il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

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360689 commenti | 68515 titoli | 26994 Location | 14225 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: Tutto per mio figlio (2022)
  • Luogo del film: La casa in cui abita Raffaele Acampora (Zeno)
  • Luogo reale: Via Giovanni Giuriati, Sora, Frosinone
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  • Film: La collegiale (1975)
  • Luogo del film: Il collegio di suore in cui è stata educata Daniela (Dionisio)
  • Luogo reale: Istituto Asisium, Via di Grottarossa 301, Roma, Roma
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Luca Torraca

    Luca Torraca

  • Vincent Nemeth

    Vincent Nemeth

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Noodles
Film non particolarmente indimenticabile, che si salva in corner e guadagna la sufficienza anzitutto grazie alla prova della straordinaria Julie Andrews, attrice mai troppo esaltata e grazie a dei buoni momenti sparsi qua e là, che coprono una certa faciloneria nel trattare due argomenti piuttosto seri, la paura di invecchiare e quella della morte. Il problema principale è che Julie Andrews rende perfettamente il suo personaggio mentre Jack Lemmon resta legato al suo personaggio comico, che qui non aveva senso presentare. Comunque godibile, con una bella vena malinconica.
Commento di: Cerveza
Dopo trent'anni Steno torna nelle aule giudiziarie. Già l'opera precedente non era granché, seppur sanata in toto da Nando “l'americano”. Qui invece non c’è proprio nulla che possa rimanere nella memoria. Il tono generale è mediocre nelle idee, improvvisato nella messa in scena e frammentato nella struttura. La mimica del pretore Christian De Sica raccorda correttamente i vari siparietti, ma i contenuti rimangono di scarso interesse, nonostante un cast infarcito di popolari caratteristi, qualche nome noto e un cagnolino ammaestrato che unge il pubbico con numeri da circo.
Commento di: Achab50
In una regione messicana dove imperversa una famiglia di possidenti si verifica l'omicidio di una ragazza; la polizia è quasi connivente salvo un nativo, una bella ex poliziotta, naturalmente sospesa dal servizio: indaga e verà coinvolta. Sparatoria finale con parecchi morti. Film che si può ricomprendere nel filone delle telenovelas, per cui trama con parecchie sottotrame non ben elaborate, qualche accenno allo sfruttamento dei nativi, polizia corrotta e tutto quanto fa racconto. Regia distratta, protagonista fisicamente commendevole. Con meraviglia si apprende che ci sarà un sequel.
Commento di: Luluke
Il tentativo di fornire un prequel a Rosemary's baby facendo vivere a Terry Gionoffrio la stessa esperienza toccata a Farrow/Woodhouse, fatta salva la sua conclusione obbligata, non poteva non scontrarsi con la povertà di una trama che soltanto sceneggiatura e regia di Polanski erano riuscite a rendere interessante. Non che la James non dimostri buona mano; e anche scenografie e interpretazioni sono soddisfacenti. Il punto è però che il film nella prima ora si trascina in una replica di situazioni già viste e il suggestivo finale non basta a fargli raggiungere la piena sufficienza.
Commento di: Cotola
Il tema della clonazione è sempre interessante e qui è reso ancora più affascinante e intrigante dal fatto che si lega a quello della sostituzione, nel vero senso della parola, tra l'altro già visto - pur diversamente - in altre occasioni. Il tutto trattato con grande sobrietà e senza nessuna concessione allo spettacolo facile. Lo svolgimento della storia si prende i suoi ritmi ma sa interessare e coinvolgere gli spettatori e alla fine sa emozionare profondamente, tanto da creare empatia nei confronti del protagonista: difficile non mettersi nei suoi panni.
Commento di: Jandileida
Schrader rarefà le atmosfere di questo intrigante percorso di redenzione che parte dalle celle di Abu Ghraib per finire sui tavoli verdi dei casinò americani. Il ritmo è lento, qua e là quasi ipnotico (anche grazie a musiche tra l'ambient e l'industrial), con reminiscenze vagamente lynchiane (gli spazi) e ferrariane (l'espiazione), impreziosite anche da un paio di soluzioni tecniche ardite ma riuscite. Purtroppo si nota anche una certa ripetitività, probabilmente voluta, ma che finisce per far diluire l'attenzione. Isaac sofferto ma anche un po' monolitico. Incompiuto ma personale.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Christian Clavier padre della sposa per una delle mille varianti dell'incontro tra famiglie di ceto differente, i cui figli dovranno presto concretizzare la loro relazione in qualcosa di più serio. A dire il vero nessuno dei quattro genitori è al corrente della loro volontà di unirsi in matrimonio: sanno semplicemente di doversi finalmente conoscere dal momento che comunque Alice (Coullod) e François (Pesten) hanno una relazione da tempo. Gérard (Bourdon), il padre di lui, è un concessionario Peugeot che passa il tempo a spiegare ai suoi clienti quanto...Leggi tutto le macchine francesi siano meglio di quelle tedesche, inutilmente veloci, mentre Frédéric Bouviere Sauvage (Clavier), che vive in una tenuta smisurata insieme alla moglie Catherine (Denicourt), orgogliosa delle proprie radici italiane, ha vigneti in quantità e produce un grand cru delizioso. Raggiunti i due ricchi nobili nel loro vero e proprio castello, Gérard e la moglie Nicole (Testud) si mostrano cortesi e, in attesa dell'arrivo dei figli, sembra possano stringere amicizia.

