Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Ottimo lo spunto dickiano (non per nulla Carrere scrisse anche una biografia di Dick), ma lo sviluppo non sempre convince. Il regista francese ci prova con ritmo lento e avvolgente, ma non riesce nella prima parte a coinvolgere completamente lo spettatore e allunga a dismisura il pre-finale ambientato a Hong Kong. Convincono invece il finale e la ricercata colonna sonora. Bravissimo Lindon.
Solo nella locomotiva alcolica d'Italia che sferraglia sui binari dell'incredibile più vero del vero si possono immaginare i contorni di una vicenda come quella pulpizzata da Tomassini; che, a onor del vero, giocherà pure a decalcomanizzare al risparmio i Caratteri di Teofrasto, ma lo fa servendosi di un cast fisiognomicamente e linguisticamente impeccabile (unico neo: la scarica sottotrama erotica con protagoniste Vera-Sartore e Sonia-Tramarin). I foresti ne usciranno "solo" divertiti: per i locali sarà impossibile non ridere dei personaggi come di sé stessi allo specchio.
Efficace, sia come dimostrazione dei danni che una famiglia assente possa creare, sia come lezione di darwinismo applicato alla pratica (eremita fai da te? Ahi ahi ahi). Il lungo viaggio è necessario; tutte le contraddizioni del protagonista (vorrebbe allontanarsi dall'umanità "falsa" quando molte delle sue tappe gli dimostreranno l'esatto contrario) e la sua vuotezza interiore, mascherata dietro gli aforismi presi dai libri che legge, richiedono tempo per venire messe a nudo a dovere. Di dubbia utilità, invece, sia la voce fuori campo che certi virtuosismi registici. OST ottima.
Epocale atterraggio in mondovisione dei rettiliani spaziali, a proprio agio tra noi e pronti a dominarci. Per i complottisti, una malcelata confessione. Per tutti gli spettatori, sia quelli frastornati nell'84 dall'imponente battage pubblicitario televisivo che quelli a venire, una bell'esperienza. Si parla di solidarietà, fraternità umana, di resistenza contro l'oppressore nazistoide, di eroismi e vili tradimenti (ma anche tra i visitatori ci sono dissidenti), di potere mistificatorio dei media. Diana buca lo schermo, furente e sexy. Terrificante e commovente. Imperdibile.
Killer professionista viene catapultato nel Medioevo per una missione ai limiti dell'impossibile. Ennesima pellicola di livello medio che sfrutta un tema abusatissimo e vecchio come il mondo (il salto temporale): se lo facesse in maniera innovativa, si potrebbe anche chiudere un occhio; ma il vero problema è proprio l'assenza di una sceneggiatura degna di nota. Non che le scene di battaglia siano girate in maniera esaltante, però il ritmo tiene, l'adrenalina è alta in certi momenti e il protagonista soprattutto si impegna a rendere il proprio personaggio irriducibile. Anonimo.
Donna legata al contrabbando si innamora di un giostraio. Noir vissuto più che altro sulle dinamiche interne alla banda, regge alla prova del tempo grazie alla sua scorrevolezza. Cooper è avvantaggiato dall'avere un ruolo dalla doppia connotazione (meglio come gangster) e la Sidney ha un personaggio per niente banale come donna che finisce al fresco e rischia di tornarci. L'epilogo, oltre a essere poco congruente, è ammorbidito per il pubblico.
Senza pretendere di dire nulla di nuovo né stupire con immagini d'impatto (la fotografia presenta toni fin troppo smorzati), UN ALIBI è un giallo molto ben organizzato, scritto e recitato correttamente, che trova nel soggetto e nella sceneggiatura la sua forza. Certo, la costruzione a flashback è il solito rimescolamento di carte al quale sembra non si possa ormai rinunciare, ma per una volta è strutturata in modo da farci entrare bene fin da subito nel complesso ingranaggio che la regola.
L'apertura è già sul delitto, preceduto da qualche...Leggi tutto sequenza che ci mostra parte della giornata in cui si verifica, ovvero il compleanno di quella che sarà la vittima, Lucie (Martins). Le cose col marito Max (Demolon) non sembrano andare per il meglio, ma la coppia si prepara comunque a ricevere tre cari amici invitati lì per festeggiare. Quando però Tom (Choirat), Maude (Hesme) e Pierre (Derangèr) arrivano, la scena che si presenta loro di fronte è agghiacciante: Max è seduto e tiene tra le braccia il cadavere disteso della moglie. Non è stato lui, dice, ma i tre capiscono immediatamente che la polizia ci metterà ben poco, per incriminarlo e metterlo sotto custodia. Per questo Tom, convinto come gli altri che non possa essere lui il colpevole, lancia l'idea: l'alibi glielo forniranno loro; diranno che erano insieme fuori di casa, quando la donna è stata uccisa. Come però si può immaginare, sostenere in quattro lo stesso alibi non è impresa da poco.
Partendo da questo assunto, la trama inserisce il detective di turno, una donna (Petit), avviando le ricostruzioni a ritroso. La prima ci mostra i quattro protagonisti tre mesi prima, fornendo qualche elemento per rimettere lentamente le tessere del mosaico al loro posto e cominciare a ricostruire la storia correttamente. Alternando il passato e i ritorni al presente, con le indagini che proseguono, ciò che realmente accadde prende forma, anche se, come si può immaginare, i falsi indizi e le trappole sono all'ordine del giorno. Molto ruota intorno alla domanda chiave: è davvero Max il responsabile della morte di sua moglie? Un sospetto che si trascinerà ovviamente a lungo, senza però che ci si dimentichi di inserire altre strade possibili in un quadro d'insieme davvero ben strutturato.
La regia si limita a svolgere il proprio compito senza incidere, ma la piacevolezza del racconto e le buone interpretazioni di tutto il cast permettono di sorvolare sugli aspetti meno esaltanti del film, incuriosendo chi guarda e preparandolo a un finale che promette colpi di scena multipli. La plausibilità del tutto è relativa, ma in film così è la norma e non c'è troppo da stupirsene. Conta il gioco e come viene condotto, con qualche modesto approfondimento psicologico e la capacità di confezionare nel complesso un giallo moderno che il suo dovere lo fa fino in fondo, senza lasciare nulla di aperto, per una volta. Ottimo Pascal Demolon nel ruolo più sfaccettato, piuttosto anonima la colonna sonora, in linea con una parte tecnica non strabiliante ma che ben serve un risultato, almeno per gli appassionati del genere, soddisfacente.
Esagitata commedia francese che cerca di regionalizzare in qualche modo le produzioni americane analoghe, in cui lo spirito distruttivo tipicamente giovanile si mescola a gran bevute di alcol e dosi massicce di stupefacenti al fine di creare un'atmosfera di divertimento contagioso (che a dir la verità ben di rado si concretizza). Qui la particolarità sta nel fatto che a fare gruppo, inizialmente, sono quattro quarantenni che vent'anni prima (nel prologo) avevamo visto gestire il BDE, ovvero, per l'appunto, il Bureau des Etudiants del titolo originale (correttamente tradotto...Leggi tutto in italiano). Dopo aver scelto strade diverse, ancora si ritrovano una volta all'anno per una sorta di "zingarata" comune, in cui lasciano andare i freni inibitori e si scatenano.
Chi ha più problemi è Bob (Youn), il quale proprio quel giorno avrebbe una tradizionale festa ebraica da celebrare in famiglia da cui non sa come sganciarsi. L'occasione si presenta mentre è in giardino col (ricchissimo) suocero (Melki): suona la sveglia del cellulare e Bob finge sia la telefonata di qualcuno che - per conto del tennista Nadal - vuol comprare lo chalet che il suocero spera di vendere. Quest'ultimo, convinto che Bob vada lì come agente immobiliare per realizzare la vendita, lo dispensa dalla festa ebraica e gli presta pure il Range Rover per potersi presentare al meglio da... Nadal. Chiamati invece a raccolta gli amici - ai quali dice di aver fatto i soldi e di essere il proprietario dell'auto e pure del lussuosissimo chalet con doppia piscina dove si sistemeranno - Bob si mette in marcia.
I quattro cantano a squarciagola mentre ascoltano la radio in auto, si vestono da Biomen (sorta di Power Rangers giapponesi) e si scontrano subito con un gruppo studentesco della loro università di allora, con i quali tuttavia finiranno presto con fare in qualche modo comunella invitandoli a una gigantesca festa di gruppo allo chalet. Alcol a fiumi, i soliti allucinogeni nei pasticcini consumati senza saperlo, tuffi in piscina (pure nudi) e una giornata all'insegna della trasgressione e del caos più rovinoso (inutile dire come verrà ridotta la preziosa abitazione). A tutto ciò si aggiungono una famiglia di circensi bonariamente insultati dai quattro che cova propositi di vendetta e le telefonate del suocero, che pretende ragguagli sulla trattativa.
In un film in cui si fa a gara a chi urla di più, sembra che conti solo fare caciara, senza che la sceneggiatura la assista con battute che conferiscano un briciolo di gusto al tutto. Pur con un buon cast a disposizione (gli altri tre del gruppo sono la Noguerra, Jean-Baptiste e Desagnat), che avrebbe potuto facilmente giocare sulla simpatia, il film prosegue cercando solo di mettere più attori possibili in movimento, con accenni di zuffe, gente appesa con lo scotch al soffitto (la donna inviata dal suocero a capire cosa stia accadendo allo chalet), scherzi di ogni tipo, salti dalla funivia bloccata, momenti di rivalsa (Desagnat, che interpreta il tipo che non ha mai saputo dire di no a nessuno in vita sua, scopre entusiasta la grande forza del gesto del dito medio mostrandolo mille volte a chiunque) e un finale che se non altro regge.
Purtroppo la gran parte dei personaggi esterni ai protagonisti e al suocero è in gran parte insopportabile e l'unica trovata appena buffa è quella della sfera trasparente usata per una sfida alla “Giochi senza frontiere” con gli studenti giovani: all'interno della stessa Dessagnat vomiterà copiosamente rimbalzando incessantemente tra gli avanzi di cibo! Non il massimo del buon gusto, ma...
Torna Ozgood Perkins, che con LONGLEGS aveva dimostrato di saper innovare in un genere solitamente molto rigido e ripetitivo come l'horror. Il miracolo però non si ripete e questa volta, alle prese con un racconto di Stephen King, non può che limitarsi a lavorare sulla forma cercando di imporre qualche piccola idea che però, nell'economia complessiva, non lascia proprio il segno.
Lo spunto parte da una scimmietta di quelle con il tamburo, battuto con le bacchette tramite un meccanismo semplice che genera un...Leggi tutto rumoroso effetto sonoro. Nel prologo è riconsegnata da un uomo a un giocattolaio: è disperato, spiega come l'avvio dell'ingranaggio annunci l'imminente morte di qualcuno che si trova nei paraggi (mai si sa in anticipo chi). Il giocattolaio, scettico, ci resta secco per primo. A chi finirà in mano la malefica scimmietta? La ritroviamo tempo dopo chiusa in una scatola tra gli oggetti lasciati da un uomo alla propria famiglia prima di morire. "Like life", come la vita, c'è scritto sopra. Che significa? Qualcuno una sua interpretazione la darà: non si può mai scegliere quando morire.
Insomma, si capisce presto che si andrà a parare in una sorta di FINAL DESTINATION in cui al Tristo Mietitore si sostituisce appunto "The Monkey", la scimmia. Per quanto l'assassino sia di fatto quest'ultima, non potendo agire personalmente lo fa "creando" ogni sorta di incidenti: una piscina che finisce elettrizzata e fa scoppiare (!!!) la poveretta che ci si tuffa dentro, un fucile carico che spara in faccia appena apri la porta dell'armadio che lo contiene e via dicendo. Il tutto però senza preoccuparsi di elaborare tragedie particolarmente ingegnose come càpita nella celebre saga di FINAL DESTINATION perché, in fondo, qui esisterebbe anche una storia, come sempre in King. Che è quella di due gemelli, Hal e Bill (interpretati entrambi da Christian Convery quando sono ragazzini e da Theo James quando sono adulti), che lentamente prendono coscienza di quali incredibili poteri abbia la scimmietta trovata nella scatola di papà.
Una disgrazia dietro l'altra, fino a quando i due decidono di fare a fette il diabolico giocattolo e di buttarlo giù in un pozzo. Fine della maledizione? Per venticinque anni sì, ma poi tutto ricomincia... Come in "It", se si vuole, ma senza che la storia possa ambire ad avere lo spessore di quello che molti ancora ritengono il capolavoro dello scrittore del Maine. E infatti il film è poca cosa, con dispute insignificanti tra fratelli e una sceneggiatura (Perkins la adatta da King senza altrui collaborazioni) che fatica a trovare sbocchi in grado di renderla fluida e gustosa.
La regia lavora quindi sull'animazione della scimmietta (bella la bocca che si apre mostrando la folta dentatura, inquietanti i primi piani sugli occhi e il movimento della bacchetta), su qualche effetto splatter efficace, su stop frame e montaggio... Sfrutta una fotografia di qualità e una confezione complessivamente di ottimo livello, ma non basta. D'accordo, si supera il desolante DONO DEL DIAVOLO, prima riduzione dal medesimo racconto, ma ci voleva davvero poco...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA