Petite maman - Film (2021)

La piccola Nelly passa alcuni giorni nella casa della nonna scomparsa da poco. Il tema dell’elaborazione del lutto è visto dall’ottica dei bambini. La mancanza terrena viene resa molto chiaramente attraverso i piccoli momenti quotidiani. Anche la "trasposizione" tra la vicina di casa e la madre è una discreta soluzione, pur se in qualche frangente sarebbe stato meglio chiarire i motivi dell’assenza del genitore (altrimenti si pensa sia defunta anche lei).

Céline Sciamma fa ancora una volta centro con una storia che, più che nelle vicissitudini pre-adolescenziali del precedente Tomboy, si addentra nel piccolo grande mondo dell'infanzia, con uno spirito a metà tra quello malinconico di un Cría cuervos e quello più fantasioso di L'uomo fiammifero. Soggetto ridotto all'osso e ritmo lento, ma grande sensibilità nel tratteggio delle figure principali e con una riuscita atmosfera autunnale e vagamente misteriosa. Confenzione pulita ed essenziale, interpretazioni credibili, durata per una volta onestissima.

Scianna distilla infanzia e maternità - fusi in un elegante corto circuito spazio-temporale - per proseguire nella sua esplorazione dell'identità femminile. Il rigore formale e il minimalismo degli spazi riabbracciano la sincerità di Tomboy, abbandonando i disordinati ritratti successivi. Una favola moderna - "un petit film" - che gioca sul doppio e seduce raccontando quel mistero insito nel rapporto che lega madri e figli/e. Riuscito non fa male dirlo.

Dopo la morte della nonna materna, Nelly, non trovando sufficienti risposte affettive da parte dei genitori, ricostruisce, basandosi su pochi elementi concreti, un immaginario replay dell'infanzia della madre identificandola con un'altra bambina della sua stessa età. Una storia di turbamenti e di transfert che appare (nonostante lo sforzo della regista) piuttosto artificiosa e forse non corrispondente alla vera psicologia infantile, ma "specchio" dei disagi e delle nevrosi dell'adulto, avvolta com'è da un'aura crepuscolare favolistica, di natura letteraria sia pur fascinosa.

L'uroboro dell'esistenza visto con le lenti dell'immaginazione infantile: una storia di perdita e riscoperta che assume in sé i crismi dell'iniziazione fiabesca. Un paio di anni dopo la sua definitiva consacrazione critica, Sciamma ritorna dietro la macchina da presa con un progetto che ne condivide gli archetipi strutturali ma non la forma narrativa, volutamente ambigua negli snodi centrali e asciugata alla stregua di un mediometraggio. Nel suo complesso l'operazione, baciata da un tenero lucore poetico, è interessante e convincente, per quanto a tratti troppo bozzettistica.

La perdita della nonna, l’abbandono della madre, e poi nel bosco l’incontro con la madre bambina: film intimista di fantasmi e viaggi nel tempo raccontati con una naturalezza che mette in crisi la percezione dello spettatore e i modelli del film di genere, e pesca a piene mani nella profondità delle emozioni esistenziali (ma raggelate), centellinate in riprese calde e claustrofobiche e in tempi dilatati e pensosi. Idea suggestiva e potente, anche se l’impressione è del corto allungato, con dialoghi letterari. Comunque da vedere.

Muovendosi con la consueta personalità tra Proust, Henry James e certo cinema altmaniano, la Sciamma costruisce un film evanescente e concretissimo, le cui figure subliminalmente ectoplasmatiche acquistano via via una sostanza sensibile, riconoscibile, ombre e specchi nei quali l'identificazione diventa più che possibile, necessaria. Cruciali nella riuscita espressiva, la misura umile e incisiva della brevità e la serietà con cui vengono raccontate Nelly e Marion, verità che si fa beffe di troppe anestetizzanti rappresentazioni dell'infanzia. Incantevole senza mai essere incantato.

La Sciamma torna a confrontarsi con l'infanzia raccontando una storia di perdita e di elaborazione del lutto. Lo fa con la solita delicatezza, sensibilità e umanità che contraddistinguono le sue opere, dando vita a un film riuscito e profondamente emozionante che sta alla larga dalle solite rappresentazioni puerili e stucchevoli dei bambini che però qui sono anche la trasfigurazione di altro. Ma le sovrastrutture simboliche e psicologiche non rovivano affatto l'opera che sa restituire perfettamente allo spettatore tutto il suo contenuto profondo ed emotivo. Breve ma intenso.