Senonché Alice, di professione chimica, ha pensato bene di fare ai quattro genitori una singolare sorpresa: insieme a François ha prelevato in gran segreto loro tracce di DNA e le ha fatte analizzare in modo da poter capire in quali paesi abbiano davvero le loro radici. Già stupiti e spiazzati dall'annuncio di un matrimonio che soprattutto Frédéric non avrebbe mai voluto ("Il figlio di un garagista!"), siedono tutti al tavolo pronti ad aprire per la prima volta le buste contenenti la verità sulle loro origini. Comincia Gérard ed è subito uno shock: per il 50% è tedesco! E' un attimo che Frédéric inizi a prenderlo in giro ironizzando pesantemente sul passato nazista del poveretto, sconvolto dalla notizia...

Il sarcasmo si spreca, e per quanto Frédéric cerchi di fargli capire che si sta solo scherzando, è inevitabile che gli animi si scaldino. Ma le sorprese ovviamente non sono finite e su questo gioca il film, anche se l'idea non è poi così straordinaria: difficile ricavare un gran numero di battute da un passato che in fondo non può troppo variare la vita di ognuno di loro. Sono solo curiosità sul proprio albero genealogico, in fondo, che tuttavia il film cerca di sfruttare per un continuo gioco ad offendersi non troppo scherzosamente. E se le mogli sono inizialmente piuttosto composte (almeno Nicole, perché invece Cathrine trasecolerà), la parte del leone spetta ai mariti, commedianti di lungo corso chiamati a dare verve a una sceneggiatura piuttosto stanca.

Lo schema utilizzato è sempre il medesimo e l'ingenuità con cui le due famiglie si affrontano (i due figli restano regolarmente in secondo piano, spalle che non lasciano certo il segno e si limitano a rimproverare, quando è il caso, i genitori) dà l'impressione di un film per famiglie dall'umorismo molto blando, mai incisivo come forse avrebbe potuto essere. La morale è ben facile da immaginare e traspare dalle frasi della figlia, che ricorda come il possedere geni di paesi diversi sia un arricchimento e non un difetto.

Bisticci e riconciliazioni quindi, frecciatine e spazio alla difficile comunicabilità tra due mondi diversi, che provoca attriti e risentimento prima di una sorta di poco credibile accettazione delle proprie radici che genera un solo momento realmente divertente: l'incontro di Gérard col padre, che svelerà buffi aneddoti del passato che il primo ascolterà sconvolto. Per il resto una commedia innocua, con rari spunti comici dai bonari contenuti razzisti (nei confronti dei portoghesi, in particolar modo) e piuttosto puerili. Si è visto di molto meglio, oltralpe.

