Profonda riflessione pasoliniana su temi a lui cari - il sacro e l'erotismo - che si presta a diverse interpretazioni (specialmente se non si è letto il romanzo a cui il film è legato). Perché nel film il cast poco parla e quando lo fa non sempre va nella direzione che ci si aspetterebbe, sottolineando di continuo l'approccio ricercatamente inusuale dell'autore (Pasolini è regista e autore unico del copione, naturalmente), nel quale emergono un preciso stile narrativo e una disperata ansia di rottura. L'arrivo in una villa milanese d'un giovane dall'aria misteriosa (Stamp) viene vissuto dai componenti della famiglia (madre, padre e due figli) e dalla...Leggi tutto governante (Betti) come l'incontro fatale, destinato a trascinare tutti nella passione. La prima parte dell'opera si consuma tra confronti, monologhi enigmatici (giacché Stamp parla pochissimo lasciando che siano i suoi interlocutori a farlo o a lanciarsi in considerazioni interiori) e sesso non solo suggerito (pur se senza mai troppo insistere); aiuta a capire quanto il ragazzo venga percepito come un salvatore, capace con la sola presenza di deviare propositi egoistici stimolando nel contempo pulsioni erotiche. Poi però Pasolini attua una svolta e investe la governante di un alone santo del tutto imprevedibile, facendola tornare al suo villaggio dove si scoprirà essere in grado di guarire e... levitare! Ma spetta sempre allo spettatore cogliere il senso ultimo di ogni azione trasformando TEOREMA in un'esperienza personale, puntellata da una scelta nelle location tra le più straordinarie del nostro cinema: rese vive dalla fotografia di Giuseppe Ruzzolini, chiese abbandonate, scorci naturalistici, edifici decadenti, fabbriche deserte si trasformano quasi in dipinti di una bellezza ammaliante, arrivando a colpire chi guarda con forza impensabile. Tanto da sospendere il film in una terra di mezzo solo incidentalmente appoggiata tra le periferie milanesi e il pavese. I personaggi vi si muovono rapiti da un'estasi che li porta con l'immaginazione fin tra rocce vulcaniche, a seguire pensieri mai condivisi con nessuno e talvolta nemmeno con chi guarda (si veda il caso della governante). E com'è logico che sia, un approccio tanto singolare, criptico e libero difficilmente incontrerà i favori di tutti. Anche volendoci leggere significati e simbolismi tra i più disparati e interessanti dobbiamo fare poi i conti con un modo d'intendere il cinema ben diverso dalla norma: i tempi sono dilatati, i silenzi eterni, gli accadimenti pochi e diluiti, l'interazione tra i personaggi limitata allo stesso schema che tende a ripetersi in un loop senza fine, gli interventi di Ninetto Davoli che saltella nel giardino della villa mentre consegna la posta apparentemente fuori contesto. L'originalità della proposta pasoliniana si avverte e colpisce, ma la fruibilità della stessa è limitata a chi accetta di interiorizzarla e di viverla superando ogni schema narrativo tradizionale. Oggi impensabili certe levate di scudi degli organismi cattolici, nonostante le frequenti (e talvolta destabilizzanti) inquadrature a... mezza altezza.
Un misterioso individuo si insinua nella vita di una famiglia borghese seminando ambiguità che poi concretizza sessualmente con tutti i membri della famiglia, alla 'ndo cojo cojo. La vita di ciascuno ne viene stravolta. Indigesta accozzaglia pasoliniana (da cui trarrà un suo romanzo) di tematiche incartapecorite, all'insegna dell'allegorismo plumbeo, del manicheismo ideologico, dell'eccesso di carne, al (fuori) fuoco. Irrisolto e sconclusionato, quindi ipso facto premiatissimo.
Criptico e, forse proprio per questo motivo, uno dei lavori meno riusciti di Pasolini. Dopo una prima parte di stampo più “tradizionale”, infatti, il film comincia ad accumulare numerose scene ed elementi simbolico-allegorici che appesantiscono una storia di per sé abbastanza semplice. Tuttavia a tratti il film si riscatta da certe pesantezze grazie a momenti lirici molto intensi.
Un misterioso ospite arriva in una casa di ricchi borghesi facendo innamorare di sé tutti, dal padre alla serva. Il “teorema” ideologico di Pasolini appare freddo e intellettuale, ma entra con potenza nel cuore grazie alla capacità descrittiva dello smarrimento profondo dei personaggi, giocata tutta con sguardi e piccoli gesti. Attori strepitosi nel rendere al meglio questo strano film sulla crisi della borghesia.
Magari l'avrò capito solo ad un livello squallidamente superficiale, ma è un film che ho sempre amato molto. La capacità di Pasolini di raccontare per immagini emerge in modo prepotente, al di là del discorso sulla borghesia "incapace di recepire il verbo sacro" (questa l'ho letta da qualche parte, sia chiaro). In particolare i primi 40' (quasi muti, come del resto gran parte della pellicola) sono inquietanti, misteriosi e lasciano il segno. Un film affascinante, algido ed allusivo. Straordinaria la Betti, per inciso.
La sessualità borghese necessita, per manifestarsi - e rompere dunque un sostanziale velo di ipocrisia - di un benestare esterno, addirittura divino. E' infatti un ospite "angelico" quello che scatena i sensi repressi dei componenti d'alto rango, protagonisti e simbolo di una famiglia in forte crisi d'identità. Una istituzione che si disgrega, si rompe, scombina in svariati pezzi, tenuti poi assieme da un nuovo collante, quello pansessuale "teorizzato" - con cinico verismo - da Pasolini.
Il nuovo Messia di Pasolini non è il figlio di Dio, come proposto dai cattolici; quindi, come essere umano (?) buono e superiore, svincolato dalla dissacrazione della carne, dispensa il suo amore proprio attraverso la carne a tutti quelli che lo cercano e si innamorano di Lui. E lo dispensa soprattutto ai malati (i borghesi. Sono venuto per curare i malati). Senza di Lui, però, tutto precipita, solo Emilia sembra aver capito il messaggio. Efficacemente, con belle immagini, Pasolini ci racconta la sua visione etico religiosa della nostra società.
MEMORABILE: Il monologo di Pietro (il figlio) sull'arte vera e fasulla. Forse una confessione dell'artista.
La tipica opera pasoliniana che lasciava sgomenti: un artista che si può odiare o amare, ma che difficilmente lascia indifferenti. Lo sconosciuto irrompe nella vita borghese turbandone la superficie e lasciando una scia di divinità che si esprime principalmente con la carne. Questa diventa un tutt'uno con la spiritualità, la continua ricerca della "via di Damasco". Il film naturalmente resta d'interpretazione difficile, aspro e allegorico, fortunatamente tenuto su da uno splendido cast, tra cui un'intensa Betti e la diafana Mangano. Intrigante.
Sorta di parabola biblica, questo Teorema di Pier Paolo Pasolini. Un uomo si mette al "servizio" delle necessità di una famiglia borghese. Buon cast, ma è la Betti quella che mi ha sorpreso di più, con quel suo volto di pietra che trasmette grande riflessione.
Capolavoro del periodo "concettuale" del cinema pasoliniano (da Uccellacci a Medea per intenderci). Come era magicamente accaduto con Accattone, Pasolini si reinventa alchimicamente un codice estetico/cinematografico atto a "svelare" significati che stanno dentro le immagini e al contempo le trascendono. Un film che, come l'Angelo caduto Stamp, possiede un fascino esoterico, abile ad attirarti nel suo buco nero e a farci perdere nel vuoto/pieno di cui è colmo. Scandalosamente olezzante di sacro. Girotti e Mangano di encomiabile umiltà, Betti allucinata.
MEMORABILE: La carezza di Stamp alla nuca della Wiazemsky; