Inquietante dramma, focalizzato sulla deviazione della paternità non riconosciuta, ispirato ad un omonimo romanzo, scritto nel 1892, da Gabriele D'Annunzio. Pur essendo incompleto (o meglio: primo e non riveduto montaggio), causa morte improvvisa del grande Visconti, il film si presenta ottimamente risolto (con toni decadenti e tragici) sia sul versante visivo, sia su quello puramente letterario (con i dovuti distinguo). Eccellente il cast, composto da grandi ed ottimi interpreti, in grado di agevolare l'ottimo script di Susi Cecco D'Amico.
Visconti non adatta ma "sfoglia" Gabriele D’Annunzio, rettificandone il fatiscente edonismo, martirizzando i personaggi in una messa in scena di maniacale, struggente perfezione: è il contraltare di una borghesia che cerca nelle pieghe dei tessuti damascati scampoli di vitalità ma trova solo il languore decadente delle carni. Persuade l’incapacità di Tullio - un Giannini in parte - di volgere gelosia, orgoglio e seduzione in disinteressato amore. Il cruccio morale, che contempla impavido lo spettro di Dio, riservandosi delitto ed espiazione, è un risvolto inedito di dostoevskijana memoria.
Tratto dal romanzo di Gabriele D'Annunzio, l'ultimo film di Luchino Visconti è un grande affresco della società decadente di fine '800 espressa nelle cose, nell'ambientazione (magnifica come sempre nelle opere del regista lombardo) oltre che naturalmente nei personaggi. Il limite del film è quello della freddezza della narrazione che impedisce allo spettatore un reale coinvolgimento emotivo nelle vicende narrate. Buona la prova del cast.
Un valido affresco dannunziano realizzato da Visconti che tra ambientazioni eccelse e veritiere ed un clima pervaso da profonda inquitudine sommersa, porta ad una corretta narrazione che si avvale di un cast importante ma soprattutto resta l'ultimo lavoro di un maestro cha ha regalato bagliori luminescenti di cinema.
Di D’Annunzio Visconti coglie l’estetica, lo sfarzo, la decadenza, la temperie borghese fin de siècle, il superomismo; il romanzo si contrae invece in una storia di sesso e adulterio, generica ed avara d’introspezione psicologica, che inventa personaggi futili (il dongiovanni Stefano Egàno), ne espunge altri fondamentali (l’evangelico “seminatore” Giovanni di Scordio), dilata “l’assente” Teresa Raffo e appone un epilogo indebitamente moralistico. Idonei Giannini e la Morelli, sbagliati la Antonelli e Haudepin; rigida la o’Neill. Testamento artistico (ma non spirituale) del sommo regista.
MEMORABILE: Le mani di Luchino Visconti che sfogliano le pagine di D’annunzio sui titoli di testa; la Antonelli che si fa appuntare il velo.
Lui, lei, l'altra... In una cornice ottocentesca si dipanano le vicende dei tre protagonisti alle prese con sentimenti contrastanti come la passione umana e il concetto di fedeltà (temi ripresi anche da Zulawski in La fidélité). La perfezione delle interpretazioni collide con quella della messa in scena. In un turbinio di emozioni l'umanità è messa a nudo tra illusioni e disillusioni. La gelosia, motore di un dramma, carbura azioni repellenti. Un affresco estetizzante, ma anche tanto intimo per l'ennesimo capolavoro targato Luchino Visconti.
Le modifiche al romanzo, a partire dall'ingigantimento del ruolo della Raffo (una O'Neill - doppiata dalla Morriconi - che lascia il dubbio se sia più bravo o più bella), sono state fondamentali per rendere filmabile il libro. Sorprende, invece, il brusco cambiamento del finale, come se gli sceneggiatori avessero voluto "correggere" D'Annunzio. Regìa di Visconti come sempre raffinata (chi meglio di lui avrebbe potuto girare "L'innocente"?), Giannini ottimo, Antonelli in parte, costumi di Tosi da applauso. Non il capolavoro del regista, ma comunque un gran film.
L'ultimo Visconti è un film glaciale, commentato da lugubri musiche di Franco Mannino e ambientato in interni sovraccarichi e opprimenti. In confronto, il precedente Gruppo di famiglia in un interno sembra, nella sua imperfezione, quasi vitale; qui tutto è cristallizzato e immobile. Tremenda la recitazione di Laura Antonelli; la scena del rapporto sessuale con il marito sfiora l'hard e genera un notevole disgusto. Invece è algida e bellissima Jennifer O'Neill. Giancarlo Giannini se la cava nel ruolo del protagonista, repellente super ometto.
Trasmesso in tv in omaggio a Laura Antonelli mancata il giorno prima, l'ultimo film di Luchino Visconti colpisce per la cura degli allestimenti scenografici e per la buona rappresentazione dell'atmosfera di edonismo vacuo e decadente del romanzo di D'Annunzio. Giannini interpreta con intensità la figura del ricco e irresponsabile protagonista, ma la narrazione è eccessivamente lenta, con un'impronta estetica troppo tradizionale per un film degli anni settanta.
Fin de siecle, aristocrazia romana. Tullio, geloso della propria amante, si confida e si fa consolare proprio dalla moglie, approfittando della sua indole remissiva. Quando poi è lei a cercare coccole fuori dal talamo, apriti cielo... Interni sfarzosi con un'attenzione maniacale per i dettagli, in pieno stile viscontiano, a far da cornice a quella che, in definitiva, è una banale storia di corna incrociate, fra l'altro affidata ad un cast non tutto all'altezza. Forse l'incontro D'Annunzio/Visconti era già in partenza poco felice, comunque il risultato lascia freddi e un poco annoiati.
Storia triste e assai dolorosa che malgrado la matrice di sofferenza e tormento trasmette tutt’altre sensazioni. L’impeccabile scenografia e i costumi semplicemente perfetti imprigionano in una bolla asettica i protagonisti che sembrano muoversi come marionette inconsapevoli e prigioniere di sé stesse. Quest’aspetto incide sul coinvolgimento emotivo facendo scemare l’empatia nei loro confronti. L’aria che tira, infatti, è quella di borghesi annoiati e imbolsiti nei loro vizi che finiscono per svanire come impronte sulla sabbia bagnata.
L’ultimo Visconti, da sempre piuttosto sottostimato, è invece al pari del precedente Gruppo di famiglia, una delle sue opere meno tediose. La narrazione è più coinvolgente del solito e la messa in scena resta tra le più suntuose della sua carriera degna di film in costume come L’età dell’innocenza. Giannini se la cava egregiamente e la tanto criticata Antonelli fa quel che deve spogliandosi quando serve. Decadente ma con moderazione e visivamente appagante, l’addio al cinema di Visconti resta una delle sue prove più convincenti di fine carriera.
MEMORABILE: Il parricidio la notte di Natale; La seduzione nella Villa di campagna; La confessione finale davanti all’amante incredula.
Il film, liberamente tratto dall'omonimo romanzo (che finisce col superare, cosa rara nel mondo del cinema), ne ribalta completamente la prospettiva, completandolo con un finale azzeccato e argutamente in linea con i personaggi maschili tipici delle opere dannunziane (superuomini che non accettano la sconfitta). Buona prova attoriale di Giancarlo Giannini, belli i costumi e le location.
MEMORABILE: La grottesca fuga della contessa Raffo.
Nella Roma umbertina lo sprezzante Tullio Hermill è sposato alla docile Giuliana, che tradisce senza remore con l'esuberante contessa Teresa Raffo. Ma qualcosa va storto e tutte le sue certezze vengono fatte crollare dall'innocente del titolo. Luchino Visconti, esteta del cinema italiano, incontra D'Annunzio, esteta della letteratura: ne esce un film di memorabile e intensa bellezza, perfetto sia sul lato tecnico che su quello artistico. Struggente la colonna sonora del Maestro Mannino e bellissima la Antonelli, qui icona del cinema d'autore.
Luchino Visconti ci saluta con quello che non è certo il suo miglior film. La storia, ispirata all'omonimo romanzo di D'Annunzio, è banale e monotona, e dalle origini probabilmente mal si prestava a una trasposizione cinematografica, che pure Visconti tenta di rendere come sempre elegante e sfarzosa con le sue ambientazioni e scenografie sempre eccelse. Si avverte una certa stanchezza nella regia, dovuta probabilmente alla malattia. Un bel cast, gli ambienti e le musiche sono la cosa migliore, ma oltre la sufficienza non si va, perché il film è solo parzialmente riuscito.
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CuriositàEllerre • 29/01/18 10:04 Call center Davinotti - 1218 interventi
Tra i preziosi cimeli del mio amico Alessandro ho trovato il ciak originale del film di Visconti:
HomevideoRocchiola • 3/09/18 15:40 Call center Davinotti - 1318 interventi
Non ho visionato il DVD Mustang nell'attesa di un'edizione in HD che finalmente è giunta in bluray grazie all’inglese Cult Films. Per la prima volta restaurato in HD e proposto nel corretto formato panoramico 2.35 il film appare in tutto il suo splendore formale. L’immagine è pulita e offre un’ottima definizione, anche se in alcune scene vi sono dei particolari sullo sfondo o ai margini dell’immagine che restano come sfocati. Anche a livello di colori questa versione appare meglio equilibrata come si può notare dal confronto proposto dal sito dvdbeaver:
In ogni caso si tratta sicuramente della miglior versione per ora pubblicato sul mercato home-video. L’audio italiano originale è buono ed i sottotitoli si possono escludere. La copertina è reversibile ed a seconda dei gusti personali presenta un primo piano di Giannini o la scena finale in cui la contessa Ruffo si allontana a piedi.