Certo non è un film da vedere per tirarsi su il morale, ma è una pellicola di rara, magistrale eleganza, che ammalia anche con i lunghi silenzi, con gli inseguimenti visivi per Venezia. Fenomenale la prestazione di Dirk Bogarde, splendido von Aschenbach, che giunge a tingersi i capelli. La sua sottorecitazione è, come sempre, deliziosa. Un po' caricaturale Romolo Valli. Da approcciare con pazienza, ma da non perdere: contiene dieci secondi fra i più belli che io abbia mai visto in un film (vedi sotto). Chi sviene in stazione è lo smilzo Marco Tulli.
MEMORABILE: La gioia di von Aschenback quando può rinunciare alla forzosa partenza.
Lento, filosofico, decadente ed estetizzante come il racconto di Thomas Mann da cui è tratto; a parte alcune variazioni, gli è sostanzialmente fedele. Impeccabile (e toccante) come al solito l’interpretazione di Bogarde, specialmente nel tristissimo quarto d’ora finale, enfatizzata dalle malinconiche musiche di Mahler.
Anziano musicista in vacanza a Venezia si innamora di un ragazzino, mentre un morbo avanza in città. Dal denso romanzo breve di Thomas Mann, Luchino Visconti ha tratto un film maestoso, scandito dalla musica di Mahler, arricchito dalla fragile ambientazione veneziana, impreziosito dalla recitazione del grande Dirk Bogarde (struggente la maschera di trucco che si sfalda per il sole e per la febbre) e dall'eterea figura di Björn Andersen. L'incedere lento e costante del tempo e dell'ossessione costituisce il vero fascino di questo misterioso film.
Da un fastidioso racconto di Mann, un film che non arriva ai vertici dell'arte viscontiana perdendosi nel mellifluo torpore dei sensi e dell'infezione veneziana. Ottimo Bogarde ovviamente e suggestivo il film ma abbastanza superficiale. La figura di Aschenbach è ispirata a quella di Malher anche se il racconto sembra essere molto autobiografico. In una breve parte d parrucchiere il grande Franco Fabrizi.
Splendida opera tratta da un racconto di Thomas Mann, rappresenta l'ingresso di Visconti negli Anni Settanta, che avviene attraverso un film di rara eleganza formale e pregno di autobiografismo. Nel personaggio principale non è difficile intravedere lo stesso regista lombardo, che carica il film di ricordi personali e familiari, immergendolo in una splendida fotografia (di De Santis) e accompagnandolo con le grandi musiche di Mahler. Molto intensa l'interpretazione di Bogarde.
Capolavoro visionario di Luchino Visconti. Trama fedele al racconto di Thomas Mann, anche se l'Aschenbach scrittore viene sostituito da un Aschenbach musicista che riprende la figura di Gustav Mahler. Film con dialoghi ridotti all'osso e colonna sonora spettacolare (di Mahler per l'appunto). Drammatico e intenso, racconta la crisi del musicista che si ripercuote anche a livello personale e sociale (in questo Aschenbach è alter-ego di Mann stesso). Delicati i momenti di amore platonico per Tadzio, icona del bello assoluto. Film meraviglioso.
MEMORABILE: La figura di Tadzio nella scena finale.
Morte a Venezia, sì, ma anche a Roma via Tiburtina sesto piano interno 3. Perchè la mia espressione vedendo il film, non era diversa da quella (tediata) del marinaretto T. durante le zoomate avanti-indrè per l'hotel. E no, non mi permetto di dire che sia cinema mediocre, ma lo pallino basso perchè quel dì lo rivedrò. Ok la filippica sulla bellezza-preesistente, ok che il film si riaccende emotivamente nello struggente intermezzo, però "to everything there is a season" cantavano i Byrds, e la nosta di stagione (e del film in costume e della musica classica) caro Luchino, non è ancora arrivata.
MEMORABILE: "La bellezza nasce così, spontaneamente, a dispetto delle tue e delle mie fatiche, essa preesiste alla nostra presunzione di artisti".
Il film è quasi un capolavoro, in certi momenti è onestamente claustrofobico, si autocelebra, ma riesce ad affrontare le insidie disseminate forse nella sceneggiatura con molta tenacia. Le atmosfere che Visconti crea ed evoca allo stesso tempo non sono che il frutto della sua immensa professionalità: il resto è affidato ad un Bogarde sublime. Risulta difficile ricordare un momento particolare per non fare torto al grande film. Comunque per me il finale è pura poesia ,impastata con il genio creativo, di un grande e indimenticabile maestro.
Un film obiettivamente faticoso, almeno per me. Dopo un lungo, estenuante inizio descrittivo (nella prima mezz'ora non succede assolutamente nulla, se non che Dirk Bogarde arriva al Lido) la vicenda finalmente si sviluppa, ma l'eleganza formale della pellicola -indiscutibile- non può riscattare una materia ossessivamente ripetitiva (quante volte vediamo Bogarde che insegue il ragazzino con le sorelle nei vicoli veneziani?) e l'idea che il regista milanese abbia fatto un po' troppa accademia si fa via via più forte. Un paio di sequenze geniali ci sono, in ogni caso.
Alto esercizio di stile, che si sublima in poesia grazie al congiungersi di talenti letterari (Mann, autore dello stupendo racconto da cui è tratto il soggetto), musicali (le note di Madler sono imprescindibili), cinematografici. Nel ritratto di questo anziano gentiluomo, che si innamora non di una persona ma di una icona (Tadzio è l'evanescente fantasma di una bellezza irrangiungibile e di una giovinezza perduta), Visconti mette molto se stesso, Bogarde emoziona. Sullo sfondo, Venezia, decadente, malata, bellissima.
MEMORABILE: Il finale, con il disfacimento del trucco sul viso di Bogarde, è di quelli che non si dimenticano
La splendida carrellata iniziale della laguna veneziana, sulle malinconiche note di Mahler, anticipa il tono generale del film: il resoconto di un disfacimento morale ancor prima che fisico. Aschenbach si consuma per il colera, ma soprattutto a causa dell'incapacità, per lui intollerabile, di sottoporre la propria attrazione per la Bellezza e in definitiva la propria ispirazione, ad un rigoroso controllo etico ed intellettuale. Mirabile lavoro su scenografie e costumi (della coppia Tosi-Pescucci), soffocanti nella loro ingessata eleganza.
MEMORABILE: Aschenbach, ridottosi per infelicità d'amore e vanità ad un patetico mascherone, vaga per le calli, ormai infestate, che traboccano di spazzatura.
Una torbida Venezia che lentamente si svuota di ogni presenza umana è lo sfondo ideale per la vicenda dell'artista fallito, che ritroverà brevemente la sua ispirazione, Tadzio, ma non riuscirà a farla propria. Fotografia spettacolare che incornicia una città che non esiste più, divorata dal turismo selvaggio. Bogarde non è il volto perfetto, ma le sue espressioni sostituiscono egregiamente, Mangano piuttosto dimenticabile. Visconti dipinge una decadenza umana tremendamente attraente, utilizzando a puntino la difficile storia di Mann.
MEMORABILE: Il breve incontro tra Tadzio e Von Aschenbach nella sala colazione; il lento inseguimento nella città devastata dal colera.
La morte di un artista, e la morte di un certa idea dell'Arte: forma assoluta, astrazione dai sensi, ideale apollineo da preservare dal maligno contagio della realtà... menomale che le pulsioni omoerotiche suscitate dal bellissimo Tadzio prima, e il vibrione del colera dopo, fanno giustizia di tale concezione, ascetica e vagamente kitsch, della creazione artistica! Film che parla lo stesso linguaggio del suo protagonista, un delirio estetizzante, prendere o lasciare, io avrei lasciato dopo mezz'ora, tempo sufficiente per gustarmi una Venezia smagliante e straziante, tra bizantino e decò...
MEMORABILE: Lo stabilimento balneare del Lido; l'ultimo sguardo, offuscato, di Von Aschenbach a Tadzio sulla spiaggia.
Raffinatissima trasposizione cinematografica del romanzo di Mann (parzialmente modificato) che Luchino Visconti ammanta di una bellezza che lascia il segno. Merito non solo della sua regia, lenta ma con incedere reale che avvolge pian piano e “vischiosamente” lo spettatore, ma anche di una confezione che ricostruisce con grande precisione e perfezione la Venezia dell’epoca. Sugli scudi in particolare le scenografie di Scarfiotti ed i costumi di Tosi. Magnifica la prova di Bogarde. Sublimi alcuni momenti. Grande esempio di cinema.
MEMORABILE: La felicità di Bogarde che non deve più partire. Il finale. La ricostruzione d'epoca.