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Buon sangue non mente: Lucius (Mescal), figlio del defunto Maximus Decimo Meridio (Crowe), ne eredita lo spirito combattivo e la straordinaria abilità gladiatoria, ma ancora non ne è conscio. Lo chiamano Annone e se ne sta in Numidia (l'antica Tunisia), dove è sposato e si prepara a respingere da una fortezza sul mare l'attacco in massa dei romani comandati da Acacius (Pascal), che con grosse navi armate di catapulte si dirigono verso le mura africane. La resistenza di Annone e i suoi è strenua, ma dopo una feroce (e spettacolare) battaglia, le legioni imperiali...Leggi tutto hanno la meglio: la sposa di Annone viene uccisa e lui deportato a Roma (con sbarco a Ostia), dove è accolto dai due fratelli imperatori Geta (Quinn) e Caracalla (Hechinger) e dal console Macrinus (Washington), che presto avrà modo di saggiare il temperamento combattivo dell'uomo.

Scelto per combattere nelle arene e nel Colosseo, Annone passa da una vittoria all'altra dimostrando il suo grande valore già nella prima sfida contro un gruppo di scimmie inferocite. Macrinus lo ammira e grazie a lui vince pure belle scommesse, mentre i due imperatori assistono a mirabolanti incontri che vedono il barbaro Annone lottare contro un gigantesco rinoceronte e addirittura una nave nemica in un Colosseo riempito d'acqua e di squali (!!!) nella scena più delirante e grottesca del film. D'altra parte non è alla credibilità storica che Ridley Scott guarda, preferendo preoccuparsi di fornire uno spettacolo all'altezza delle aspettative. Se però con il primo GLADIATORE in qualche modo era riuscito nell'intento, complice un protagonista tagliatissimo per la parte come il giovane Russell Crowe, qui non può che pensare a tenere un ritmo sostenuto (d'altra parte sono due ore e mezza, da reggere) e adattarsi a caricare il più possibile di eroismo un Paul Mescal che il grande carisma di Crowe non ce l'ha.

E' questo il primo evidente difetto di un sequel che cede innanzitutto nel cast: se Mescal non ha lo sguardo intenso né la fisicità del suo predecessore, non gli è granché superiore la sua antitesi romana, ovvero l'Acacius di Pascal (oltre che di cognome i due attori si somigliano pure in volto, creando talora un po' di confusione). Connie Nielsen nel ruolo della madre di Annone si vede poco per poter incidere e Denzel Washington svolge il compitino senza brillare (anche se surclassa in classe il resto del cast). Quanto ai due imperatori sadici, sanguinari e tirannici come ci si aspetta, si rivelano soprattutto due simpatiche macchiette.

A indisporre è l'abuso di computergrafica, che fa sembrare case e templi artificiosa paccottiglia priva della necessaria tridimensionalità. Si intuisce che i mezzi ci sono, ma le ricostruzioni sono talmente tante e invasive che nulla finisce con l'apparire realistico. Il Colosseo infestato da squali poteva essere un'idea folle quanto spassosa, ma l'azione si concentra più sugli scontri tra le due imbarcazioni, con i pescecani che spuntano qua e là attaccando di striscio un paio di gladiatori restando poi in secondo piano a fare da simpatico contorno alla scena.

Quanto alla storia, elementare, fa più che altro da riempitivo tra uno scontro in arena e l'altro, con scampoli di complotto e tentativi di rovesciamento dello status quo utili giusto a dare un minimo di consistenza a personaggi altrimenti inutili. La presenza della scimmietta Dondo nel gruppo aumenta la sensazione di film per tutti, al quale si aggiunge timidamente, qua e là, un po' di sangue (terribilmente digitale). Ad ogni modo Scott ci mette il mestiere e ogni tanto regala scampoli di talento, la fotografia è scintillante e alla conclusione si arriva senza grandi affanni, il che è già un buon risultato...

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Favoletta moralisticheggiante sulla differenza di classe sociale azzerata dall'improvviso tracollo finanziario del benestante, il film di Fabrizio Maria Cortese si riallaccia a una tradizione che in Italia ha ampie radici con le quali si sono cimentati un po' tutti i nostri commedianti, da Pozzetto ad Abatantuono. Il gioco è sempre lo stesso: trasferire il ricco nell'ambiente del povero per vedere come si comporta alle prese con le difficoltà di ogni giorno,...Leggi tutto col lavoro che manca e con ristrettezze economiche di ogni genere.

In questo caso la famiglia che vive nel lusso più sfrenato è quella di Edoardo Mariani (Ruffini) e sua moglie Giovanna (Spada), genitori di tre figli che dire viziati è poco. D'altra parte è talmente caricaturale, il disegno di ogni singolo personaggio della famiglia, che sembra a tratti di avere a che fare con una parodia, nonostante nel film ben poco si rida: papà è sempre impegnato col telefonino, mamma lo accusa di ignorarla ma poi pensa alle corse dei cavalli, i due figli maggiori (perché la piccola, dolcissima, è l'unica che pare conservare una sufficiente dose di umanità) frequentano compagnie di ragazzi ultrasnob che guardano con disprezzo chi svolge lavori meno finanziariamente gratificanti; come Rosa (Cucinotta) ad esempio, collaboratrice scolastica (bidella non si dice più) nella scuola della giovane Emma Mariani (Savignani) nonché moglie di Ottavio Crocetti (Memphis), ex compagno di classe e grande amico di Edoardo, dal quale quest'ultimo si era staccato dopo averlo visto baciare la donna di cui s'era innamorato e alla quale aveva chiesto di consegnare una musicassetta con le musiche che lei preferiva (erano gli Anni 80, come ben si vede nel prologo).

Ora Ottavio lavora come giardiniere nel golf club frequentato da Edoardo dove bazzica pure Mimmo Versi (Tognazzi), traffichino che gestisce gli investimenti milionari di Edoardo. Quando Mimmo viene arrestato, Edoardo capisce che per lui, truffato senza pietà fino all'ultimo euro, si prospetta un lungo periodo nero all'insegna della povertà più nera, dalla quale Ottavio si offre di sottrarlo offrendogli di stabilirsi in una sua piccola casa nel paesello dove vive (siamo in Basilicata, nel potentino). Tutto ciò che prima era la norma diventa un miraggio e ovviamente i poveri, che nel film sono sempre e solo di buon cuore, faranno capire agli amici cosa significa vivere una vita dura in un appartamento piccolo e cadente, invece che in una moderna villa nel verde.

Insomma, il canovaccio è elementare e per sorreggerlo serviva almeno una sceneggiatura in grado di dargli per quanto possibile degna forma. Invece, benché questa sia stata scritta dal regista con Federico Moccia (qualche timido spunto azzeccato nel disegno dei ragazzi si vede), c'è poco da stare allegri. I personaggi sono tutti altamente stereotipati, con Memphis che con la sua aria da cane bastonato incapace di sorridere si mostra oltremodo comprensivo nei confronti dell'amico in difficoltà, Ruffini costretto a fare buon viso a cattivo gioco e la Spada nel ruolo di partner incapace di sopportare la vicinanza dell'altra madre (la Cucinotta), al contrario sempre pronta ad aiutarla.

Di banalità in banalità si toccano tutti gli argomenti più tipici del campo (dal bullismo in chiave femminile a scuola, reso in maniera davvero sconfortante, fino all'amore) senza che emerga una storia capace di appassionare il minimo indispensabile. La famiglia Mariani, dopo aver messo in mostra tutto il peggio di sé, passa progressivamente al prevedibile tenero idillio con chi ha avuto il merito di accoglierli e aiutarli. A salvare un film scritto senza inventiva e diretto con poca grinta ci deve pensare il cast, se non altro ben scelto e discretamente diretto (per una volta anche nelle giovani leve), che mostra di trovarsi a proprio agio nelle parti assegnate e che nel complesso permette di sorvolare parzialmente sulle carenze delo script. A corredo la piacevole colonna sonora di Stefano Caprioli, che dà ritmo e armonia quando (spesso) mancano.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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