Le location esatte di "Amore tossico"

12 Gennaio 2015

“Stamo tutto il giorno a sbattese e se perdemo tutto il resto:
 vivemo a du metri dal mare e quest’anno è la prima volta che ce venimo”

(Michela Mioni, 1983)

La situazione al via delle ricerche: Non era un mistero che il film fosse girato ad Ostia; il fatto poi che protagonisti fossero attori non professionisti realmente legati al territorio ha reso Amore tossico il film “Ostiense” per eccellenza agli occhi di tutti, anche per i non romani. Location stranote come il Pontile o il monumento a Pasolini nel luogo della morte del poeta erano già da tempo segnalate un po’ ovunque su internet. I più attenti non hanno mancato di menzionare anche Centocelle, la zona scelta dal regista per ambientare la trasferta romana dei protagonisti a metà del film; anche qui è palese la voglia di ripercorrere i luoghi del cinema di Pasolini, ma anche per quanto riguarda Centocelle le uniche location del film già disponibili in rete erano quelle più scontate (l’acquedotto alessandrino, il SERT di piazza dei Mirti). Pertanto ringrazio caldamente gli esperti del settore che mi hanno aiutato a trovare luoghi fondamentali (li troverete citati tra parentesi accanto alle relative location) e soprattutto Fedemelis per avermi spinto a portare a termine questo lavoro arricchendolo con molte foto personali che impreziosiscono il raffronto tra i fotogrammi e le immagini attuali. Chi scrive non è un esperto nella caccia alle location, ma semplicemente uno a cui è capitato in sorte di crescere ad Ostia. Ho sposato l’idea di analizzare Amore tossico secondo la prassi davinottica (cioè illustrare le location ripercorrendo la trama del film) nella convinzione che in questo caso il confronto tra i fotogrammi e le immagini attuali dica effettivamente di Ostia molto di più di quanto semplicemente mostri in apparenza. C’è subito da dire che oltre ai luoghi è anche l’epoca a conferire ad Amore tossico un’ambientazione così particolare: vi si può avvertire il respiro di un (doloroso) momento di transizione tra due epoche distinte.

Certo, il gergo dei tossici della periferia marinara (e l’Ostia del 1983 appare come un ghetto-dormitorio) non ha la stessa esportabilità del romanesco usato nella commedia all’italiana; al punto che ci si meraviglia che il film possa essere amato non già a Milano, ma anche solo all’Esquilino o al Trionfale. Eppure, nonostante il racconto sia estremamente particolaristico, Amore tossico è un film che negli anni ha saputo acquisire uno status storico-generazionale universale. Si pensi che solo dieci anni prima la produzione di Viaggia, ragazza, viaggia hai la musica nelle vene decise di respingere il film di Pasquale Squitieri sostenendo che l’ambientazione italiana non era credibile, perché in Italia il problema della droga non esisteva... invece nel 1983 la figura del tossico è un elemento ormai del tutto scontato del panorama metropolitano (e che solo la realtà metropolitana poteva produrre); è addirittura una figura “prevista”, dal momento che esistevano i SAT (oggi denominati SERT) e che erano così frequentati. Così accade che al SAT di Centocelle si incontrino, a metà strada, le vestigia dell’hippismo (vedi il fazzoletto che Enzo porta al collo, i vecchi pantaloni a zampa d’elefante di Cesare, gli zoccoli di legno all’olandese che tutti indossano) con le avanguardie della new-wave (ben riuscito il contrasto tra i rimasugli della cultura freak dei protagonisti romani e i tossici milanesi che sfoggiano creste punk e abiti dark). Sono già due micro-generazioni diverse, una più novizia che poteva ancora permettersi il lusso di farsi per stare bene e una ormai stanca condannata a farsi solo per non stare male, accumulando tentativi di smettere e altrettante ricadute. Anche la ricostruzione delle location evidenzia bene questo clima di confine tra due ere: all’alba degli anni ’80 l’eredità delle baraccopoli post-belliche si incontra con una modernizzazione già anticipata ma ancora in corso; e, almeno per un certo periodo, le due dimensioni (quella l’ex litorale fascista e quella pienamente metropolitana di oggi) convivono fianco a fianco. L’Ostia di Amore tossico è il tassello mancante tra quella di Sergio Citti e quella contemporanea.

