il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

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362016 commenti | 68752 titoli | 27075 Location | 14290 Volti

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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Ivan Greeve

    Ivan Greeve

  • Giancarlo Ferri

    Giancarlo Ferri

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Magerehein
Vorrei ma non Possum? Domanda che nasce spontanea e a cui vien facile rispondere sì; anche in questo caso abbiamo un film che vuole combinare l'orrore con il dramma; peccato non riesca a valorizzare adeguatamente né l'uno (a emersione tardiva) né l'altro (limitato a un paio di momenti sinistri). I ritmi bassi e qualche riempitivo di troppo non aiutano affatto, la scelta di mostrare il tutto solo attraverso occhi infantili (che naturalmente non capiscono subito cosa stia accadendo) si può invece apprezzare; le due bambine sono tra l'altro le migliori del cast. Straniante.
Commento di: Cerveza
Film che accosta i luoghi sacri di Assisi (ottimamente fotografati) ai profani atti impuri dei senzadio. Un'opera a due velocità che ruggisce solamente quando Salce sfoggia il suo furore da rivoluzionario modaiolo finto giovane; poiché con i batticuori dei due piccioncini, il ritmo langue. La Stefanelli è come un dipinto del Bronzino: stupenda ma appesa. Crostarosa le si adegua e non emoziona. Per ottenere un po’ di sapidità occorre ogni volta l'intervento dei navigati Ballista, Gora e Merlini. Nel frattempo la Bouchet fa passerella qui e là, ocheggiando senza costrutto.
Commento di: Giùan
Rosita, cantante di strada, viene condannata per aver pubblicamente deriso il Re, che in realtà irretito se ne invaghisce mentre la ragazza si innamora di un condannato a morte. Chiamato a Hollywood dalla diva Pickford, Lubitsch vi lascia già il segno con questo "capriccio spagnolo" nel quale conferma le sue grandi doti nella messa in scena (col perfetto utilizzo delle scenografie di Menzies e il montaggio dinamico), abbinate a quel "tocco" che gli permette di delineare sinteticamente personaggi e situazioni. Non a caso il film scorre ancora clamorosamente, nonostante fatuità e età.
Commento di: Reeves
Un thriller che prende spunto anche dal poliziottesco che tanto successo aveva in quegli anni. Claudio Cassinelli ha una parte molto ironica che però non è tanto nelle sue corde e che ogni tanto lo mette in difficoltà. Si salvano le scene di azione (nelle quali Sergio Martino è maestro) e la descrizione di un ambiente malsano e corrotto nel quale le minorenni che forniscono il titolo navigano con una certa disinvoltura.
Commento di: Siska80
Due single si ritrovano alle prese con tre appuntamenti pianificati... come andrà a finire? Per loro sicuramente bene, per gli spettatori meno, dato che questa commedia che non decolla veramente mai è incapace di offrire anche solo un momento vagamente coinvolgente (in un mare di situazioni prevedibili) e di certo è adatta a chi vuole rilassarsi senza troppe pretese e ama vincere facile. Il ritmo abbastanza scorrevole quantomeno consente di non annoiarsi troppo e la coppia protagonista è esteticamente gradevole (sebbene i rispettivi personaggi appaiano sin da subito stereotipati).
Commento di: Luluke
Da Arancia meccanica in poi l'idea di una società caratterizzata da esplosioni incontrollate di violenza urbana, è stata da un lato trattata come distopia, anche se poi il mondo reale ne offriva esempi sempre più cruenti; e dall'altro come fenomeno combattuto dal governo. DeMonaco la rovescia, creando la dimensione dello "sfogo", autorizzato semel in anno. E mette tutto nel calderone: il razzismo, la logica del profitto di chi vende sistemi di protezione delle case, l'invidia per il successo altrui. Risultato discreto, grazie a un climax centrato e la maschera sofferente di Hawke.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

In questi thriller da divano che chiaramente non possono disporre degli stessi mezzi di quelli destinati alle sale, le trame sono ciclicamente sempre le stesse. Quella in cui un elemento estraneo si intromette all'interno di una famiglia felice per sostituirsi in qualche modo a uno dei componenti è tra le più abusate; e, all'interno di queste, la variante più frequente è proprio quella della baby sitter che, millantando referenze inventate lì per lì e spacciate per autentiche grazie a trucchi vari, mostra subito mille risorse diventando, per chi...Leggi tutto ne ha richiesto l'aiuto, insostituibile.

Ecco, l'ambito di THE STRANGER GAME è esattamente quello appena descritto, con la differenza che la tata è qui un... tato, ovvero un uomo. Charlie (Orth), infatti, è il tuttofare che, conosciuto da Joanna Otis (Rogers) a un party legato al suo lavoro (lì fa il cameriere), le si propone per badare al loro figlio Sam (Dubois) quando loro non sono a casa. E capita spesso, perché anche Paul (Hope), il marito di Joanna, è uno che ci dà dentro col lavoro e spesso resta in studio fino a tardi. Anzi, i due escono da una crisi perché lei aveva scoperto come a quei rientri in piena notte era da associare un'amante che con l'uomo filava da oltre un anno! Poi il perdono, il pentimento di lui e il rientro nei ranghi. Ora la nuova "capa" è una sventola bionda (Salomaa), ma Joanna cerca di fidarsi di Paul e lui sembra davvero ravveduto.

