LA PAROLA AGLI ATTORI
Catherine Spaak parlò con gli attori in qualità di inviata al festival di Venezia per il
Corriere della Sera.
Freddy Jones mise in luce la differenza che c'era tra il metodo di lavoro adottato con la
Royal Shakespeare Company e con Peter Brook e quello che usava
Fellini. Mentre la disciplina del teatro era ferrea con Fellini si passava all'opposto vivendo in un esperimento che prendeva forma di momento in momento. Nel modo di lavoro di Fellini c'è "un'incredibile spontaneità. Per un attore come me è stato un po' come soffrire di claustrofobia". Passato "lo choc iniziale" Jones si era adattato al nuovo metodo cercando di esprimere come poteva la sua creatività. La
differenza principale che aveva trovato rispetto a
Peter Brook, "grande orchestratore di idee" e stimolatore dell'inventiva dell'attore al quale chiedeva anche pareri, era che
Fellini si fidava soltanto delle sue invenzioni: "Alla fine all'attore rimane ben poco da fare, a meno di diventare molto insistente, come ho fatto io. E questo è stato assai frustrante. Mi sono sentito spesso abbandonato a me stesso".
Barbara Jefford invece era rimasta entusiasta. Per lei Fellini regista era un genio che "sa quello che vuole e come ottenerlo. Per me abbandonarmi a lui è stato un piacere e avevo (...) assoluta fiducia (...). Si divertiva a dirmi che per lui le cantanti liriche sono come delle grosse galline e voleva che durante ogni scena (...) mi identificassi con una gallina".
Pina Bausch disse che per lei fare la cieca era stata una nuova esperienza mimica anche perché di solito i ciechi mettevano gli occhiali nei film mentre Fellini non ne voleva sapere. L'unico particolare seccante per lei era che per tutto il film Fellini l'aveva costretta a sorridere, cosa che "odio di più al momento".
FONTE:
Catherine Spaak,
L'inviato Jones, la diva Jefford e Pina Bausch, in
Corriere della Sera,
11 settembre 1983,
pag.25.