Per chi ha vissuto Ostia crescendoci come me, Amore tossico rappresenta più che un film: è una cartolina dal passato, una fotografia perfetta di una realtà che la mia generazione è stata l’ultima ad annusare, e che resterà l’ultima a poter testimoniare. Cesare, Michela, Enzo, Ciopper, erano (per alcuni di noi anche personalmente, ma ne sono comunque il paradigma per tutti) quei ragazzi più grandi di noi che da piccoli vedevamo girare liberamente. In quegli anni erano tanti e stavano dappertutto: nelle strade, sulle panchine, sui prati, sugli autobus, davanti ai negozi, alle poste e nei bar. Li riconoscevi da lontano con le loro posture curve, le loro voci dal volume eccessivo e dall’inflessione monocorde come una cantilena; li riconoscevi subito, da quell’eccessiva magrezza ed eccessiva sudorazione, dal turpiloquio greve e compiaciuto o dall’esagerata gentilezza che sapevano esibire nel goffo tentativo di mantenere un aplomb di rispettabilità sociale, dalle storie incredibili che erano capaci di inventarsi per farsi dare dei soldi, da quell’atmosfera di pericolo e di violenza che circondava i loro frequenti litigi, così chiassosi e plateali; ma soprattutto da una cosa li riconoscevi: dai buchi sulle braccia. La violenza era insita nel buco in sé: i buchi erano tanti e vicini, colorati di minuscole macchie di sangue e circondati da ombre bluastre come lividi. Si diceva che quando non riuscivano più a bucarsi sulle braccia si bucassero nei posti più impensati, sui dorsi delle mani o sul collo. Tutto ciò era inconcepibile per ragazzini che avevano ancora paura a sottoporsi a un vaccino o a donare il sangue. Come si poteva provare piacere da un gesto tanto autolesionista? Se non è violenza questa... In più si diceva che quelli così per comprare la droga rubassero tutti, o magari diventassero spacciatori anche loro; si diceva che quelli che non erano capaci nemmeno di andare a rubare, rubassero alle loro madri e non di rado le picchiassero! Non per nulla i nostri genitori (che certo non volevano rischiare di finire derubati e picchiati dai figli) ci mettevano sempre in guardia da “quelli là” ogni volta che se ne incontrava qualcuno; forse era più la paura che i nostri genitori “normali” dovevano provare alla loro vista che empaticamente si trasmetteva anche a noi. Alla fine sembrava che alcuni avessero gli occhi tutti bianchi e che fossero interamente circondati da un alone viola, come apparivano nelle cosiddette “pubblicità progresso”. Eppure, nonostante quei ragazzi più grandi ci incutessero un macabro timore (o proprio per questo) alcuni di noi ne erano misteriosamente (e pericolosamente) affascinati. Tra le moltissime cose che a Ostia sono cambiate in questi trent’anni, chissà perché c’è un’immagine in particolare che mi torna sempre in mente: lo steccato di legno, al parcheggio dietro Piazzale Vega, che delimita i binari del treno davanti a cui pisciano i tre protagonisti: era uno steccato vecchio già all’epoca del film, alzato insieme alle stazioni Stella polare e Castel Fusano nel biennio 1948-’49; eppure quello steccato ha fatto in tempo a vedere Ostia invasa dall’eroina negli anni ’80; oggi al suo posto c’è una più alta e sicura rete metallica. Mi viene da pensare che è proprio a Ostia che si trovi la vera Roma: come se tutti i detriti della città, il Tevere li accumulasse per scolarli qui.


01. PASSEGGIANDO SUL LUNGOMARE
(Il Dandi)
I titoli di testa vedono il gruppo di tossici protagonisti camminare su una spiaggia dove, tra sterpaglie e rifiuti, la terra si confonde con la sabbia: siamo a ridosso dell’Idroscalo di Ostia, uno dei set principali dell’intero film, là dove ora sorge da qualche anno il controverso Porto Turistico. Alle spalle dei ragazzi si intravede Tor San Michele, il maschio (e non semplice torre) d’avvistamento dell’Idroscalo realizzato nel Cinquecento nientemeno che su progetto di Michelangelo; via dell’Idroscalo, all’altezza dell’incrocio con Via di Acqua rossa, separa il terreno su cui sorge Tor San Michele dalla spiaggia dove camminano i protagonisti. Sulla destra, la stradina che costeggia la spiaggia è l’attuale Via del porto di Roma; sullo sfondo si stagliano gli inconfondibili palazzi di Via Carlo Avegno, ancor oggi il punto estremo di edilizia civile del territorio. Il piano sequenza si chiude sugli scogli nel mare (oggi risistemati in funzione del porto), chiaro simbolo del naufragio generazionale che si sta per raccontare.

02. I SOLDI (AL PONTILE)
(Federico)
“Non te capisco: se sbattemo pe’ fasse ‘no schizzo e te te piji er gelato?”: così Enzo (Di Benedetto) rimprovera Ciopper (Stani) per i pochi soldi portati, mentre i due siedono su una delle panchine del pontile. Poco dopo li raggiunge anche Cesare (Ferretti), che ripete la scena rimproverando entrambi. Siamo sul Pontile in Piazza dei Ravennati, sempre a Ostia. Alle spalle di Enzo (tanto per far capire come il film sia girato in un territorio molto ristretto) si intravede la Chiesa di Santa Teresa, che ritroveremo in una delle scene successive.

03. MICHELA
(Il Dandi)
“Certo che se se mettemo insieme svoltamo de più”, osserva acutamente Ciopper. Nel frattempo Michela (Mioni) sta già svoltando per conto suo, e la vediamo mentre compra la robba (il termine utilizzato quasi sempre nel film per definire la droga) dalla prostituta Teresa (Clara Meloria). Siamo sulla scalinata della Chiesa di Regina Pacis, in Corso Regina Maria Pia sempre a Ostia. I giardinetti circostanti sono stati a lungo un punto di aggregazione di tossici anche nella realtà. Dalla soprastante Via Quinto Aurelio Simmaco sopraggiungono intanto anche gli altri protagonisti: qui sulla scalinata Cesare ha un diverbio con Michela, mettendola in guardia dal rischio di “prendere una sòla”. I tre amici se ne vanno salendo su da dove sono venuti. Incoerentemente ricompariranno di nuovo a Piazza dei Ravennati, ma attenzione: in diverse occasioni (tra cui anche in un’intervista contenuta negli extra del dvd) Caligari parla di una “scena di spaccio ai giardinetti della Stazione della metropolitana, con moltissime comparse” che fu effettivamente girata ma poi tagliata dal montaggio; se tale scena fosse stata inserita, l’uscita in quella direzione sarebbe stata geograficamente coerente.

04. D'ARTAGNAN, D'ARTAGNAN!
(Il Dandi)
Di fatto, Cesare, Enzo e Ciopper ricompaiono, come si diceva, a Piazza dei Ravennati, uscendo da sotto il portico di Viale della Marina davanti allo storico bar Gran Caffè Miramare di Ostia, purtroppo scomparso da una decina d’anni (al suo posto oggi si trova una bisteccheria). Qui cercano un pusher, D'Artagnan, e lo chiamano a gran voce, ma niente; D’Artagnan è lì, ma parte con la sua Alfetta rossa e i nostri attraversano la strada rincorrendolo invano su Lungomare Paolo Toscanelli, di fronte allo stabilimento balneare Battistini.