Serve una mano in casa, comunque, e Charlie casca come il cacio sui maccheroni: cucina, sistema le lampadine, mette le trappole per i topi, cura il giardino, diventa da subito amico del simpatico cicciottello Sam... Che si può volere di più? Una trama meno scontata? Forse, ma dopotutto ci si può pure accontentare, dal momento che Mimi Rogers garantisce un'interpretazione superiore alla media del genere e che David Orth ha lo sguardo malizioso giusto per tenere tutti sulle spine. Scoprire il suo gioco tuttavia non è cosa da nulla (come non lo è mai, in questi casi); perché è talmente servizievole, gentile, ricco d'ingegno, capace di risolvere ogni problema che non è facile rinunciarci. E perché poi si dovrebbe? Controindicazioni non sembrano essercene ed è il solo Paul a non fidarsi di tanta untuosa disponibilità, come da tradizione. Mamma e figlio, al contrario, ne vanno pazzi. E non si accorgono che se qualcosa comincia a girare storto, nelle relazioni in casa, è perché “qualcuno” ci ha messo lo zampino.

La regia spigliata di Terry Ingram garantisce buona scorrevolezza, i momenti di ambiguo confronto non mancano e solo il finale appare tirato via e inefficace. Quando insomma ci sarebbe da far partire il vero spettacolo... casca un po' il palco e ci si rifugia in una svolta action goffa e modesta, difetto che coinvolge invero un po' tutta l'ultima parte. Meglio quando la famiglia è ancora all'oscuro dei piani di Charlie e ci si diverte a vedere quali stratagemmi il diabolico tato architetta per mettere zizzania tra i coniugi...

Si può guardare se si vuol passare un'ora e mezza senza impegno; poi certo, a contare i buchi e gli spunti buttati lì senza criterio (si veda l'amico che spunta dal passato di Charlie e gli tira un brutto scherzo alle giostre, con zuffa alle spalle di Joanna che non s'avvede di nulla) si dovrebbe essere più impietosi, ma dal momento che in fondo lo si vede con un certo gusto...

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Commovente ritratto di un creativo poliedrico, capace come pochi di spaziare nei diversi campi dell'arte lasciando tracce di sé in alcuni casi indelebili. Un documentario tanto più interessante quanto più riesce a trasmettere lo spessore del personaggio, troppo a lungo confinato nell'ambito del cabaret senza che si riuscisse a comprenderne le reali potenzialità. Raccontarne le esperienze, ripercorrere le tappe di una vita tanto varia, significa raccontare il talento dell'uomo, ampiamente riconosciutogli dai tanti intervistati le cui frasi al miele ne certificano...Leggi tutto la straordinarietà.

Inevitabilmente molta parte dell'opera riguarda gli anni in cui Faletti più si è mostrato in pubblico, più ha raggiunto una notorietà riconducibile a un volto, un'espressione, un personaggio. Poi certo, è naturale che l'inatteso, enorme successo ottenuto come scrittore abbia cambiato ogni prospettiva inquadrandolo in un'ottica diversa, culturalmente più elevata. Se “Io uccido” svetta tra i romanzi italiani più venduti di sempre è scontato che ogni altra esperienza precedente venga in qualche modo oscurata.

E' ottimo in regia il lavoro di Alessandro Galluzzi e Michele Truglio nel porre l'attenzione sulle peculiarità della personalità di Faletti, dando risalto (fin dal titolo) alla canzone che, presentata a Sanremo nel 1994, fece conoscere all'Italia intera il volto inedito, di quello strano “comico” che ancora tutti identificavano inevitabilmente con l'agente Vito Catozzo, il personaggio che più di ogni altro era rimasto impresso nella memoria di tutti nonché l'unico tra i tanti suoi (la suora Adalpina, lo stilista gay di ”Emilio”, il bimbo matto Carlino...) che lo stesso Faletti diceva di interpretare “diventandolo”.

Attraverso le fondamentali, toccanti testimonianze della vedova Roberta Bellesini Faletti, del cugino a cui fu vicinissimo, degli amici Enzo Iacchetti, Nino Frassica o Nino Formicola (il Gaspare del due con Zuzzurro) ne cogliamo le debolezze e il carattere fragile, mentre attraverso le parole di due cantautori di successo come Angelo Branduardi (per il quale scrisse due album) o Paolo Conte (astigiano come lui) se ne mettono a fuoco le grandi qualità come autore di testi (scrisse anche per Milva e Gigliola Cinquetti), portate in evidenza per l'appunto dal brano “Signor tenente”. La genesi del brano viene ben spiegata: Faletti chiese a Danilo Amerio e altri di scrivergli una breve introduzione musicale per contrabbandare poi per canzone (a Sanremo all'epoca il rap non esisteva ancora) quello che era di fatto un testo recitato, di buon valore poetico e di denuncia.

