Note: "Dies Irae" sono i canti che accompagnano gli accusati di stregoneria verso il rogo. Soggetto tratto dal romanzo "Anne Pedersdotter" del norvegese Hans Wiers-Jenssen, pubblicato nel 1906.
Ambientato nel 1623, in tempo di inquisizione, parla dell'amore tra il figlio di un pastore e la sua giovane matrigna, la cui madre era stata salvata dal rogo dal pastore stesso. Il film fu girato nel 1943 ed è entrato nella storia per la denuncia contro la mentalità dominante e per lo studio psicologico dei personaggi, dei loro volti, aspettative e ambiguità. Ritmo lento ma gestito con maestria, stile asciutto senza sorprese, narrazione semplice ma coinvolgente. Notevole la protagonista Lisbeth Movin in tutti i passaggi del suo ruolo.
MEMORABILE: "Sai se ti amavo?" "Non ho mai pensato a questo"
Dreyer crea una dimensione metastorica in questo film dall'incredibile rigore stilistico e formale; l' impianto scenografico ispirato alla pittura fiamminga e la splendida fotografia del paesaggio trasportano lo spettatore nell'epoca oscura della vicenda. Per Dreyer il passato è una terra straniera e sconosciuta, quindi da conquistare, se si vuole arrivare a comprendere il presente. Uno dei capolavori assoluti della storia del cinema.
Interamente declinato sugli stilemi del noir per quanto ambientato nel 1623 (la femme fatale, la coppia di amanti maledetti) è un cupo e vischioso dramma d'adulterio il cui clima soffocante e austero, dalle ascendenze fiamminghe, rispecchia la coeva occupazione nazista della Danimarca. L'attenzione di Dreyer è però spostata sull'insorgere della colpa, sull'ambigua e ubiqua innocenza dell'uomo, piuttosto che sul potere censurante e inquisitorio delle istituzioni. Straordinaria la capacità di catturare, aldilà dell'impostazione teatrale, l'incandescenza e il riverbero panico della natura.
Gli apocalittici giorni dell'ira sono quelli dell'Inquisizione, ma anche del nazismo nei quali fu girato il film. Giovane sposa di un anziano pastore si innamora del figlio di lui. Una "banale" storia d'amore diventa qui una straziante ricerca di vita e libertà che si infrange contro l'intolleranza foriera di morte. In una cornice visiva di grande bellezza e con un meccanismo narrativo pacatamente incalzante, rivive (ben ricostruita) la Danimarca del Seicento della caccia alle streghe. Un film cupo, con intensi squarci lirici e terribili asperità.
Una storia di superstizione ed intolleranza (ambientata nella Danimarca del XVII secolo ma con riferimento all'occupazione nazista) in cui però Dreyer con grande coraggio e maestria dispensa "ragioni" e "colpe" in maniera assolutamente equanime e per nulla manichea: in pratica non ci sono personaggi del tutto positivi. Stupefacente la cornice visiva, esaltata da una fotografia magnifica, che è curatissima e che rimanda alla pittura. Notevole la prova della Movin. Un capolavoro assoluto della storia del cinema.
L’amore, l’odio, la morte. L’amore materno e filiale, la passione (adultera) dei sensi, l’odio di una suocera per la nuora e di quest’ultima per un marito non voluto, la paura di morire al sopraggiungere della vecchiaia e dinanzi ad una condanna per stregoneria: sentimenti forti e laceranti che pulsano in un contesto dominato dall’inquietudine religiosa, dalla caccia alle streghe, dalla colpa, dal peccato, dal dolore insanabile. Gli interpreti sono di alta levatura, in particolare l’ambigua Movin con i suoi occhi che alternano e confondono dolcezza e malvagità. Puro Dreyer, autentico Cinema.
MEMORABILE: Il volto supplicante della strega durante l’interrogatorio; la confessione.
Nella Danimarca del '600, il pastore di una piccola comunità ha sposato una giovane donna dopo averne salvato la madre accusata di stregoneria. Ora un'altra anziana invoca la sua protezione per scampare al rogo... Da un maestro del cinema, un capolavoro assoluto, che unisce il rigore della messa in scena con la potenza della storia. Indimenticabile la reazione di Anne quando, sottoposta a processo, si rende conto del voltafaccia dell'amante: la delusione ed il dolore cedono il posto all'orgoglio di essere "strega", artefice del proprio destino. Mirabile.
MEMORABILE: L'invocazione della vecchia strega, che non teme l'inferno ultraterreno, ma la morte su questa terra.
Il pastore Absalon risparmia alla madre della giovane Anne il patibolo per solo tornaconto personale, rispondendo non alla propria coscienza morale ma agli impulsi della carne: impulsi negati alla stessa Anne, attratta dal figliastro Martin e per questo accusata di essere a sua volta strega. Isterismo di massa, violenza settaria, rinnegazione del sé: la Danimarca di inizio '600 è teatro dell'universalmente noto. Opera sontuosa, che sposa a una rigorosa messa in scena una narrazione semplice e tumultuosa, coronata da uno splendido finale.
MEMORABILE: L'odiosissima e psicologicamente multiforme figura di Merete, madre di Absalon.
