il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

I RACCONTI DELLA CRIPTA
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361349 commenti | 68643 titoli | 27040 Location | 14250 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: Una commedia pericolosa (2023)
  • Luogo del film: Lo stabile in cui abitano Maurilio (Brignano) e Rita (Pession)
  • Luogo reale: Fondazione Pastificio Cerere, Via degli Ausoni 7, Roma, Roma
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  • Film: La donna che inventò l'amore (1952)
  • Multilocation: Casino di Villa Massimo
  • Luogo reale: Via di Villa Ricotti 20, Roma, Roma
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Immacolata Donniacuo

    Immacolata Donniacuo

  • Nicola Conti

    Nicola Conti

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Cotola
Il tema di fondo - la demenza senile - è uno di quelli di grande importanza, che colpiscono nel profondo lo spettatore. La sceneggiatura, al di là dello spunto fantascientifico, si mantiene sul crinale del realismo e racconta cose che riguardano o potrebbero riguardare molte persone. E ha il coraggio, narrativamente parlando, di mantenere ciò che promette sin dall'inizio (per qualcuno potrebbe essere un limite), senza diversioni e incredibili colpi di scena. Ottima la caratterizzazione dei personaggi. Eccellente la prova di Samuel L. Jackson, ma tutto il cast dà il meglio di sé.
Commento di: Galbo
Tornano gli immarcescibili dinosauri. Sebbene l’originalitá si sia persa da tempo, "La rinascita" rappresenta l’episodio migliore da anni a questa parte: merito di un’ambientazione all’altezza (le Dolomiti del capitolo precedente non si potevano sentire!) che riporta la storia all’alveo originale, della giusta miscela tra azione e ironia e soprattutto alla presenza di un cast particolarmente azzeccato che la regia di Edwards impiega in modo ottimale.
Commento di: Buiomega71
Un po' Il tempo delle mele, un po' Piccolo grande amore e qualcosa di Amarsi un po'. Pseudo sotto vanzinata giovanilistico/francofona che, dopo un'inizio "poetico" (i due bambini sulla spiaggia, gli aquiloni che si librano in cielo), si perde in schermagliette amorose tra due adolescenti, con riempitivi inutili e poco divertenti (la gara con i muli, l'encierro coi tori, l'uscita in motorino) tra discoteche, baretti all'aperto, canzonette e pacchiane feste snob a suon di valzer e fuochi d'artificio. La dimensione è quella di una commediola frivola e superficiale al sapore nostalgico.
Commento di: Kinodrop
La complessità dell'acredine personale e sociale che pervade il grande romanzo di Bianciardi viene qui ridotta a una critica non certo profonda della società dei consumi in una Milano del boom che finisce per schiacciare qualsiasi velleità di cambiamento e di ridurre anche un personaggio ideologicamente determinato come il protagonista a una pedina conformista, pur se obtorto collo. Una narrazione frammentata e moderna a cui si perdona qualche lungaggine e che regge nel tempo anche grazie all'ironia così ben incarnata da Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli. Ottima OST di Piccioni.
Commento di: Giùan
Lascia un po' d'amaro in bocca, considerato che gli elementi in gioco erano decisamente stuzzicanti e l'approccio alla materia (una sorta di stuporoso disincanto) quello giusto. Purtroppo invece la Steigerwalt perde progressivamente il bandolo della (invero intricata) matassa, trasformando il film in una "ammucchiata" di temi, non trovando più il giusto tono per raccontare inadeguatezze, tragedie e miserie dei suoi protagonisti (per i quali peraltro ribadisce una lodevole risarcitoria pietas). Non a caso anche le ottime performance di Castellitto e Ronchi risultano più disorientate.
Commento di: Dave hill
Meraviglioso. Trama avvincente, attori straordinari e perfettamente in parte, regia evocativa, sublimi musiche di Morricone. Il West come dimensione fuori dal tempo, non poetico miraggio di libertà ma cruda e violenta terra di nessuno senza leggi, se non quella del più veloce, né pietà. Giganteschi Lee Van Cleef, eroe tenebroso, apparentemente glaciale e carismatico e Volonté folle, "drogato", barbaro capo banda di briganti. I duetti tra Eastwood e Van Cleef provano a sciogliere la tensione ma il film resta cupo, brutale, epico.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Omaggio, rielaborazione, metacinema? Solo parole. Barriere da abbattere. Cattet e Forzani centrifugano tutto senza preoccuparsi di seguire una logica o una linearità che sovrintenda a quello che sembra dipanarsi quasi come un flusso di coscienza; è invece trasmissione di sensazioni, emozioni, colori, collegamenti mentali che uniti rimandano al cinema italiano (e minoritariamente europeo) dei gloriosi Anni Sessanta, in cui spadroneggiavano gli 007 in economia, le indagini tra giallo e noir sempre all'insegna di una professionalità impensabile, considerati i mezzi allora...Leggi tutto a disposizione.

E così, mentre nel mondo il cinema americano mieteva successi commerciali non avvicinabili, cinefili e critici fanatici si accorgevano che era l'Italia, il paese in cui si sotterravano tesori da scoprire e amare. Film che estremizzavano le tendenze più in voga (lo splatter, il sesso, la violenza, l'azione) cesellandole con la professionalità di maestranze straordinarie, accompagnandole con colonne sonore di raffinatezza inimitabile, cromatismi intriganti di direttori della fotografia di grande talento, scenografie ricchissime... Film di cui innamorarsi e che nel corso degli anni in tanti hanno celebrato.

Cattet e Forzani non esordiscono qui e già il loro percorso in questa direzione l'avevano intrapreso; in REFLET DANS UN DIAMANT MORT lo portano a compimento, confondendo chi guarda con una storia che si presta a surfare sulle onde del diversamente interpretabile, fornendo alcuni punti fermi da cui partire per poi travolgerci con un attacco frontale portato da immagini virtuosisticamente composte e fantasiosamente montate. Il lavoro certosino che conduce gli autori a studiare quasi ogni fotogramma alla ricerca di soluzioni visive d'impatto, che arrivino a mescolare l'immaginario di allora in un elettrizzante bombardamento di suggestioni, a tratti lascia di stucco.

L'estetica è di qualità sopraffina, l'avvicinamento a stilemi precisi viene realizzato con evidente padronanza della macchina da presa attraverso l'appropriazione di un intero universo cinematografico fin dalla scelta come protagonista di Fabio Testi, il quale, per quanto sostituito nella sua controparte giovanile da Yannick Renier, resta un'icona di quegli anni indimenticabili. Lo troviamo in un lussuoso albergo della Costa Azzurra a osservare le morbide curve di una ragazza che siede in spiaggia poco più avanti di lui e che poi scompare. E' la scintilla che, innescando un incessante bombardamento di flashback agganciati con gusto al presente, fa esplodere l'azione.

John Diman/Testi ricorda di quando era un agente segreto, di quando cacciava la malvagia Serpentik (la Satanik di Vivarelli è citata apertamente nel look) e si lanciava in avventure travolgenti, uccideva e fuggiva, cambiava maschera tuffandosi nel pericolo. Tutto vero? Siamo sicuri? Lo scopriremo; ciò che conta è la debordante messa in scena, che saccheggia musiche splendide dei nostri maestri di allora (Morricone ma non solo) lasciando che Testi e Renier parlino in italiano (Renier in modo buffo con accento straniero, il che stona un po' con l'origine italiana del personaggio) in un'alternanza che però vede il francese come lingua ampiamente più utilizzata (il film è in gran parte sottotitolato).

Rispetto al passato l'operazione recupero è attuata con maggiore consapevolezza, associata a un desiderio evidente di rompere quanto più possibile gli schemi anche a costo di apparire pedanti e ripetitivi. Se si accetta di entrarci (e non è da tutti), il gioco vale la candela, perché sono ottanta minuti di mirabilie e incroci funambolici tra suoni (studiatissimi) e immagini che nell'ultima parte svelano il trucco costringendoci a riconsiderare l'intera storia sotto un'ottica diversa. E' qui che il metacinema impazza e la fusione con fumetti, musica, fotoromanzo eleva ulteriormente il livello della sfida.

Non un film tradizionalmente inteso, più un'immersione in apnea (pochi i dialoghi) colpiti da frammenti scomposti di un passato restituito attraverso un linguaggio riconoscibile e seducente. Stilettate di violenza, graffi e maschere strappate, pelle lacerata, primissimi piani sugli occhi, zoom, lame abbaglianti, illusioni ottiche per un cumulo di suggestioni scandite da un montaggio che si fa protagonista assoluto, placandosi di rado quando Testi, elegante in bianco, con cappello, ci riporta negli stacchi a un presente proporzionalmente rallentato. Esercizio di stile, sterile e faticoso coagulo di input Sixties sparati in sequenza? Tutto vero, ma rispetto ad AMER, per esempio, il passo in avanti - quanto a gusto, fantasia, ricerca, tentativo di abbozzare una trama - si nota.