Poi il successo definitivo, raggiunto con la pubblicazione di “Io uccido”, e le ridicole accuse (che lo ferirono) di avere alle spalle un ghost writer, le ospitate alle “Invasioni barbariche” di Daria Bignardi e non solo, la giusta celebrazione di chi aveva saputo scrivere un giallo d'impronta internazionale, destinato a segnare la storia del genere in Italia. Fondamentale l'apporto del “collega” Massimo De Cataldo (anche coautore della sceneggiatura), del compianto giornalista musicale Massimo Cotto (a cui il documentario è dedicato), del compagno d'avventure nella Milano fine Settanta Antonio Ricci (che lo lanciò poi in “Drive In”), del regista Fausto Brizzi che lo rilanciò anche come attore in NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI (non mancano i simpatici aneddoti raccontati da Nicola Vaporidis) e che ricorda come la frase più citata del suo film fu opera proprio di Faletti, il quale pretese di inserirla per il finale e che Brizzi accettò di lasciare nonostante fosse poco convinto che funzionasse.

Un bel compendio, quindi, delle esperienze che hanno contribuito a iscrivere Giorgio Faletti tra le figure più singolari, eclettiche e fors'anche più sottovalutate dei nostri tempi, sfuggente e maturo, spesso malinconico, talvolta quasi dimenticato a fronte di risultati (almeno a livello di scrittura, sia musicale che letteraria) inavvicinabili dalla stragrande maggioranza dei suoi colleghi più celebrati. Un artista a tutto tondo che non merita di essere dimenticato, che rivediamo in molti sfiziosi filmati d'archivio.

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Lasciando pur perdere un finale telefonato e per forza di cose coerente con la piega presa dal film, BIG BAD WOLVES ha al suo attivo soprattutto un eccellente personaggio, che tarda un po' a entrare in scena lasciando che la prima parte scorra senza riuscire mai davvero a ingranare. Si parte con la scomparsa di una ragazzina, per attendere la quale c'è da sorbirsi un (troppo) lungo incipit al ralenti: per quanto sia suggestiva l'ambientazione della casa abbandonata tra i boschi, la durata eccessiva smorza l'efficacia che sembrava avere. E anche dopo, quando subentra la polizia...Leggi tutto che malmena senza pietà un professore (Keinan) sospettato di essere il pedofilo killer che potrebbe aver ucciso la ragazzina scomparsa, qualcosa non gira come dovrebbe, soprattutto dal punto di vista registico. Perché invece certi dialoghi fanno già intuire le potenzialità dello script.

Siamo in Israele, si capisce che gli scenari sono diversi da quelli a cui siamo abituati, anche se un inseguimento a piedi tra stretti viottoli rimanda a una scena analoga e riuscitissima di POINT BREAK. Il professore, preso a pugni e malmenato in un capannone da poliziotti che non vanno tanto per il sottile, continua a dichiararsi innocente e se ne torna malconcio in classe, scoprendo che un ragazzino presente (non visto) al pestaggio ha filmato la scena di nascosto postandola sui social.

Micki (Ashkenazi), l'agente responsabile del maltrattamento, viene allontanato dal suo incarico e comincia a indagare per conto proprio, intuendo che l'unico modo per ritrovare credibilità è dimostrare come davvero il professore sia responsabile dell'uccisione della ragazzina. Per questo riprende la caccia all'uomo, interrotta solo dall'intervento del padre (Grad) della piccola vittima, il quale porta tutti nello scantinato della casa appena acquistata e comincia a condurre un interrogatorio molto particolare... E' lui la figura più interessante del lotto, che sorpassa il pur feroce poliziotto e si dedica all'arte della tortura con l'unico obiettivo di far confessare al professore dove sia la testa mai ritrovata che è stata staccata dal corpo di sua figlia.

Senza dover ricorrere a virtuosismi tecnici particolari, i due registi (e sceneggiatori) Aharon Keshales e Navot Pupushado dimostrano di saper come gestire la tensione, dosando lo splatter e inserendosi con intelligenza in un filone ad oggi molto florido. Le tracce di black humour arguto lasciano il segno e Tzahi Grad ha la statura per imporsi sul pur bravo Lior Ashkenazi, guadagnandosi il ruolo del vero protagonista in attesa che subentri ancora chi parteciperà al massacro in modo davvero inatteso e - in qualche modo - geniale, facendoci tornare alla mente la famiglia della motosega...

Quelli che appaiono come buchi logici e incongruenze troveranno invece una precisa rispondenza nella trama a conferma di un lavoro efficace, realizzato con tutti i crismi e con un finale da interpretare. Dimenticati gli impacci della prima parte, il film ci immergerà in una dimensione nerissima in cui il sadismo troverà ampio spazio, con qualche risvolto psicologico sorprendente che giustifica i tanti apprezzamenti ricevuti dal film (e dal solito Tarantino, che certi lavori ha sempre dimostrato di amarli). Gustoso Grad che impasta al ritmo molto rétro della "Everyday" di Buddy Holly.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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