05. LA “ROBBA” E LA “FARMA”
(Il Dandi)
Da un telefono pubblico non identificabile (sappiamo che fosse quello all’interno dello stesso Gran Caffè Miramare, ma non è dimostrabile), Enzo cerca di rintracciare il pusher. Alla fine l’incontro avviene sempre a Ostia davanti alla Chiesa di Santa Teresa, all’angolo di Piazza di Tor San Michele (porta il nome del maschio dell’idroscalo, ma sta da tutt’altra parte), nel punto in cui incrocia Via Aldobrandini e Via Rutilio Namaziano (quest’ultima è la via da cui proviene l’Alfetta del pusher, ma oggi la strada ha senso di marcia opposto). Significativo dunque il fatto che la ricerca della robba avvenga in una peregrinazione tra una chiesa e l’altra: data la forte iconografia cristologica (mutuata da Pasolini) che Caligari usa nel film, tale dettaglio non è forse da considerarsi casuale. “Frena i freni, è aperta questa de farma!” esclama Ciopper mentre i tre cercano una farmacia aperta: quella dove Ciopper scende a comprare le spade (cioè le siringhe) è la storica Farmacia Giaquinto, ancora esistente ma attualmente denominata Farmacia Della Rovere, all’angolo tra lo stesso Viale dei Misenati e Via degli Acilii, ancora a Ostia. Nella logica della realtà l’auto avrebbe dunque dovuto trovarsela subito sulla destra: nel montaggio del film invece la Renault dei protagonisti proviene dalla direzione opposta rispetto a dove l’abbiamo vista prima. Ciopper scende a comprare le siringhe e non prende nemmeno le cento lire di resto; sale in macchina e Cesare riparte a tutto gas imboccando Via Claudio. Gli interni della farmacia sono stati oggi totalmente ristrutturati, senza lasciare alcun elemento di continuità con le brevi immagini del film, ma i proprietari confermano che la scena venne effettivamente girata lì dentro.

06. A ME IL LIMONE NON ME LO DANNO PERCHÉ SANNO
 CHE ME CE DDDROGO
(Il Dandi)
Risolto il problema delle spade, resta solo quello di recuperare un limone e di stabilire chi dei tre sia il più presentabile per assolvere al compito, dando luogo ad uno dei singolari siparietti “comici” che il film inserisce con macabro umorismo. La strada che la Renault dei nostri eroi percorre è infatti Via Sartena in direzione Piazza Sagona a Ostia. Cesare accosta proprio all’angolo dell’incrocio e Ciopper e Enzo scendono al bar della piazza a prendere il limone. Il vecchio bar ha ceduto il posto ad un pub (Guinness) che si è ingrandito inglobando anche le vetrine adiacenti.

07. LA PERA
(Il Dandi)
Cesare ferma la Renault in un piccolo sterrato accanto ai binari della ferrovia e qui ha luogo una scena cult che segue con precisione lo scioglimento del brown sugar con le gocce di limone, la cottura con l’accendino, il caricamento delle spade, l’ingenuo, ridicolo e tenero filtraggio della sostanza attraverso un filtro di cotone spezzato da una sigaretta, la preparazione del braccio dove è sempre più difficile agganciare una vena, e finalmente il buco. Successivamente all'iniezione (chiamata sempre “pera”) i tre amici scendono dall’auto per pisciare tutti insieme davanti al treno che passa, in via del Sagittario (siamo sempre a Ostia). Lo sterrato è oggi un parcheggio asfaltato e la staccionata di legno che difende i binari è stata sostituita da una più solida rete metallica: è ancora possibile raggiungere il punto esatto dove i ragazzi si bucano nella Renault, però a causa di recenti costruzioni non è più possibile accedervi dalla stessa direzione da cui proveniva Cesare; ivi si entra dalla direzione opposta, ossia da Piazza Vega, dove sorge (c’era già allora) la stazione Stella polare della metro Roma-Ostia. A sinistra della Renault (ben visibile alle spalle dei tre ragazzi mentre fanno pipì) si riconosce una palazzina di cinque piani dai caratteristici balconi vetrati, il cui ingresso è sul lato opposto (Viale Vega): nel film vi si nota un inquilino curioso che spia le riprese affacciato al suo balcone: il fatto che i ragazzi si fossero appena bucati lì davanti rende comunque verosimile questo buffo particolare. Del resto la scena del film negli anni ha reso quel parcheggio un vero culto per i tossici del territorio: c’è da pensare che i residenti non ne siano stati contentissimi. Dall’altra parte della ferrovia si scorgono le case popolari di Via Giuseppe André, caratterizzate dai loro minuscoli balconcini e da qualche anno riverniciate di fresco (ma solo su quel lato: sulla facciata opposta si può ammirare ancora il rosso originale). Sono questi ultimi in realtà gli elementi attraverso i quali è più facile identificare immediatamente il posto, e sono quelli dal valore scenografico più alto: tant’è che mentre i tre si bucano in macchina, nell’ inquadratura su Enzo e Cesare la posizione è coerente, mentre quando viene inquadrato Ciopper (seduto sul sedile posteriore) sullo sfondo vediamo ancora le case popolari di Via André, che invece dovrebbero trovarsi alla sua destra e non alle sue spalle: evidentemente per l’inquadratura su Ciopper l’automobile deve essere stata appositamente spostata di 45°, per avere uno sfondo più suggestivo del vuoto sterrato di provenienza.

08. VOMITINA
(Il Dandi)
Nel frattempo anche Michela si fa la sua pera nel bagno di un piccolo bar (identificato ma non dimostrabile, quindi sorvoliamo), ma Cesare aveva ragione: Teresa le aveva venduto “acqua fresca” e Michela ha preso una "sòla". Agli altri tre invece la pera sale eccome: verso la fine di Via dei pescatori (riconoscibilissima la discesa della rampa che passa sopra la ferrovia), a Ostia, Ciopper fa fermare la macchina perché gli sta venendo “una vommitina”, che subito contagia anche Enzo, lasciando Cesare da solo in macchina a commentare la situazione con una battuta cult: “Ma che è, una classe differenziale?”. Ciopper scende sul lato sinistro, quello del canale di rimessaggio delle barche; Enzo scende sul lato destro, dove si intravede il Borghetto dei pescatori, oggi molto più curato. Seguirà un’inquadratura notturna, ripresa in soggettiva dall’interno dell’auto: le luci della ribalta. “Come le ribalti è uguale”, dice Cesare mentre cantano tutti insieme “Per Elisa”. Si capisce che l’auto viaggia sul lungomare in direzione Ostia Levante provenendo da Ponente (in pratica con il buio del mare sulla destra e le “luci della ribalta” sulla sinistra) ma non ci sono elementi per identificare l’altezza esatta.

09. UNA SOLA TOTALE
(Il Dandi)
Il giorno dopo ritroviamo Cesare e Michela che escono da un piccolo bar e lei gli chiede di aiutarla a rimediare alla sòla presa da Teresa. È la prima scena del film ambientata nel territorio di Nuova Ostia (Ostia Ponente), dove si suppone che i protagonisti vivano, mentre fino adesso si era vista solo la più civile Ostia Levante. Siamo infatti nella famosa Piazza Lorenzo Gasparri, il cuore di Nuova Ostia. Sebbene nella piazza sia stato ora costruito un parco, la zona è considerata da molti off-limits ancora oggi. Il bar (all’angolo tra la Piazza e Via Franco Storelli) resiste immutato. Alle spalle di Cesare e Michela si vedono anche i palazzi di Via Guido Vincon, ristrutturati ma ancora riconoscibili (all’epoca alcuni palazzi della zona erano vuoti e pericolanti).

10. TERESA SUL LUNGOMARE
(Il Dandi)
Michela dice a Cesare che Teresa “sta sul lungomare ad aspettare il pappone”, e infatti Cesare non fa altro che attraversare letteralmente la piazza. Teresa è proprio all’angolo tra Piazza Gasparri e Lungomare Duca degli Abruzzi, a Ostia. Non c’è più traccia del Caffè Brasileiro (ora un anonimo terrazzino privato al pianterreno), ma la palazzina d’angolo è ancora identificabile dai balconi e dal muro di cinta. Teresa scappa via col pappone e Cesare per raggiungerla si fa dare un passaggio da due ragazzi (il ciccione Mario Caiazzi, già visto nella scena al Gran Caffè Miramare, e il capellone Falerio Ballarin, entrambi personaggi noti della zona). L’auto parte e scende sul Lungomare verso Levante.

11. IN PINETA (NON CE CHIAMA’ PIÙ PE’ I CAZZI TUA)
(Il Dandi)
Tra le numerose pinete di Ostia, quella in cui il pappone (Trombetta) accompagna Teresa all'appuntamento con un cliente è in realtà una delle più piccole: si tratta di un triangolo delimitato da Via Mar Rosso, Via Mar Arabico e Viale Ernesto Orrei. Alle spalle del pappone e di Teresa si distinguono infatti dei palazzi di Via Mar Rosso, mentre alle spalle di Cesare e dei due scagnozzi che si è portato appresso si intravede la scuola della GdF. Oggi a nessuno verrebbe in mente di entrare in pineta con l’automobile (si rischia una salatissima multa), ma teoricamente è ancora possibile e fino a qualche anno fa pure una pratica abbastanza diffusa. Il cliente di Teresa, vedendo comparire questo terzetto, scappa via. Ma poi anche i due ragazzi da cui Cesare si è fatto accompagnare se ne vanno, delusi di non dover picchiare il pappone (“Ma allora che c’hai chiamato a fa’?”). Secondo le testimonianze di alcuni membri del cast, uno dei due “attori” della scena, il capellone Falerio Ballarin, fu prelevato dalla Polizia proprio in quel posto a ciak appena ultimato!

12. LA STAZIONE (ANDATA)
(Il Dandi)
Qui ha inizio la trasferta romana dei protagonisti, che si ritrovano alla Stazione di Ostia Lido Centro per prendere il treno in direzione Roma. Alle spalle dei binari si vedono benissimo le case di Via Alessandro Bertolini e l’angolo di Via Capo Palinuro. I treni azzurri che coprivano la linea Roma-Ostia (già visti nella scena della pera al parcheggio) erano ancora in uso fino a una decina di anni fa; il binario in direzione Roma (e il lato di apertura delle porte del treno) è stato invertito nel tempo. Peccato che il film non mostri il piazzale esterno alla Stazione, dove doveva svolgersi una delle prime scene che non venne inserita nel montaggio, poiché la relativa Piazza della Stazione di Lido Centro era effettivamente un centro trafficato e molto frequentato da giovani della zona, tossici e non.

13. AL SERT
(M.Shannon)
Diretti al Sat (oggi Sert) per prendere il metadone, i quattro protagonisti arrivano a Piazza dei Mirti (nel quartiere di Centocelle, a Roma). Qui incontrano Massimo (Massimo Maggini), che è appena uscito di galera e propone a Cesare una rapina che ha progettato. Dentro il Sert Cesare e Michela incontrano anche i travestiti Er donna (Gianni Schettini) e Deborah (Fernando Arcangeli), mentre Ciopper tenta un goffo approccio sessuale con la psicologa (Silvia Starita). Fuori dal Sert, sempre sulla Piazza dei Mirti, Enzo aspetta il pusher Mario (Mario Afeltra), che si ferma con la sua Volvo bianca all’incrocio con Via dei Castani. Mario cerca Loredana (Loredana Ferrara), dalla quale spera di ottenere favori sessuali in cambio della robba, ed Enzo ne approfitta per farsi lasciare qualche busta a credito: “c’ho già i contatti, te porto i soldi a tamburella!”