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"Diva Futura" fu, a cavallo degli Ottanta e dei Novanta, l'immagine del porno italiano, la casa madre di attrici diventate poi autentiche icone del genere (e non solo), lanciate da un uomo che credeva nell'amore libero e seppe costruirci intorno un piccolo impero, lontano dal cinema hard troppo meccanico e senz'anima che si prese tutto il mercato negli anni successivi. Giulia Louise Steigerwait, che ha scritto anche la sceneggiatura insieme a Debora Attanasio, autrice del romanzo da cui il film è tratto e che fu importante segretaria e collaboratrice di Schicchi, cerca...Leggi tutto di dare di quest'ultimo un ritratto a tutto tondo, che possa restituirne l'anima paradossalmente candida attraverso i suoi rapporti con le tre donne che più ne hanno segnato il cammino: dai primi passi con Cicciolina (Kordic) all'esplosione del fenomeno Moana (Capezza) fino al rapporto intenso, unico, con Eva Henger (Litvan), che sposò.

Schicchi, rispetto a donne tanto ricordate, resta delicatamente alle spalle, presenza mai ingombrante in virtù di un carattere schivo e pacato, al quale l'interpretazione del bravo Pietro Castellitto regala soavità e tranquillità d'animo straordinarie. Difficile pensare che una persona così abbia potuto farsi strada in un ambiente tanto cinico come quello del porno, ma questo il film racconta, senza alcuna enfasi e forse in parte colpevolmente; perché la personalità forte delle tre dive - cui si aggiunge Debora (Ronchi), la narratrice, la donna che accompagna sempre Schicchi nel suo lavoro - non emerge con la prepotenza che simili personaggi avrebbero richiesto e il tutto viene ulteriormente annacquato da un inutile rimescolamento temporale di cui non si sentiva davvero alcuna necessità. Ci si sposta senza motivo dagli anni di Moana a quelli vissuti a fianco di Eva e poi ai mesi che precedono la morte del povero Schicchi (2013) per poi tornare indietro, riprendere fili interrotti minando ogni linearità.

Già l'incipit con il funerale al pitone non sembra proprio dei più azzeccati, ma poi, nel complesso, il mondo del cinema hard sembra restare troppo sullo sfondo, ai margini, al punto che i nudi sorprendentemente scarseggiano, quasi come se si cercasse una via semi documentaristica più vicina alla fiction televisiva che alla dimensione cinematografica. Nonostante qualche momento che spinge alla riflessione con frasi più ricercate e silenzi carichi di drammaticità, ogni sforzo autoriale sembra vanificato da una messa in scena deludente. La recitazione resta convincente negli sguardi apparentemente assenti del protagonista, presenza evanescente capace però di imporsi come personaggio atipico e interessante.

Peccato che l'eccesso di frammentarietà vanifichi ogni tentativo di inquadrare il film in una forma che possa conferirgli un'impostazione solida e in grado di coinvolgere. Nemmeno si comprende bene come funzionasse o che strategie avesse, "Diva Futura", entità "nascosta" nell'ombra di figure catalizzanti che mostrano quanto si punti di più a disegnare ritratti che a raccontare una storia. Lo sforzo migliore sembra quello prodotto per inserire le dive nei filmati d'epoca "taroccati" per l'occasione e, in questo, l'effetto è spesso ottimo, a dimostrazione di quanto il digitale offra ormai possibilità sconfinate.

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Gioie e (soprattutto) dolori di un produttore cinematografico promosso al vertice dei Continental Studios all'inizio della prima puntata. Si chiama Matt Remick (Rogen), ama il cinema d'autore ed è convinto di far degnamente parte della categoria degli “artisti”, anche se si trova subito a dover compiacere chi l'ha piazzato lì e ha preteso che non fosse uno di quelli che pensa alla qualità dei film a scapito degli incassi. Ciò che conta è ingrossare il fatturato, nient'altro, gli comunica il boss (Cranston), il quale come primo incarico,...Leggi tutto non a caso, lo obbliga a finanziare un film sul Kool-Aid, bevanda americana da noi poco nota e spesso accostata alla voce “trash”. Un progetto folle al quale tuttavia Matt deve cominciare seriamente a pensare, insieme al suo staff (che lo accompagnerà per tutta la serie).

