Siamo dalle parti di certo Lynch o del Cronenberg di Spider, ma i paragoni non rendono comunque l'idea di un lavoro perennemente in bilico tra psicodramma, thriller e suggestioni horror, calato in un'Inghilterra periferica deprimente tra ambienti semi-abbandonati, desolati boschi e canali di scarico. L'orrendo pupazzo-feticcio, la marcescente casa dello zio e le varie allucinazioni rendono bene l'atmosfera opprimente e funerea, anche grazie a una ost ben scelta; la risoluzione finale, pur dovuta, è in fondo la parte meno interessante del film.
Fa la magia tutto quel che vuoi tu? Quasi. Finché il film è panoptico ove api operaie del farneticare e regine dell'ultraterreno si scambiano di grado e vedetta, e duchampiano periplo che interroga i nostri sensi di ragno, privandoci di appositi sostegni e lasciandoci soli e smarriti come Philip tra continui scambi vascolari di rasature perfette e sguardi nell/dall'abisso, si soggiace a wunderwaffen fuori controllo. Il sipario calante è ahinoi un fortunale logico spazzante parte dello scombussolamento fin là provocato. Ma al prodigioso esordio di un artifex da tenere sotto tiro, lo si accorda.
MEMORABILE: Gli opening credits; Il favoloso lavoro sul suono
Esorcismi del (o dal?) passato: il burattinaio Philip è esso stesso marionetta manovrata dai propri traumi, deciso a ritornare sui luoghi di un'infanzia problematica per liberarsi del mostruoso feticcio-boogeyman Possum (evocato da un'antica filastrocca infantile), pur essendo del tutto incapace di farlo. Storia volutamente ambigua, anche nel poderoso crescendo del finale, che illude di risolvere il mistero: protagonisti giganteschi, con Harris triste mimo dal pallore crescente e Armstrong laido, detestabile orco. Richiede tempo e pazienza.
MEMORABILE: Cos'è veramente successo durante l'ultima esibizione di Philip che lo zio Maurice nomina, unicum, all'inizio del film?
Tra le piaghe dell’orrore misantropico un thriller denso e allucinatorio, che raggiunge il suo vertice massimo nell’accordo che sta fra realtà e mistificazione. La regia di Holness fluttua nel baratro della follia audiovisiva, mentre Harris e Armstrong regalano persuasive interpretazioni da madhouse. Scenari gelidi, lunari e di una disperazione senza limiti. Fobico.
Burattinaio fallito torna nei luoghi d'infanzia per sbarazzarsi di una terrifica e singolare marionetta, e intanto un ragazzo scompare... Il povero Philip (un impressionante Harris per il quale è impossibile non provare pietà), e lo spettatore con lui, si barcamena senza apparente via di scampo in un limbo da incubo fatto di solitudine e ambienti desolati e putridi (indimenticabili la lurida casa e lo zio che la abita). Come stanno davvero le cose? Dov'è il confine fra le visioni dell'uomo e gli apparenti "poteri" del suo fantoccio? Il finale chiarirà molte cose. Assai interessante.
MEMORABILE: L'aspetto di Possum e i suoi movimenti; L'uomo mascherato che esce dall'ombra.
Il dramma di una follia strisciante e ambigua che avvolge l'umbratile esistenza di Philip, condizionata dall'orrifica presenza di un burattino ragniforme residuo di un passato traumatico, dal quale vorrebbe ma non può liberarsi. Un incubo livido che il regista costruisce anche sulla base di suggestioni visive che vanno da Švankmajer a Cronenberg, con un certo tributo alla gestualità del muto (uno strepitoso Harris quasi completamente afasico); da rimarcare il peso del sound design angoloso e dissonante che fa tutt'uno con le misantropiche ambientazioni solitarie e degradate.
MEMORABILE: Il vagolare continuo di Philip col borsone in mano; L'atroce zio-orco; Liberarsi del raccapricciante burattino; Il finale.
Perla nera che sembra un incrocio tra Eraserhead e Spider ma è anche qualcosa d'altro. Del capolavoro lynchano ha la visionarietà: Philip che vaga nella brughiera o in desolati ambienti post industriali o le sue allucinazioni psicotiche. Di quello cronenberghiano la disperata solitudine del protagonista nella sua presunta follia. Sean Harris lascia a bocca aperta per la straordinaria mimica facciale e corporea, dando i punti a Ralph Fiennes, ma ottimo è anche il laido Armstrong. Strepitosa l'ambientazione in un'Inghilterra periferica e marcescente. Molto azzeccata la soundtrack.
MEMORABILE: L'inquietante ragno con testa umana; La camminata di Philip col borsone; Il ragno nel corridoio; La fiaba disegnata da Philip; Lo zio del finale.
Accattivante horror psicanalitico che dimostra come un autore col giusto grado di finezza stilistico-visiva possa riempire una durata da lungometraggio attraverso "semplici" (si fa per dire) composizioni di suggestiva levatura uncanny (magistrale il design del burattino aracnoideo, sorta di perturbante summa figurativa di ancestrali fobie ricorrenti), valorizzando senza forzature i tempi dilatati e il minimalismo concettuale del soggetto. È comunque necessario un elevato livello di partecipazione e consensualità dello spettatore. Quasi superflue le rivelazioni esplicitate nel finale.
MEMORABILE: L'eccezionale OST; La surreale fatiscenza delle location; La fotografia neo-espressionista; Gli agguati del pupazzo nel crescendo creepy conclusivo.
Dramma nero (con venature horror) che parte da Lynch e arriva a Cronenberg per questo coraggioso esordio alla regia di Hollness. Una manciata di attori, tempi dilatati, lunghi silenzi, narrazione slegata, inquadrature spesso fisse e con angolazioni suggestive. Confuso e inquietante, surreale e zeppo di sottotesti, destabilizzante e disturbante per come va a trattare temi come la pedofilia e la follia umana. Azzeccata colonna sonora e ambientazione, bravissimo Harris, finale chiarificatore che però paradossalmente toglie qualcosa invece di aggiungere.
MEMORABILE: Il possum e i suoi movimenti; La prestazione di Harris.
Oggettivizzare le proprie paure può essere utile per liberarsene? Non è il caso del protagonista, un burattinaio che, dopo aver costruito un pupazzo con la testa umana e il corpo da enorme ragno, non riesce a eliminare l'orrenda creatura... Anche se pieno di richiami letterari e cinematografici, è un horror low cost originale e molto disturbante. Punto di forza l'eccezionale prestazione di Harris, a cui basta uno sguardo smarrito per trasmettere angoscia e sofferenza, convincente anche Armstrong nel ruolo del laido patrigno/zio, funzionali la messa in scena cupa e l'ost dissonante.
Bella l'ambientazione in una Inghilterra periferica, tra edifici fatiscenti o abbandonati, stazioni dismesse, quartieri deserti. Bello e appropriato il commento sonoro. Ma il plot? Con esasperante lentezza si segue il peregrinare (apparentemente a vuoto) di un malato di mente sino al disvelamento del trauma che lo ha segnato. Insomma, una storia simile a quella di Spider, ma raccontata in modo molto monocorde e, se possibile, ancor più opprimente. Ai limiti dell'indigeribile.
Credibilissimo ritratto di un personaggio ultraproblematico, sociopatico tutto ossessioni e allucinazioni, forse invischiato in una storia di delitti. Il protagonista sembra nato per la parte e lo spoglio contesto periferico - ben reso da una regia precisa e professsionale. si adatta alla perfezione ai suoi alienati girovagare. Va detto che il copione, nonostante la durata non eccessiva, alla lunga sembri un po' girare a vuoto, ma a risollevare il tutto abbiamo un finale notevole, liberatorio ma amarissimo, che a sorpresa getta luce sull'intera vicenda.
Dato atto del tentativo, sempre meritevole di plauso, di horror adulto, non ci si può poi esimere dal segnalare come il presupposto fondamentale di un'operazione del genere, la dialettica cioè tra autore e spettatore, non sia né particolarmente originale né sinceramente disturbante. Holness indovina protagonista (un Harris catatonicamente devastato, ma anche il viscidissimo zio Maurice di Armstrong) e ambientazione, ma l'onirismo è un po' stucchevole e gli echi autoriali (Cronenberg ma più spesso viene in mente un Dupieux senza sense of humour) talora ridondanti. Tuttavia straziante.
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visto in uno stato di totale arrendevolezza a tarda notte, ho pensato anch'io a spider. uno spider più letterale, forse. favoloso quando si mostra retrattile e refrattario a ogni spiegazione, e lascia lo spettatore incapace di capire se l'alambicco stia tutto nella picchiata testa del protagonista, se -come viene detto dal co-protagonista- possum ha autonomi scoppi di volontà, o se c'è un gioco di leve tra le due valenze.
purtroppo verso la fine si viene in piccola ma malaugurata parte imboccati e il gusto-gioco un po' si guasta. mi ha anche molto riportato, per il lavoro bellissimo sull'apparato sonoro, dalle scoscese parti di clean, shaven e per il suo essere mutacico in parte mi ha ricordato il notevole observance. peccato che come quest'ultimo non abbia optato per un'enigmaticità portata fino in fondo alle più estreme conseguenze. certo è che la sua capacità di perturbare e colpire corticalmente non è bassa. per certi versi, anzi, la regina madre dei film che slacciano ogni cintura di sicurezza agli aracnofobi sta proprio qua. comunque, scapolata l'accondiscendenza verso lo spettatore che chiede a gran voce risposte, un grande esordio degno d'ogni nota, diesis e bemolle.
Sì, film che ben rappresenta i labirinti più cupi della psiche umana e regista decisamente da tenere d'occhio. Speriamo non sparisca nel nulla come quasi tutti i registi esordienti che ho seguito negli ultimi 4 o 5 anni...
a quanto so si sta tenendo col vento in poppa lavorando nelle serie tv. qualcosa mi dice che ne sentiremo riparlare. se non come regista, come attore (alcuni di noi l'avranno già forse visto operativo nell'ordine naturale dei sogni, così per stare sul tematico pezzo). e a proposito di attori, ma quanto è titanica da 1 a 2 la prestazione performativa di sean harris?
Schramm ebbe a dire: a quanto so si sta tenendo col vento in poppa lavorando nelle serie tv. qualcosa mi dice che ne sentiremo riparlare. se non come regista, come attore (alcuni di noi l'avranno già forse visto operativo nell'ordine naturale dei sogni, così per stare sul tematico pezzo). e a proposito di attori, che quanto è titanica da 1 a 2 la prestazione performativa di sean harris?
Assai. Peraltro con quella smorfia sembra quasi un attore da film muto.
Segnalo la presenza di Dominic Hailstone come "papà" di Possum. Il volto ricorda molto da vicino quello della sua vecchia anguillona proteiforme di The eel...
bubomega, tra l'altro se sei passato da questa via crucis senza ritirare le ventimila di kerrigan, ripara subito, per ragnatela narrativa e verticalità sonora quest'opera ne è, non so quanto involontariamente, sua diretta pronipote... senza contare che meriterebbe un altare cui genuflettersi prima di andare a letto.
Schramm ebbe a dire: bubomega, tra l'altro se sei passato da questa via crucis senza ritirare le ventimila di kerrigan, ripara subito, per ragnatela narrativa e verticalità sonora quest'opera ne è, non so quanto involontariamente, sua diretta pronipote... senza contare che meriterebbe un altare cui genuflettersi prima di andare a letto.
Avevo spulciato per bene i riferimenti del tuo commento prima di azzardarmi a commentare a mia volta :) in questi giorni guardo sia quello che Observance.