Pastore di una piccola comunità danese sposa la figlia di una madre additata come strega. Incentrato sul dualismo tra la superstizione e la religione, dà rilevanza al fattore umano di chi cerca di perseguire il giusto ma cede al proprio interesse. Le scarne ambientazioni fanno risaltare le inquadrature sui volti come fossero ritratti del ‘700; grande potenza d’immagini quando si parla della volontà di Dio. Dialoghi solenni impersonati ottimamente dai protagonisti, su cui svetta lo sguardo della Movin.
MEMORABILE: “Dà un bacio a tua madre”; La strega al rogo; La morte di Laurentius; La confessione della madre.
Tolto qualche datatissimo e fortunatamente raro primo piano alla Giovanna D'Arco, un Dreyer tecnicamente impeccabile, perfetto nelle inquadrature e nella gestione delle luci. Il film, che pure si avvale di personaggi e intreccio potenzialmente accattivanti, soffre però di un ritmo di una lentezza al limite dalla parodia ante-litteram e - almeno nella versione italiana - di dialoghi romantici di un'ingenuità stilnovista che cozza con le pretese di solennità. Ottime le due donne, quasi interscambiabili i due uomini. Con notevoli elementi, ma citazione fantozziana sacrosanta.
Le colpe di una strega evidentemente ricadono sulla progenie che, maledettamente, non trova spazio per le proprie espressioni e realizzazioni più intime. Tutti i personaggi dell'opera vengono sconfitti da un'etica e una morale irraggiungibili, se non con un estremo sacrificio. Influenzato sotterraneamente dalle vicende dell'occupazione nazista in Danimarca, il film ha poche scene in esterna e uno stile rappresentativo lento, claustrofobico, teatrale. Realistica la figura della vecchia megera condannata inesorabilmente al rogo.
Storia di streghe e malefici. Anche qui all'inizio c'è una donna accusata di stregoneria che maledice i suoi aguzzini, come succedeva nel più scanzonato Ho sposato una strega, uscito negli Usa l'anno prima. Dreyer gira la storia nel suo stile dando un impronta realistica e non propriamente horror, insistendo sul drammatico e sul sentimentale. Ambientazione danese del Seicento riuscita. Gli attori sono perlopiù ben scelti: Lisbeth Movin ha i lineamenti inquietanti con i grandi occhi che quasi anticipano Barbara Steele. Soffre di una certa lentezza ma la trama funziona.
Luci e ombre magistralmente controllate dipingono volti e gorgiere come tele di Rembrandt, dove però i "dottori" non dissezionano corpi, ma anime. Anche la natura al di fuori si piega agli stati d’animo: fiorita e giocosa durante l’amore, nera e brumosa dopo la morte. Per assurdo il suo più grande pregio è anche il suo più grande difetto: essere stilisticamente perfetto. Talmente rigoroso nella forma da trasmettere un’artificiosità emotiva che rischia di cadere nel calligrafico. Per fortuna i contenuti non mancano, agevolati anche dalla grande professionalità degli interpreti.
MEMORABILE: Il tremore alla mano prima del malore; La trasfigurazione del volto di Anne: da angelo del focolare a demonio; Le due sagome nella bruma.
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Il film viene citato nella famosissima scena del Secondo tragico Fantozzi riguardante La corazzata Kotiomkin come esempio di film "terrificante".
"Il potentissimo professor Guido Baldo Maria Riccardelli era un fanatico cultore del cinema d'arte. Una volta alla settimana obbligava dipendenti e famiglie a terrificanti visioni dei classici del cinema. In vent'anni Fantozzi ha veduto e riveduto 'Dies Irae' di Carlo Teodoro Dreyer (6 ore), 'L'uomo di Aran' di Flaherty (9 tempi), ma soprattutto il più classico dei classici, 'La corazzata Kotiomkin' (18 bobine)".
Harrys ebbe a dire: Il film viene citato nella famosissima scena del Secondo tragico Fantozzi riguardante La corazzata Kotiomkin come esempio di film "terrificante".
"Il potentissimo professor Guido Baldo Maria Riccardelli era un fanatico cultore del cinema d'arte. Una volta alla settimana obbligava dipendenti e famiglie a terrificanti visioni dei classici del cinema. In vent'anni Fantozzi ha veduto e riveduto 'Dies Irae' di Carlo Teodoro Dreyer (6 ore), 'L'uomo di Aran' di Flaherty (9 tempi), ma soprattutto il più classico dei classici, 'La corazzata Kotiomkin' (18 bobine)". Ah, ricordavo solo la corazzata.
Comunque, checché ne dica Fantozzi, gran film!!!
Noto con estremo piacere che anche tu l'hai gradito tantissimo.
DiscussioneDaniela • 1/02/14 07:57 Gran Burattinaio - 5937 interventi
Cotola ebbe a dire: @Daniela
Noto con estremo piacere che anche tu l'hai gradito tantissimo.
Pensa che, quando l'ho visto tanti anni fa per la prima volta. nelle manifestazioni femministe uno degli slogan ricorrenti era: "tremate, tremate, le streghe son tornare!".
Da allora ne è passata di acqua (e di delusioni(disillusioni) sotto i ponti, ma non è mutata l'impressione che suscita in me questo capolavoro. L'ho rivisto pochi giorni fa, per la quarta o quinta volta, e riesce sempre a toccare qualcosa nel profondo, qualcosa che non riesco neppure ad esprimere bene a parole.