Dall'omonimo romanzo di Dostoevskij, ambientato a San Pietroburgo, Luchino Visconti ricava il suo film trasferendolo dalla Russia in una Livorno immaginaria, ricostruita al Teatro 5 di Cinecittà con risultati straordinari: i limitati angoli inventati in studio risaltano a tal punto da diventare i veri protagonisti della vicenda. Illuminato dal sensazionale bianco e nero notturno di Giuseppe Rotunno, con luci e ombre che tagliano la scena come nelle migliori opere dell'espressionismo tedesco, le prospettive fascinose di ponti e canali, i fondali disegnati, il film è prima di ogni cosa una grande esperienza visiva, con campi lunghi meravigliosi e uno studio dell'inquadratura...Leggi tutto che dipinge veri e propri quadri in movimento.
L'acqua, la neve, i bar illuminati con le loro insegne, le ringhiere a disegnare architetture perfette, reclamano un'attenzione che pone inevitabilmente la storia in secondo piano; e con essa la buona interpretazione di un Mastroianni completamente soggiogato dall'amore per la bella Natalia (Schell), dapprima figura che misteriosa fugge nella notte, poi compagna di lunghe passeggiate tra le celebrate scenografie di Mario Chiari e Mario Garbuglia, premiate pure a Venezia con il Leone d'argento.
Racconta la sua storia, Natalia: di come in casa, dove vive con due anziane parenti, dovessero affittare una stanza, per sopravvivere. Vi venne ad abitare un uomo (Marais) di cui lei si innamorò perdutamente e che aveva ceduto alle sue avance proprio la sera prima di abbandonare l'appartamento. Ancora oggi lei ne aspetta il ritorno, e Mario capisce di non poter competere con quest’uomo ormai idealizzato: il suo amore per Natalia è costantemente subordinato all'ossessivo pensiero della giovane per quell'uomo che è convinta di poter rivedere. Mario la consola, le sta vicino, la ascolta, ma a parlare è soprattutto lui; perché lei sembra sempre rapita, costantemente preda di emozioni che la travolgono e ce la presentano o con un luminoso sorriso stampato sul volto (incredibile come la fotografia riesca a farne risaltare gli splendidi occhi chiari) o triste quando non in lacrime. Lui cerca in ogni modo di farle capire quanto insieme potrebbero divertirsi e in fondo vi riesce, come nella lunga parentesi danzante, in cui Mastroianni sembra quasi anticipare passi di breakdance, da come si lancia sulla "pista" seguendo un abile ballerino del posto.
Un piccolo giro in barca, soste sulla riva dei canali mentre in più parti occhieggiano resti di palazzi chiaramente bombardati che contribuiscono ad arricchire lo scenario. A difettare è la sceneggiatura scritta dal regista con Suso Cecchi D'Amico, che fatica a rendersi interessante e riduce la figura di Natasha (qui traslata in Natalia) a una bambolina sciocca e sfuggente, che si emoziona con poco e il cui fascino maggiore risiede negli sguardi vivi di Maria Schell. Stiracchiato e freddo il rapporto con il galante inquilino, per nulla empatico quello con Mario che, stanco di sentirsi preso in giro, reagirà in più di un'occasione ostentando disinteresse (senza però riuscire a fingere con se stesso). Proverà a distrarsi con una signora di passaggio (Calamai, futura madre di Carlo), finirà a causa di quella al centro di una violenta rissa prima di ritrovare l'amore in Natalia e sognare sotto un'abbondante nevicata. Uno spettacolo per gli occhi, ma che si perde in certe lungaggini e in passaggi a vuoto che Visconti spesso non riesce a evitare.
Neointimista. Il racconto sull’illusione e l’amore sfortunato di Dostoevskij si sposta da S. Pietroburgo ad un’affascinante città dai tanti volti – placida, eterea, notturna, piovosa, nebbiosa, nevosa, albeggiante - tutta ricostruita in studio e illuminata dalla limpida fotografia di Rotunno. Bravissimi sia il puro, realista e poliedrico Mastroianni sia la dolce, tenace sognatrice Schell. Marais è … fantomatico e Pani appare brevemente nel ruolo di un teppistello.
Ambizioso, raffinato, ma in ultima analisi un po' estenuato esercizio di stile di Visconti, più a suo agio con le storie e gli allestimenti magniloquenti, ma certamente tronfio di poter esibire nei titoli Dostoevskij come soggettista! Molti passaggi a vuoto, ma ammaliante la fotografia di due pezzi da novanta (Ippoliti e Peppino Rotunno) che avvolge tutto il film in un'atmosfera sognante che è la maggior qualità di un film non centratissimo. Mastroianni valido, la Schell come sempre un po' svenevole.
Un bel film, migliore di quanto appaia a prima vista (tecnicamente superbo). L'atmosfera creata è davvero perfetta per rappresentare il sogno d'amore di entrambi i protagonisti e i loro viaggi nella notte. I due attori protagonisti compiono un ottimo lavoro. Anche se la Schell a volte sembra entrare talmente tanto nel personaggio da non essere più credibile.
Ronf, ronf. Va nella lista dei film quasi unanimemente celebrati che io non riesco ad apprezzare. Irrimediabilmente tedioso, con una presentazione dei sentimenti dolce finché si vuole ma ultra-manichea. Grande Mastroianni, mentre la Schell inalbera un sorriso sì bellissimo, ma che dopo dieci minuti diventa insopportabile. Assolutamente inutili Jean Marais (che non ci prova neanche) e la Calamai. La città, tutta ricostruita in studio (il che aumenta il fastidio), è ispirata a Livorno. Decenni-luce da Ossessione , da Ludwig, da Senso...
Forse sottovalutato, anche se non regge col racconto dato che Mastroianni è un po' troppo tonto. Suggestiva l'ambientazione che vede una Livorno spettrale far da cornice al girovagare del fanciullesco protagonista. Una certa magia del tutto e una notevole eleganza ci fan sopportare la faccia da pianto di Maria Schell. Ben migliore del freddo e malriuscito tentativo di Bresson comunque.
Tratto da un racconto dello scrittore russo Dostoevskij, rappresenta il trionfo dell'estetica viscontiana e da questo punto di vista è maggiormente lodevole per il contorno formale (scenografia e fotografie che rendono l'atmosfera del film quasi sospesa) che non per la struttura narrativa, che appare spesso sterile, a causa di una sceneggiatura piuttosto inconcludente in alcuni passaggi. Ottimo il cast, con un grande Mastroianni.
Bellissimo film, semplice nella trama ma ricchissimo di fascino. Incantevole l'ambientazione nel borgo di notte, arricchito da molti ottimi particolari: personaggi che appaiono e scompaiono nel buio, scenografie vagamente oniriche e di grande suggestione e un ottimo utilizzo delle luci. Molti silenzi, ritmi dilatati e trama semplicissima, scelte che risultano azzeccatissime. Funzionano un po' meno i flashback vari e lo sviluppo del personaggio della Calamai, ma nel complesso si tratta di difetti non gravi. Bravo Mastroianni. Ottimo.
Rara toppa registica nella clamorosa carriera di Visconti, paradossalmente opera ancor più senile di quelle della conclamata vecchiaia (L'innocente). Film di cui mi ha sempre infastidito la sia pur ricercata artificiosità (la ricostruzione in studio, il patinato b/n di Rotunno), rea al contempo di render asettica l'ambientazione e inerte la recitazione (Mastroianni imbalsamato, la Schell inutile, gli altri non pervenuti). Ci cascò pure Bresson con l'appena migliore 4 notti, mentre Luchino girerà il suo capolavoro dostojevskiano con I fratelli Roccamazov.
Un genuino esrecizio di stile, un cinema tutto in studio, girato con maestria ma che oggi, soprattutto dopo la carriera di Visconti, appare desueto, estremamente sincero e prorio per questo privo di mordente. Imponente il lavoro scenografico di Cinecittà, ma siamo lontanissimi dal trionfo dell'estetica viscontiana. Buone le caratterizzazioni dei tre interpreti principali. Un salto nel passato in una riuscitissima atmosfera che incornicia tutto il film, arricchendolo di grande suggestione.
La perfezione della glaciale fotografia di Rotunno conferisce un'asettica artificiosità al girato, che poggia su una sceneggiatura eccessivamente petulante, purtroppo senza genuinità. Peggio ancora fa il cast, con un Mastroianni irritante e oltremodo ingenuo. Visconti dal canto suo possiede un'eleganza unica che permette all'opera di non essere stroncata in toto. Una rilettura splendida dell'opera di Dostoevsky sarà fatto molto dopo da quel genio di James Gray. Mediocre.
Visconti si prende l'arduo compito di trasportare la magia del capolavoro dostoevskiano sullo schermo. E in parte ci riesce, soprattutto nelle ultime sequenze (l'impareggiabile scena finale è voluttà pura, bella quasi quanto il finale del libro). Tra i difetti figurano alcune sequenze un po' noiose che potevano essere tagliate e una non proprio complessa caratterizzazione del personaggio di Mario (Mario...), il cui carattere nel libro è uno degli aspetti più interessanti. Da lodare invece la narrazione (abbastanza fedele), i flashback, il ballo.
MEMORABILE: La scena del ballo; Le ultime frasi di Mario; La scena finale nella sua totalità.
Sogno di un’utopia nelle notti bianche, melodramma che sublima nel romanticismo, fiaba trasognante nell’intimo emotivo. Livorno come non-luogo, spettrale e avvolgente insieme, per una storia d’amore impossibile e corrisposta tra lontananze e promesse, decisioni e speranze. Visconti scompone e ricompone un mosaico dell’animo in un evolversi emozionale tra felicità, dolore e malinconica illusione e al centro la magia di un’Attimo di gioia, unico e (ir)raggiungibile, rubato (per il futuro) da un triste destino. Meravigliosa e angelica Maria Schell.
Ispirato da un romanzo del grande Fedor, la pellicola appare ineccepibile sotto l'aspetto scenografico, con luoghi ricostruiti in maniera eccelsa. La vicenda è melodrammatica, cavalcata con leggera maestosità da Mastroianni mentre la Schell è accettabile. Situazioni sentimentali e ritmo non sempre elevato, ma lo stile magniloquente del maestro Visconti si percepisce costantemente.
Il romanzo breve di Dostoevskij nella versione di Visconti. A colpire maggiormente è di sicuro la bella fotografia in bianco e nero di Rotunno ma soprattutto lo straordinario lavoro di scenografia di Chiari e Garbugli che ricostruiscono magistralmente un pezzetto di Livorno negli studi di Cinecittà tanto da farla sembrare la vera città toscana. Belle le prove di Mastroianni e della Schell. C'è anche la Calamai nella particina di una passeggiatrice sola e sul viale del tramonto. Però sembra mancare qualcosa per renderlo grande come altri lavori del regista.
Ritmo un po' lento in stile Visconti ma produzione di buon livello. Ambientato in una città improbabile con persone che sembrano ombre che passano velocemente. La trama è semplice ma la buona sceneggiatura la rende gradevole e ben strutturata. Ottima la fotografia. Mastroianni notevolissimo, bella la mimica facciale di Maria Schell, Jean Marais ha un ruolo talmente defilato che neanche si vede. Consigliato.
Splendido film di Luchino Visconti che è stato poco compreso, ispirato al romanzo omonimo di Dostoevskij. L'incontro tra un uomo solo, gentile e sognatore con una ragazza delicata ed intensa, che è innamorata di un altro. Ottimi Marcello Mastroianni e Maria Schell. Tutto girato in teatro di posa, grande fotografia in bianco e nero e atmosfera evanescente tra sogno e realtà. Ci sono anche Jean Marais e Clara Calamai, già protagonista di Ossessione, il film di esordio di Visconti.
Mentre sta passeggiando di notte per le vie di Livorno, un impiegato si imbatte in una giovane straniera in attesa dell'uomo amato che però non si presenta... Tre anni prima Visconti aveva diretto Senso, tre anni dopo sarà la volta di Rocco e i suoi fratelli: stretta tra due capolavori, questa libera trasposizione del romanzo breve di Dostoevskij rischia di apparire ancora più dimessa di quel che è. Visivamente pregevole, un film troppo languido ed estenuato, monocorde come la prestazione di Maria Schell, mentre più convincente il malinconico Mastroianni, seppure in tono minore.
Giovanotto incontra una ragazza che attende qualcuno per strada. Trama semplice (con lui-lei-l'altro) in cui predomina lo struggimento amoroso. Scenografie realizzate in studio che danno un'impronta onirica alla cittadina, ottima cura della fotografia. Visconti ha sprazzi di classe nel passare ai flashback, Mastroianni regge un ruolo senza apparire melenso usando un registro fanciullesco; la Schell è graziosa ed è corretta la scelta del suo doppiaggio in italiano. Piccola imperfezione nel ruolo poco incisivo della Calamai e, soprattutto, di Marais.
MEMORABILE: L'entrata in scena dell'inquilino; All'opera; Mastroianni che si destreggia in pista.
Un Luchino Visconti ancora lontano dai grandi capolavori e dal suo stile maestoso ed elegante, ma già abile nel giocare con un racconto di Dostoesvskij, a volte avvicinandosi all'originale e a volte allontanandosi, e ambientandolo nell'Italia dei giorni nostri (di allora). A parte la trama semplice ma indicativa di certi meccanismi umani, con tanto di finale amarognolo, a piacere è la coppia di protagonisti, adattissimi al ruolo. Mastroianni ci mette la bravura, Maria Schell il suo volto dolce. Peccato per la Livorno costruita tutta a Cinecittà. Un buon film, da vedere.
Da un bel racconto di Dostoevskji, Visconti porta alla ribalta la storia di un uomo solitario e di una ragazza affranta per un amore sospeso a una promessa. In quattro notti, che sembrano non finire mai, il tema è l’amore, così fragile e così forte nelle sue misteriose strade che sembrano affidate un po’ al caso. Pur discostandosi dall’opera originale, il film riesce a mantenerne l’atmosfera, che a tratti sembra onirica, inventata.
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Forse è proprio il caraterista al quale da anni sto cercando di dare un nome. Si vede ne LA VISITA (proprietario della libreria), ne LE MANI SULLA CITTA' (uomo dell'entourage di Randone), ne IL PROCESSO DI VERONA (mi pare faccia l'aiuto del giudice Cersosimo) e in SALVATORE GIULIANO (un avvocato).
Che sia Ferdinando Gerra? Mah!