14. LA RAPINA
(Il Dandi)
Cesare e Massimo vanno a fare “la chiusura” a un piccolo negozio di alimentari: lasciano la loro Renault 14 blu (vi siete mai chiesti perché tutte le auto che usano film sono Renault?) col motore acceso e entrano coi ferri in pugno. Siamo ancora a Roma, nel quartiere di Centocelle, in Via Giovanni Gussone 20; la strada ha una particolare struttura a semicerchio che forma un anello insieme alla gemella Via Michele Tenore. Al posto del bar rapinato ora c’è un negozio di elettromeccanica. Dopo la rapina i due scappano in auto percorrendo a gran velocità Largo Federico Delpino immettendosi sulla Via omonima: ciò che permette al meglio l’identificazione è la Farmacia Pacchiarotti (Via Federico Delpino 70) ancora esistente. Il bottino è piuttosto magro: appena 20.000 lire, che Cesare decide di lasciare a Massimo, il quale sta “a rota perso”. Alla fine della corsa Massimo parcheggia la Renault accanto al muretto di un campo da calcio: indovinate dove siamo? in Via Michele Tenore! Quando mi accorgo di aver beccato due location distinte in un colpo solo, la soddisfazione e l’incredulità si contendono il primato: nel film chiaramente non si capisce ma il punto in cui la fuga termina è a pochi metri prima del negozio che i due hanno appena rapinato! Nella realtà sarebbe assurdo, ma del resto per attori come questi non doveva essere molto igienico farsi vedere troppo in giro in macchina con una calza sul volto e la pistola in mano… vai a raccontare che “stiamo girando un film”! E infatti i carabinieri intervennero, come ho poi scoperto grazie alle testimonianze di chi lavorò nel film, fermando duramente Cesare e Massimo e commentando che “un film era la scusa più assurda che avessero mai sentito in tanti anni di servizio”. L’equivoco a quanto pare si sarebbe chiarito nel giro di una mezz’ora. Per quanto riguarda l’insistita presenza di Renault nel film, ciò si spiega invece con il semplice fatto che la casa di produzione del film (la Gaumont) era appunto francese, e mise a disposizione del regista alcune vetture già in cattive condizioni arrivate direttamente d’oltralpe.

15. LO STRAPPO DI LOREDANA 
(Ellerre)
Nel frattempo anche Loredana (che fino adesso era comparsa brevemente solo nella scena iniziale al Pontile, con i protagonisti a consumare il gelato seduti sulla panchina) cerca di "svoltare"  facendo uno scippo: all’angolo tra Viale delle Orchidee (dal quale proviene) e Via delle Acacie (direzione in cui scappa), a Roma, Loredana accosta il suo “Piaggio Sì” con la scusa di chiedere un’informazione a una signora, alla quale invece strappa la catenina che porta al collo e scappa via.

16. ORO O ARGENTO?
(Federico)
Fatto lo scippo Loredana va ad aspettare Mario sperando di farsi dare la robba in cambio della catenina; ma a lui la catenina non interessa: in cambio della robba c’è una cosa sola che vuole da lei. Anzi, due: per mezzo grammo vuole la fica e per un grammo intero il culo. “Che vuoi? Oro o argento?”, domanda impenitente il pusher in questo dialogo cult passato alla storia. Siamo in Via dell’Acquedotto Alessandrino a Roma, riconoscibilissima dai resti dell’omonimo acquedotto romano. Ironicamente, i due attori di questa scena erano invece una coppia, nella vita reale.

17. MASSIMO DALLA MADRE DI MARIO
(Il Dandi, Andygx)
Mentre Cesare raggiunge gli altri al Sert dove li aveva lasciati, nel frattempo Massimo con le 20.000 lire della rapina che gli ha lasciato Cesare va a cercare Mario direttamente a casa sua. Gli apre la madre (Maria Galleoni) e dice che Mario non c’è, ma… “Perché, che te serviva?” Massimo nicchia, ma lei insiste: “Che voi la robba? Oh se voi la robba dillo!”. Così scopriamo increduli che anche la madre e la nonna partecipano all’impresa di famiglia! Anzi, è proprio la nonna quella più spietata, che per diecimila lire in più sarebbe pronta a tagliare ulteriormente la magra dose già tagliata che confezionano per Massimo. Siamo alle inconfondibili baracche dell’Idroscalo, nella zona più estrema di Ostia Ponente alla foce del Tevere. La scena è geograficamente poco congruente, perché la zona di spaccio di Mario risultava essere Centocelle e non Ostia. Ma il valore scenografico del posto è senza dubbio insostituibile. Sul fatto che la baracca della madre di Mario fosse all’Idroscalo non avevo dubbi per memoria personale: dalla curvatura del terreno asfaltato intorno alla terra ho subito capito che si doveva trattare della Piazza dei piroscafi. Ma anche stavolta non sarebbe stato possibile dimostrare visivamente la ricostruzione del punto esatto senza ricorrere a Google earth: un sopralluogo di persona, oggi, mostra una situazione ancor più diversa di quella immortalata dalla vista satellitare, ed è una fortuna che proprio la piazza sia l’unica porzione di Idroscalo coperta (evidentemente l’auto di street view non ha voluto inoltrarsi oltre). Anche così comunque i cambiamenti sono a prima vista scoraggianti; ma poi osservando meglio la curvatura della strada asfaltata intorno alla terra, i pali della luce, i piloni cilindrici del cancelletto, l’altezza del muretto a destra, le cassette dei contatori nelle stesse posizioni, la struttura a due piani della baracca azzurra, la coerenza dei tetti, la struttura delle colonnine bianche (di cui quella di sinistra ora incorporata nel prolungamento della casa)... non potevano essere tutte coincidenze. Per fugare definitivamente ogni possibile obiezione ho ricercato l’approvazione dello specialista ed amico Andygx, che da professionista qual è ha individuato il decisivo elemento di continuità della location: un pezzo di muretto a mattonicini rossi sopravvissuto accanto alla rete metallica. La baraccopoli ha subito negli ultimi anni molti sfollamenti e demolizioni, la più massiccia tra il 2009 e il 2010, sia per le piene del fiume che per la forzata politica di “riqualificazione” del territorio. Maria Galleoni, la signora con la cicatrice sulla fronte che interpreta la madre di Mario, era una donna molto conosciuta nella zona, madre dei celebri fratelli Baficchi.

18. IL BUCO SUL COLLO
(Ellerre)
Rimediata la robba (e sappiamo quanto le è costato), Loredana (Ferrara) va a farsi una pera sulla panchina di un parco, oggi intitolato Parco Teresa di Calcutta (ancora a Centocelle, a Roma). Qui la raggiunge una ragazza che le porta lo specchietto retrovisore di un’automobile: siccome non trova più vene sulle braccia, Loredana si buca sul collo. È una delle scene più forti del film, dove domina il colore rosso (la maglietta di Loredana, il campo di papaveri, il sangue). Successivamente ritroviamo Cesare e Michela seduti a guardare il mare su una baracca di legno, con due spade appena usate conficcate in un tronco. Qui ha luogo un dialogo in cui i due lamentano la squallida routine delle loro vite e ipotizzano un ennesimo tentativo di smettere di bucarsi. Siamo ai cosiddetti bilancioni da pesca, nella punta estrema dell’Idroscalo, alla Foce del Tevere: le baracche per intenderci non guardano davvero sul mare aperto, come sembrerebbe nei numerosi film in cui appaiono (per esempio in La ragazza di via condotti), ma ancora sul fiume (di fronte infatti si distinguono gli omologhi Bilancioni di Fiumicino, sulla sponda opposta del Tevere, che ancora resistono). Gli ultimi bilancioni dell’Idroscalo sono stati demoliti nel 2009, ma lo strumento “orologio” di Google Earth ci mostra ancora la loro posizione.

19. LOREDANA SULLO STERRATO
(Il Dandi)
A questo punto ritroviamo finalmente i personaggi di Teresa e del suo pappone che passano in automobile lungo Via dell’Idroscalo, all’altezza dell’incrocio con Via dell’Appagliatore, ancora nella parte interna di Ostia Ponente. Qui i due notano Loredana che visibilmente “sta a rota”, ovvero soffre di una forte crisi d’astinenza. Il pappone prontamente la carica in auto e le fa usufruire della roba riservata a Teresa, con l’idea di mettere a lavorare anche lei. Il punto in cui Loredana e il pappone si incontrano è accanto all’attuale Chiesa di N.S. di Bonaria, di cui all’epoca era appena iniziata la costruzione. Alle loro spalle si distinguono infatti i palazzoni di Via dell’Appagliatore, oggi nascosti da costruzioni più recenti. Appare dunque evidente che all’epoca del film Via dell’Idroscalo era sostanzialmente una prosecuzione di Viale Casana, mancando il triangolo di terreno edificato che attualmente la separa dalla Chiesa. Quando l’automobile riparte percorre Via dell’idroscalo fino all’incrocio con Via Carlo Avegno: qui gira a sinistra verso il mare e si ferma su uno sterrato in prossimità dell’ultima palazzina d’angolo tra Via Avegno e il Lungomare: nello sterrato dove il pappone fa scendere Loredana a bucarsi attualmente c’è proprio l’entrata del Porto Turistico, costruito nel 2000. A questo punto dalla spiaggia si avvicinano Cesare e Michela (coerentemente, visto che li avevamo lasciati all’Idroscalo): Cesare intuisce subito la situazione e si scaglia contro il pappone (“Che je stai a di’, che volevi fa’ batte pure a lei?”); Michela dal canto suo non ha dimenticato la fregatura ricevuta da Teresa (“a marchettara, che te credi che me la so’ scordata la sòla?”): tutti e quattro finiscono così a rotolarsi selvaggiamente per terra, tra reti metalliche e immondizia che brucia, mentre Loredana, a cui sta salendo il flash della pera appena sparata, resta impotente al centro della lotta.

20. DA PATRIZIA
(Il Dandi)
Altro giorno, altra pera. Di nuovo a Piazzale Gasparri a Ostia (all’epoca un grande sterrato deserto al centro della piazza, come si è già visto) Cesare chiama a raccolta gli amici: “Come la vedete una pera gratis a casa de Patrizia?” Poco dopo li ritroviamo infatti tutti a casa della nominata Patrizia. Ma chi è Patrizia, questa pittrice visibilmente più grande degli altri ragazzi, che vive in mezzo ai suoi quadri? Non è altri che Patrizia Vicinelli, poetessa e performer, ex membro del Gruppo ’63, coinvolta dagli sceneggiatori nell’operazione del film in quanto anch’ella tossicodipendente e ammiratrice di Pasolini. Mentre aspettano l’arrivo del pusher, i ragazzi ingannano l’attesa fumandosi una canna. Quando finalmente arriva la robba, ha inizio un vero e proprio lavoro d’equipe per il calcolo delle dosi e la preparazione delle spade. Dopo la pera collettiva assistiamo ad una delle scene più note del film: Patrizia “dipinge” un quadro schizzandolo con la siringa ed invita gli altri a fare altrettanto. Secondo la testimonianza di Caligari la sceneggiatura originale avrebbe previsto a questo punto un lungo discorso di Patrizia sul rapporto tra arte, mercato e droga, che poi è stato invece tagliato lasciando il commento alla voce più semplice ed autentica di Cesare: “Questo sì che è un quadro: che parla di vita, fatto col sangue, sangue nostro”. Il sangue utilizzato invece, venne in realtà fornito dal cameraman, che esasperato dalla riluttanza del cast si palesò come tossicodipendente anche lui.

21. DA PIER PAOLO 
(Federico)
Cesare e Michela stanno camminando, di nuovo ai piedi delle baracche dei pescatori alla Foce del Tevere (loro abituale luogo di meditazione, come già visto in una scena precedente), quando decidono di farsi l’ultima pera prima di smettere: ma stavolta non è robba, bensì coca. Qui assistiamo alla vera scena-simbolo del film: Cesare e Michela si bucano nel punto esatto in cui venne rinvenuto il cadavere di Pier Paolo Pasolini, a Ostia, appoggiati al Monumento a Pasolini dello scultore Mario Rosati, già inquadrato in molti altri film. Alle spalle di Cesare una rete di metallo delimita il campetto da calcio presente ai tempi della morte del poeta (1975) e poi scomparso. In fondo, sulla destra, si notano di nuovo le palazzine di Via Carlo Avegno e Tor San Michele, a tutt’oggi rimasta immutata e inutilizzata da quando la occuparono i tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale; da qualche anno si avanza il progetto di realizzare un parco-museo intitolato a Pasolini proprio alla vicina Tor San Michele. Nel frattempo, attorno, la vegetazione è ricresciuta e il terreno circostante è diventato il Centro Habitat Mediterraneo della Lega Italiana per la Protezione degli Uccelli. Poi nel 2005, per il trentennale della morte del poeta, il monumento originale in cemento grezzo (su cui ho avuto la fortuna di appoggiarmi più volte e che mi manca molto), è stato sostituito da una replica in marmo travertino realizzata dallo stesso autore; in quest’occasione l’intero parco è stato recintato e riqualificato, con un percorso di lastre di marmo che recano incise citazioni di Pasolini; il nuovo monumento porta inoltre alla base l’iscrizione del verso “passivo come un uccelletto che vede tutto, volando, e si porta in cuore nel volo in cielo la coscienza che non perdona”, e il fiero nome del committente: Il Comune di Roma. Ai piedi del vecchio monumento in cemento, Michela ha una crisi e Cesare tenta disperatamente di rianimarla e di aprirle la bocca, ferendosi e sporcandosi le mani di sangue: anche questo episodio non è che la messa in scena di un’esperienza realmente vissuta dai protagonisti.

22. IL FLASHBACK ALLE GIOSTRE
(Il Dandi)
Ritroviamo Michela su una barella con Cesare che la segue disperato in una corsia d’ospedale; a rigor di logica dovrebbe trattarsi del “G.G. Grassi”, tutt’oggi l’unico ospedale di Ostia, ma dalle testimonianze degli attori è emerso invece che si trattasse dei locali dell’Ospedale Sant’Eugenio all’Eur ,dove erano soliti ritrovarsi. I locali dell’ospedale appaiono comunque brevemente in inquadrature strettissime. Qui però Cesare rivive un flashback: il ricordo della prima pera, fatta in un Luna Park dieci anni prima, sulle note della battistiana “Acqua azzurra acqua chiara”, da adolescenti: Cesare è vestito da hippy, Michela ha i capelli più lunghi, Enzo non ha la barba; Ciopper giustamente non c’è, perché essendo più piccolo si suppone che si sia agganciato più tardi; ma soprattutto nelle spade non c’è robba bensì speed: l’inquadratura dei tre protagonisti sulla ruota panoramica mostra inequivocabilmente l’aspetto entusiasta e vitalistico del primo approccio alla droga, così lontano dal successivo degrado della routine. Il Luna Park è quello di Via Armando Armuzzi a Ostia, già visto ad esempio in Colpo in canna di Fernando Di Leo (1974): sullo sfondo della ruota panoramica si distingue infatti la chiesa di Regina Pacis vista all’inizio del film. Il Luna Park sorge dove un tempo c’era la vecchia Stazione ferroviaria di Lido Centro, che in seguito ai bombardamenti subiti nella Seconda Guerra Mondiale venne demolita nel 1949 e sostituita da quella attuale (già vista nel film), inaugurata nel 1951. La struttura del Luna Park, presente dagli anni ’60, è oggi in fase di smantellamento.

23. ANCORA UN FLASHBACK
(Il Dandi)
In un secondo flashback Cesare ricorda un altro episodio: lui ed Enzo (sempre vestiti da hippy, quindi qualche anno prima) notano un maturo playboy intento a pomiciare con una bella ragazza nella sua spider rossa; Cesare lo provoca mettendosi a pisciare poco distante, e nel diverbio che ne consegue il playboy busca un cazzotto, mentre Enzo - assai comicamente - si interpone con atteggiamento da paciere: “ma che sei una miserabile? Fai prende la sveglia al tuo ragazzo! Ma che non hai mai visto un cazzo, che sei una monaca?”. Questo secondo flashback è un momento fondamentale del film, perché introduce l’aurea di pericolosità che la figura del drogato porterà con sé (il tizio con la spider abbozza e scappa via senza reagire), ma mostra in maniera brillante anche il passaggio da una fase vitalistica ad una autodistruttiva, la frustrazione della condizione di tossico, lo spreco di rabbia e di energie che si ritorce contro sé stessi (per fare una bravata Cesare si ritrova con le mani insanguinate, come nel presente). L’attore che interpreta il playboy è Erminio Bianchi Fasani, generico cinematografico di lungo corso e a quell’epoca piuttosto attivo nel fiorente cinema hard. Il flashback avviene su Via dei Rostri a Ostia, in una zona “di confine” tra le ultime costruzioni di Ostia Levante e la circostante pineta. Qui tutto sembra rimasto straordinariamente come allora.

24: FINALE
(Il Dandi)
In preda al senso di colpa e alla disperazione, Cesare torna di nuovo sul luogo in cui Michela ha avuto la crisi, il monumento a Pasolini, e prova a suicidarsi procurandosi un overdose: ma non ci riesce! Colmo dei colmi la paranoia sale, ma il fisico non riesce a reagire come quello dell’amata. Cesare inizia dunque una sua fuga senza meta, nella quale lo vediamo correre sulla spiaggia che esisteva prima che vi costruissero il porto sopra, attraversando quell’insenatura “a granchio” che la scogliera del porto ha parzialmente ripreso. Successivamente lo vediamo correre sul Lungomare Paolo Toscanelli all’altezza dello stabilimento Battistini, proprio dove correva appresso a D’Artagnan all’inizio del film. Poi, altro stacco, lo ritroviamo su Corso Duca di Genova diretto a Piazza della Posta a Ostia: gira a sinistra per il Palazzo della posta (ancora esiste la cabina telefonica), sale le scale, entra sotto i portici, viene bloccato da due agenti in borghese, si divincola, scappa e viene colpito da un proiettile: “Ma l’hai seccato!” esclama, più preoccupato che dispiaciuto il primo poliziotto; “Eh, correva!” si stringe nelle spalle l’altro. Cesare giace a terra, sui gradini del Palazzo della Posta, a braccia aperte: come Accattone, come Gesù Cristo; come un povero-cristo-qualsiasi...)

Testi e curiosità: Il Dandi - Fotografie: Fedemelis - Tavole e impaginazione: Zender

APPROFONDIMENTO INSERITO DAL BENEMERITO IL DANDI (con FEDEMELIS E ZENDER)

Articoli simili

commenti (13)

RISULTATI: DI 13
    Didda23

    12 Gennaio 2015 15:29

    Mitico! Finalmente... Complimenti vivissimi a tutti.
    Markus

    12 Gennaio 2015 16:37

    Dandi, se ci facevi aspettare ancora te facevo "la chiave de cioccolata" ;-). Monumentale opera! Ti/vi ringrazio commosso. Er limone, er cucchiaino bruSciato...
    Brainiac

    12 Gennaio 2015 18:37

    Bellissimo Dandi, bellissimo. Quello che dici è vero, soprattutto nel passaggio "...ragazzi più grandi di noi che da piccoli vedevamo girare liberamente. In quegli anni erano tanti e stavano dappertutto: nelle strade, sulle panchine, sui prati". Da brivido, complimenti!!!
    Brainiac

    12 Gennaio 2015 19:15

    Questo passaggio non l'ho capito: "Il sangue utilizzato invece, venne in realtà fornito dal cameraman, che esasperato dalla riluttanza del cast si palesò come tossicodipendente anche lui".
    Il Dandi

    12 Gennaio 2015 19:40

    [quote=Brainiac]Questo passaggio non l'ho capito: "Il sangue utilizzato invece, venne in realtà fornito dal cameraman, che esasperato dalla riluttanza del cast si palesò come tossicodipendente anche lui".

    Come è noto le pere che si vedono nel film non erano davvero caricate con eroina, ma con sostanze neutre. Ovviamente era molto difficile convincere gli attori a spararsi uno "schizzo a vuoto", e arrivati alla scena del quadro nessuno volevo mettere il proprio sangue a disposizione. Fu a quel punto che il cameraman stupendo tutti disse qualcosa tipo "avete stufato, allora la pera me la faccio io". Almeno questo è ciò che mi è stato raccontato dai protagonisti.
    Brainiac

    12 Gennaio 2015 21:23

    Ah ok! Una cosa incredibile del film è come il "lessico fattone" sia tutt'oggi utilizzato a Roma pure in quartieri medio-borghesi. Si è tramandato quasi alla lettera ("svoltare", "'na storta" ecc...). Non credevo fosse possibile ma è perfetto esempio di come adoperarsi per il realismo dia sempre frutti di verosimiglianza.
    M.shannon

    13 Gennaio 2015 02:58

    Grandissimo specilae, atteso da anni !!
    Ruber

    13 Gennaio 2015 15:58

    Non sono amante degli speciali ma questo insieme a qualcun altro e veramente ben fatto complimenti vivissimi al Dandi che dopo 2 anni ce la fatta a portare a termine questa sua personale direi opera che fa rivivere il film attraverso scorci di Ostia che non ci sono più e quelli che ancor oggi resistono nel tempo.
    Andygx

    14 Gennaio 2015 08:26

    Devo fare all'amico Dandi i miei più sentiti complimenti per questo special; la gestazione è stata lunga ma la qualità del lavoro svolto ha ripagato completamente l'attesa.
    Efficacissimo il testo, insolite ed affascinanti le location.

    Ringraziamenti all'ottimo Fedemelis per le belle foto e
    per aver spinto l'autore a terminare l'opera.

    Bravi Ellerre e Zender, ma ça va sans dire!
    Il Dandi

    15 Gennaio 2015 06:45

    Ringrazio tutti per gli apprezzamenti, ma davvero, non potevo esimermi da questo umile omaggio ad Ostia, soprattutto in nome dell'amicizia di cui Michela, Roberto e Vincenzo mi hanno onorato in questi anni.

    E ringrazio naturalmente il davinotti per avermi dato l'opportunità di far conoscere questo lavoro.

    e il giorno dopo... di nuovo in forma ;)