Il colpo di genio c'è quando Matt viene a sapere che l'ultimo progetto di Martin Scorsese (una delle tante guest star nelle parti di loro stesse che si avvicendano nella serie) verterà sul massacro di Jonestown, proprio quello nel quale le vittime del Reverendo Jones si uccisero bevendo Kool-Aid adulterato. Come non prendere la palla al balzo? Eccellente idea che riempie una prima puntata davvero ricca di spunti e spassosa! 45 minuti la durata (le altre solo una mezz'oretta scarsa), sufficiente a far capire perfettamente la china prevista: la formula prevede dialoghi veloci e spesso sovrapposti, musica incalzante, botta e risposta fulminanti in pieno stile da commedia americana moderna.

Personaggi brillanti, ospitate di lusso ed episodi autoconclusivi (magari ripresi in un secondo tempo come quello del Kool-aid, ma è un caso) per una produzione indubbiamente efficace, pur con i suoi alti e bassi. Si affrontano temi strettamente legati al mondo del cinema in una sorta di EFFETTO NOTTE visto in chiave quasi parodistica e umoristicamente affilata, come vuole la tradizione ebraica del suo autore e protagonista Seth Rogen. Qualche volgarità, uno studio intelligente della personalità del produttore condotto con superficialità solo apparente, capace invece di affrontare temi non scontati come quelli delle insoddisfazioni di chi giudica di non essere sufficientemente apprezzato per ciò che fa. In questo senso sono particolarmente rivelatrici gli episodi L'ONCOLOGO PEDIATRICO (Matt s'innamora di una dottoressa poco interessata al cinema, convinta di svolgere un lavoro molto più importante del suo, nella società) o la notevole I GOLDEN GLOBE (con Matt che presenzia alla premiazione dei Golden Globe sperando ardentemente che la regista del film da lui prodotto lo ringrazi pubblicamente, se verrà premiata).

Ottimo anche l'episodio LA NOTA, in cui si affronta l'inveterata questione del final cut: gli studi dovranno trovare il coraggio di comunicare al regista Ron Howard (ovviamente nella parte di se stesso) come, nel suo film, l'ultima scena - a cui Ron tiene moltissimo - risulti inutile e noiosissima. Pregevole, nel corso della serie, l'utilizzo frequente di piani sequenza (a cui è anche dedicato un intero episodio, che da questa singolare tecnica prende il nome), buona la risposta del cast. Qualche puntata in tono minore: LA BOBINA SCOMPARSA con Zac Efron, ad esempio, in cui si imbocca velleitariamente la strada della commedia “gialla” con risultati deludenti, o LA GUERRA, in cui si fronteggiano due membri dello staff di Remick, ognuno puntando a proporre il “proprio” film affossando quello dell'altro. In CASTING si guarda con ovvio occhio critico al tema del politically correct, in modo intelligente per quanto un po' scontato e ripetitivo.

Gli ultimi due episodi sono concatenati e riguardano il CinemaCon, manifestazione durante la quale ogni studio cinematografico presenta i propri lavori in uscita agli esercenti delle sale, che dovranno premiare i migliori. Nella circostanza, credendo di fare qualcosa di “vintage”, Matt infila dei funghetti allucinogeni nei cioccolatini, ma scopre che le dosi contenute sono infinitamente maggiori di quanto pensava, ottenendo di far “sballare” il suo intero staff (compresa l'ospite Zoe Kravitz, già presente in GOLDEN GLOBE) con risultati immaginabili. Non delle chiusure migliori: tutti urlano, sbraitano, parlano uno sull'altro, diventano preda di fobie improvvise e la situazione si fa presto ingestibile, ma l'effetto comico, per chi guarda, è relativo: troppo rumore, troppo caos e gag che si ripetono. Di quelle esperienze che divertono più chi le interpreta che non chi le guarda... Il tutto non intacca comunque la qualità di una serie ben scritta, buffa, a tratti geniale (per quanto forse un po' sopravvalutata, rispetto ai suoi effettivi meriti).

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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