenibili dell'intera serie, inseriti all'interno di una messa in scena impeccabile che si stacca nettamente dalla gran parte degli altri episodi portando IMPRINT a propoorsi come uno dei pochi highlight della serie.
Miike l'integralista, Miike ancora senza compromessi nella terra che li ha creati. Gira Imprint come vuole lui, non curandosi di essere nel bel mezzo di una serie tv Usa. Non se ne cura non solo nella messa in scena, violenta, sanguinaria e bastarda, ma nemmeno nei temi: l'aborto è trattato in modo troppo nichilistico per avere l'approvazione dell'America bigotta che dovrebbe ospitare il film. Infatti Imprint viene cancellato dalla programmazione e troverà spazio solo ai festival e su dvd.
Ci sono alcune invenzioni visive e narrative piuttosto felici (strane apparizioni, verità cangianti), insieme ad altre quasi ridicole (il mostrino come una mano in testa). E poi ci sono le scene di violenza estrema, cattivissima e sadica, quasi da bondage splatter, invero molto poco sopportabili. Ma sarebbe un errore lasciarsi inorridire da queste sequenze: si perderebbe la piacevole sorpresa che deriva dalla visione di un incubo delirante e malsano.
Miike realizza con questo film il miglior episodio della serie "Masters Of Horror" anche perché la produzione americana non snatura il suo stile o la sua vena estrema (il film non è stato trasmesso per la sua violenza). Il protagonista è occidentale ma la cupa e disperata ghost story raccontata è (per tematiche) profondamente giapponese. Il film è inquietante, in molte scene disturbante (su tutte la sequenza della tortura), senza però perdere minimamente in eleganza formale e talento visivo. Da vedere.
Pellicola marcia e piuttosto inquietante dall'inizio (la donna morta incinta, che galleggia sul fiume) alla fine. E' una vera e propria escalation di orrori (i feti, le torture), ma la vera forza di questo mediometraggio è la narrazione (le verità raccontate dalla ragazza dal viso deforme sono tutte interessanti, con tocchi di rara perfidia (gli aghi infilati sotto le unghie e non solo lì, il vero lavoro della madre). E poi c'è anche un colpo di scena, che dà ancora più pepe alla vicenda (esagerando però un po'), rendendola definitivamente orrorifica. Davvero notevole.
MEMORABILE: La frase della ragazza dal viso deforme: "Quest'isola non è degli uomini; è abitata solo da demoni e puttane".
Fratello e sorella, dannati e maledetti, danno corso ad un parto infernale: nasce così, tra consanguinei e a contatto con la morte (la madre si occupa di aborti, gettando feti nel fiume) una creatura mostruosa, segnata (al quadrato) nel fisico (nasconde una sorella nello stesso corpo, trattandosi di parto gemellare). Quando un americano (con un passato infelice e condannabile) si reca in un postribolo alla ricerca di un'orientale che ha amato, incontrerà il suo (meritato) destino. Miike opta per un registro horror solo in chiusa, rivestendo la storia di decadenza e disumanità. Notevole.
MEMORABILE: la tortura inflitta alla "ladra" di gioielli, eseguita con spilloni.
Miike prende alla lettera le condizioni produttive imposte da Garris - assoluta libertà creativa - e dà al progetto dei Masters of Horror il contributo più integrale e incondizionato, l'unico ad averne colto veramente l'occasione e il senso: sontuoso, putrescente, sorta di monito alla mente indagatrice incapace di fronteggiare l'incommensurabile, pavida d'innanzi all'opportunità di dissoluzione. L'orrore monta insostenibile a fronte di una verità che insorge per dolorosa, supplicata evocazione e ogni altrove viene sbranato a morsi dalla demenza. Lancinante.
Altro Masters of horror abbastanza riuscito. Il talento visivo e narrativo del regista danno lustro ad una storia un po' diluita ma interessante. Curiosa l'invenzione "gemellare" che rimanda molto al Kinghiano La metà oscura. Violenza di rigore come nello stile di Miike ed un'ultima inquadratura che vale mezzo film.
Fra tutti gli episodi della serie non il migliore ma quello sicuramente più scioccante, con momenti disturbanti anche per chi è abituato a frequentare il genere, poco attenuati dalla bellezza formale di alcune scene. A ciò si aggiungono punte di raggelante crudeltà, in particolare nella lunga sequenza della tortura. I continui flashback, intrecciati nella duplice versione della storia narrata dalla prostituta deforme, contribuiscono ad accentuare la sensazione di incubo malato. Da vedere, ma con il desiderio di dimenticarsene.