Visconti è un regista di grande sensibilità e forse solo a lui poteva venire l'idea di tradurre in immagini il concetto di idealizzazione della bellezza che emerge dal romanzo di Thomas Mann. Inoltre, dopo la scelta delle musiche di Anton Bruckner in Senso, dimostra ancora un grande gusto musicale scegliendo il celebre e struggente adagietto dalla sinfonia n. 5 di Mahler per accompagnare un film lento che non mi ha lasciato la sensazione del capolavoro, ma solo apprezzabile ricerca della raffinatezza artistica. ***
Tratto dal racconto lungo di Thomas Mann. Scenograficamente parlando bellissimo. Dirk Bogarde non rispecchia fedelmente il personaggio del libro, ma comunque offre un'interpretazione sopra la sufficienza. Lento ma non noioso. Da ricordare una Venezia cupa, "malata" ma sempre bellissima.
Compito facilitato per Visconti: il soggetto è più che mai nelle sue corde; scelta ovvia del tema musicale, niente di meglio di una illustre moribonda come Venezia per contenere questo mefitico dramma. Anche l'epoca in cui si svolge è perfetta e la fotografia ne approfitta sfruttando ogni inquadratura. Contesto vivamente la scelta di Bogarde come protagonista e a Visconti di aver perso di vista il fatto che un film deve essere opera fatta esclusivamente per chi lo vedrà (come ha ampiamente saputo dimostrare) e non solo per se stessi.
Film d'Autore di quelli che non si fanno più; intenso e struggente. Sceneggiato benissimo, con una regia impeccabile che gioca molto sulle prospettive e sulla luce. Pochi dialoghi (è lento come il romanzo) e una prevalenza di sguardi e di atmosfere velate. Ottimo Bogarde, che rende al meglio il "cupio dissolvi" del protagonista. Il tutto reso ancora più di spessore dalle appassionate musiche di Mahler.
La tragedia dell'amore assoluto e ossessivo insieme alla decadenza del culto del bello estetico sono i principi su cui si fonda questa trasposizione cinematografica del capolavoro di Mann. Il protagonista non viene minimamente scalfito da ciò che gli accade attorno (brutture, malattia, morte) dando luogo a un progressivo e inesorabile sfaldamento della propria integrità. Visconti è bravo a metterci molta farina del suo sacco nell'aggiungere elementi descrittivi che aggiungono, se possibile, maggior cupezza alla vicenda. Stupendo.
Splendida riflessione sull'arte, sull'amore e sulla bellezza in cui ogni elemento gioca in perenne bilico tra il gioioso e il mortifero, il lussuoso e il pestilenziale, la spinta vitale e l'abbandono, come l'incantevole e funerea Venezia bizzarro crocevia di strane entità e il nobile Von Aschenbach che il martirio di amor platonico ridurrà a maschera più grottesca dello stesso menestrello. Musiche che sembrano generarsi da sole tra gli sguardi sconsolati e l'epidemia che incombe, qualche zoom poco calibrato assorbito dalla ricchezza di anima.
MEMORABILE: Il dialogo sulla clessidra, verso l'inizio, che racchiude il senso di tutto il film.
Più che trilogia tedesca si dovrebbe chiamare trilogia della noia. La caduta degli dei si era già rivelato tedioso, ma la sua lunghezza e una trama più complessa ne giustificavano quasi la lentezza. Qui, invece, il film si perde proprio lo spettatore: un'introduzione lunghissima, di 40 minuti, per introdurre... nulla: una trama che non sembra avere un inizio e nessuna rivelazione; tutto descritto da lunghe e lentissime sequenze che falliscono nello scopo. Sicuramente non una pellicola girata male, ma le mie palpebre si sono abbassate più volte.
Ispirato al famoso romanzo di Mann. Ammetto di non amare molto il cinema melodrammatico, sovente caratterizzato da un'innata (anche se doverosa) lentezza nel suo farsi. L'interpretazione di Bogarde è però magistrale e la fotografia mirabile. Merita sicuramente una visione anche per chi non ha propriamente dimestichezza con lo stile del regista.
Compositore si invaghirà di un giovane in una Venezia colpita dalla peste. Riflessione sull'arte (la paura della mediocrità), sulla bellezza (spontanea contro la realtà degradata) e la vita (il suo scorrere inesorabile). Temi importanti mostrati delicatamente sullo sfondo di una Venezia malata, dove anche i bagni assolati sembrano novembrini. Bogarde sembra più un commesso viaggiatore che un artista, ma nel decadimento esistenziale tiene la scena. Scorci cittadini, scene di massa e ricostruzione di prim'ordine.
MEMORABILE: Il male è una necessità; Il saluto dalla finestra; La seduta dal barbiere; Il quartetto musicale; I falò nelle piazzette.
Uno dei film migliori di Luchino Visconti e punto altissimo del cinema italiano. Non era facile trasformare in film il libro di Thomas Mann, con il suo enorme intimismo e la scarsa narrazione. Visconti ci riesce, anche se ovviamente nel dilatare il racconto cade nell'inevitabile lungaggine di alcune parti, effettivamente pesanti. Ma la messa in scena è da brividi, con lo splendido contorno delle musiche di Mahler, la meravigliosa fotografia, un grande Dirk Bogarde e il solito, grandissimo Romolo Valli, mai troppo ricordato. Sul significato c'è poco da aggiungere. Film straordinario.
Da un romanzo di Mann (audace per l'epoca e con un finale che deve aver ispirato Pasternak), il quale bilancia equamente gli istinti senili omosessuali e decadenza del compositore, viene fuori un film che verte principalmente sul primo aspetto prolungando a dismisura gli spasmi di attesa (vana) non solo al protagonista ma anche allo spettatore che non può fare a meno di annoiarsi. Lo stile di Visconti è in tal senso riconoscibilissimo, imperniato più su tormenti interiori e personaggi ambigui che su fatti concreti, mentre cast e costumi sono impeccabili.
MEMORABILE: Tutti i primi piani di Aschenbach (un eccelso Bogarde).
La prova maestra di Visconti (e Badalucco) è nella messa in scena di un romanzo del tutto intimista. E' dunque una creazione ex novo gravidamente visiva, in cui la liminale disperazione delle pagine si arricchisce di mille altre sensazioni. Titanico per sottrazione Bogarde: non è facile interpretare la nuda vita di chi è escluso e incluso dalla morte indistintamente. Venezia per una volta non sarà di cartapesta ma brucia agli occhi e crepa nel sole malaticcio del Lido. Indubbiamente un capolavoro.
Opera di schematica ambiguità, fascinosamente inerte, pervasa da un lirismo enfatico eppure tragicamente, epidemicamente schietta. Un film che Visconti sente così tragicamente da mascherarne a tratti l'urgenza assoluta dietro la molle falsità dell'esplicazione (i flashback) e soprattutto attraverso la deformazione caricaturale (Valli, Fabrizi, i guitti napoletani, il bancario, fino alla recitazione vieppiù caricata d'uno spropositato Bogarde). Come a voler esorcizzare con crudele autoironia quell'inseguimento spasmodico al funereo carnevale della carne e dell'intelletto che è Tadzio.
Dal romanzo di Thomas Mann un musicista in crisi artistica ed esistenziale compie un viaggio a Venezia ed inaspettatamente prova una fascinazione platonica per un adolescente polacco cui non rivolgerà mai la parola. Eccellenti Dirk Bogarde e Romolo Valli. Le stupende inquadrature e una struggente, rarefatta malinconia rendono questo film un vero capolavoro. Pochi dialoghi, ma la recitazione di Bogarde è eloquente.
Pellicola decadente e pessimista del maestro Visconti che riprende il racconto di Mann con una confezione curatissima ed elegantissima accompagnandola con musiche di alto livello. Le immagini regnano sovrane visti i pochi dialoghi presenti. Bogarde è monumentale mentre la Mangano, nonostante non proferisca verbo, s'impone con la sua altera bellezza, efebico quanto appropriato il giovane protagonista.
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Miguel Bosè ha rivelato qui che Luchino Visconti aveva pensato a lui per il ruolo di Tadzio (poi assegnato a Björn Andrésen), ma non se ne fece nulla a causa dell'opposizione del padre del cantante, il torero Luis Miguel Dominguín.
Secondo quanto ci racconta Gilbert Adair in un suo libro, The RealTadzio, la figura di Tadzio si ispira a un ragazzino realmente esistito. Si chiamava Wladislaw Moes, detto Wladzio, o semplicemente Adzio, polacco, di nobile famiglia. Aveva undici anni durante la cruciale estate veneziana del 1911, quando Thomas Mann lo vide, vestito, come nel film, alla marinara e ne fece il motore della sua storia d'amore e di morte. Wladislaw ha attraversato gli anni cupi del comunismo polacco. Solo tardi ha scoperto di essere stato raccontato nel film di Visconti. E' morto nel 1986.