Pur essendo un prodotto televisivo, questo ultimo capitolo dei Masters of horror supera in violenza praticamente tutti i film che escono nelle nostre sale cinematografiche, grazie ad alcune barbare crudeltà mostrate con estrema disinvoltura. Anche la confezione è sopra la media di un prodotto per la tv, grazie ad una regia piuttosto curata e ad una buona fotografia. Funziona meno la sceneggiatura: ben strutturata ma in fin dei conti piuttosto inconcludente. Poco credibile l'interpretazione di Billy Drago. Interessante.
Questa volta Miike mi ha soddisfatto. Una bella storia con notevoli colpi di scena (le versioni della storia cambiano man mano che si va avanti, fino allo shockante finale). Non male gli effetti speciali e l'ambientazione del bordello davvero malsana che fa quasi mancare il respiro. Da citare la scena d'apertura col cadavere della donna incinta in acqua e la rivelazione finale.
"Imprint" è un horror film asiatico sulle tracce di qualcosa di già visto. Terrore nella prima mezz’ora, poi sembra degenerare nello splatter e niente altro. Comunque salvabile dato che si tratta di un mediometraggio. Alcune sfumature ricordano Hostel.
Fra i "Master of horror" che ho visto questo è quel che mi ha convinto di meno. Non trovo come il film dia interesse alla storia, stancando lo spettatore con i minuti che passano. Da salvare i paesaggi e la fotografia, che lasciano nell'oblio una storia senza perché e degli attori che sono mediocri.
Ritmo lento, tipicamente giapponese e atmosfera malsana sono gli ingredienti principali di quello che forse è l'episodio più riuscito dei Master of horror. Non che ci troviamo di fronte a chissà cosa: la verità che viene a galla di volta in volta ricorda un po' troppo Rashomon (anche se qui le varie versioni vengono tutte da un'unica fonte, che di volta in volta modifica un po' il racconto) e l'idea della "gemella" sembra provenire direttamente da King. Quasi insostenibile la scena della tortura. Due pallini e mezzo ci possono stare.
Uno dei migliori, se non il migliore Masters. Miike fa quello che molti altri suoi predecessori, alternatisi alla regia della serie non fanno, cioè "osa". E a parte qualche recitazione imperfetta e l'effetto speciale della mano posto in chiusura, invero bruttarello, gli riesce tutto. L'archetipo su cui si muove è quello solido e spietato di tante storie nipponiche: povertà, abbandono, morte. Su questo innesta le ben più lugubri leggende di fantasmi e non arretra mai: né di fronte alle torture (le unghie!), né al cospetto dell'aborto (feti maltrattati a go go).
Il talentuoso Miike, tra i pochi registi della nuova generazione veramente degni d'attenzione, ci ha ormai abituati al suo immaginario esploitativo e senza compromessi con il notevole "Audition" e non si smentisce con questa sua incursione nel ciclo "M.O.H.". Un film girato e fotografato in maniera impeccabile, forse più teatrale che cinematografico (i volti e le espressioni ricordano le maschere del teatro Kabuki), dai molteplici risvolti ma con una solida base da fiaba nera d'altri tempi. Shock!
Tra i migliori episodi della prima serie grazie soprattutto alla regia di Takashi Miike, il cui tocco si vede e si sente. Non male la storia che riesce, cosa rara per questi masters, anche a coinvolgere, buona la confezione anche se troppo estetizzante. Tanta violenza e risultato finale, per una volta, soddisfacente.
Grande capitolo conclusivo per la prima serie dei "Maestri del Terrore". Miike ci racconta questo episodio, caratterizzato da una solida sceneggiatura, con una lentezza quasi sfinente. Nonostante ciò l'episodio si caratterizza per un'accurata messa in scena, una buona fotografia, qualche inserto splatter particolarmente crudo e qualche bella panoramica. La storia è perfidamente bastarda, il tema molto attuale, le scene troppo crude: ed è per questo che merita l'Ok. Finale stravolgente e inaspettatamente curioso.
MEMORABILE: Il fiume dei feti, gli spilloni, il finale.
Miike concepisce in "Imprint" un inferno visionario dai valori estetici raffinatissimi quanto concettualmente insostenibili. Impossibile restare indifferenti di fronte ad una storia morbosa e folle, dove i punti di vista si accavallano e danno vita a dettagli sempre più crudi ed efferati, dai quali è bandita ogni forma di raziocinio e di normale umanità. Non sono uno spettatore delicato, ma la scena della tortura degli aghi non riesco a dimenticarla. Detestabile e grande Miike!
Solo un talento anarchico e completamente folle come quello di Miike poteva partorire una storia del genere. Non solo il miglior episodio dell'intera serie, ma anche una delle esperienze più angoscianti che ho vissuto in vita mia - cinematograficamente parlando - tra feti estirpati e buttati a fiume, incesto, torture indicibili - altro che Hostel! - prostitute dai denti marci, doppelanger mostruosi, monaci pedofili. "L'inferno è sulla terra" sembra dire Miike, e non posso che essere d'accordo.
MEMORABILE: La tortura alla prostituta appesa come un quarto di bue. Insostenibile!
Ho trovato la sceneggiatura un po' banale, sia nei dialoghi che nelle intenzioni. Le scene più scabrose del film sono un eccesso schizofrenico in un contesto altrimenti un po' scontato; Miike ha dato il meglio di sè in altri film come Gozu, dove si riconosce appieno l'idea visionaria dell'autore, questo film è per me è come un Quentin Tarantino che si da ai film di serie B, portando all'eccesso ancora più scene e dialoghi di bassa qualità.
Questa di Miike (e come potrebbe non essere altrimenti) è una pellicola di una ferocia inaudita. Al di là del contenuto orrorifico, che può soggettivamente fare più o meno presa, si devono sottolineare momenti di orrore visivo che raggiungono l'apice con le torture inflitte alla giovane protagonista. E vogliamo parlare dell'immagine del fiume colmo di feti invece che di pesci? Un film che ti entra in circolo peggio che il veleno di un serpente a sonagli. Uno dei migliori della serie.
Miike chiude con classe la prima serie dei Masters grazie ad un episodio che unisce la bellezza formale tipica dello stile del regista, qui evidente in squarci paesaggistici eccezionali, location curatissime e in una fotografia notevole, con la violenza sadica altrettanto diffusa nei lavori dell'eclettico giapponese. A tal proposito, terrificante ed insostenibile la scena della tortura; ma non è la sola "delicatessen" in un mediometraggio che accavalla orrori e mutazioni quasi cronenberghiane. Grande Billy Drago, in un ruolo inedito. Da vedere.
L'episodio più efferato dela serie non poteva che essere di quel folle di Takashi Miike. Troviamo di tutto: torture, deformazioni ed immagini scioccanti (mi riferisco in particolare a quelle sul fiume). Insomma, un livello di orrore in senso lato che in entrambe le serie nessun altro regista ha nemmeno avvicinato. A completare il quadro un comparto tecnico superiore, con in particolare una fotografia superba e una vicenda interessante, seppur con qualche snodo narrativo un po' forzato. Senza dubbio il miglior episodio.
Dal regista maledetto nipponico Miike uno degli episodi tecnicamente più riusciti della serie, ma anche uno dei più sgradevoli, che rilegge in maniera molto originale il famoso tema del gemello malvagio. Neanche in questo film Miike si smentisce, mostrandoci cattiverie visive inaudite (feti trattati come spazzatura, torture agghiaccianti) e temi assai scabrosi (prostituzione, incesto). Sconsigliato ai deboli di cuore e di stomaco. Due pallini e mezzo perché l'ho trovato veramente insopportabile.
MEMORABILE: La povera Komomo, torturata ferocemente per un anello: odio profondo per la proprietaria del gioiello e per la torturatrice.
Il tentativo di veto su questo episodio ha avuto il merito di squarciare il velo di ipocrisia su una serie che, partita con l'intento di dar carta bianca agli autori, si è poi mostrata soprattutto un'inerte operazione commerciale. Miike crea semplicemente un film mediamente disturbante, quel che per un horror dovrebbe esser minimo sindacabile, ma evidentemente ciò è bastato a far paura a Garris & co. Confezione di gran classe, "sabotata" da efferati momenti di violenza: un mix dal fascino perverso. Ci sarebbe voluta però una narrazione più ellittica. Buono.
Miike osa e centra il bersaglio. Abbacinante, disumano e sordido delirio etico e morale. Siamo nell'orrore con la O maiuscola che monta a suon di verità potentissime, che graffia facendo sanguinare cuore e mente. Siamo nella morbosità parossistica, siamo al pugno nello stomaco, anzi, in mezzo al diaframma. Siamo alla pura follia sublimata da una messinscena inversamente elegante contrapponendosi alle atmosfere macabre e malate. Siamo a quando la voglia di guardare diventa direttamente proporzionale al delirio rappresentato. ***!
Carico di una violenza inaudita che lo confina a una esperienza cinematografica borderline per l’impatto che è in grado di esercitare. Non si limita solo a sconvolgere lo spettatore, ma riesce comunque a mantenere l’attenzione grazie a una sceneggiatura che regge bene e alle capacità del regista di fornire un’opera dove la sua impronta è chiaramente riconoscibile. Difficile, se non impossibile, trovare qualcosa di simile in un prodotto destinato alla televisione.
Sorprendente episodio della serie "Masters of Horror", uno dei più belli ed estremi. Sadico, evocativo, denso, disturbante e di uno strano barocco di tipo giapponese. Girato alla meraviglia, con gusto e ricerca. Molto raffinato nelle scelte coloristiche (fotografiche) e di messa in scena; effetti speciali perfetti in tutto e davvero efficaci nella simulazione del cruento. Una vera perla da non perdersi.
Miike attinge alla migliore tradizione dell'horror nipponico per confezionare un lavoro nel quale la dimensione disperata della vicenda amplifica l'effetto delle scene più violente. La tortura con gli aghi non rappresenta solo il momento più crudo della serie, ma uno dei più insostenibili mai visti al cinema o in tv. Belli gli interni della maison, splendido il cromatismo degli sgargianti paesaggi. Discrete le interpretazioni del cast giapponese, veramente brutta quella di Drago, ma non è una sorpresa che Miike abbia lasciato correre.
Come spesso accade in Takashi i momenti più scioccanti e duri sono anche gratuiti (la scena della tortura, una variazione pornografica) non avendo le sue storie un sostrato ideologico e simbolico davvero creativo. Fra perturbante e repellente, inoltre, c'é una linea di demarcazione che solo il buon gusto impedisce di oltrepassare (il mostriciattolo, i feti, l'incesto): ma Takashi il Rubicone lo attraversa regolarmente originando un Barnum d'effetto quanto superficiale.
L'episodio diretto da Miike per la serie ideata da Mick Garris è sicuramente quello più violento e malato. Una serie di atrocità, torture e nefandezze che si susseguono dall'inizio alla fine, però calate in un'atmosfera onirica e particolare. I tocchi visionari del Maestro si fanno sentire e ne viene fuori una vera giostra del macabro assolutamente da non perdere.
Certamente è l'episodio più cruento della prima serie, ma non tra i migliori. Nel tentativo di stupire continuamente lo spettatore, gli autori costruiscono una sceneggiatura irrisolta e poco credibile. Il regista esibisce un indubbio mestiere, ma le interminabili violenze superano spesso la soglia di sopportabilità. Non convincono né il protagonista maschile né il finale orrorifico. Alla fine, ciò che rimane impresso è solo l'interminabile scena delle sevizie. Anche l'atmosfera torbida e malata che permea l'episodio risulta alla lunga nauseante e artificiosa. Mediocre.
Horror profondo e malato, poetico e terrorizzante, duro e molto inquietante. Sembra partire un po' lento ma poi Miike cattura lo spettatore con il suo inconfondibile stile registico. Aborto, incesto, pedofilia, violenza e vendetta miscelati in un'ora dal forte impatto visivo. Terribile la scena di tortura, citazione (nel finale) a un certo tipo di cinema henenlotteriano.
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HomevideoZender • 26/11/07 20:32 Capo scrivano - 48363 interventi
Il 29 novembre uscirà per la vendita il secondo cofanetto della serie MASTERS OF HORROR 392 minuti).
Conterrà: HAECKEL’S TALE - LA TERRIBILE STORIA DI HAECKEL + IMPRINT - SULLE TRACCE DEL TERRORE + CHOCOLATE - IL GUSTO DELL’OSSESSIONE + DREAMS IN THE WITCH HOUSE - LA CASA DELLE STREGHE + DANCE OF THE DEAD - LA DANZA DEI MORTI + FAIR HAIR CHILD - PATTO CON IL DEMONIO + SICK GIRL - CREATURA MALIGNA
Audio: Ita.DS
Video: 16:9/1.78:1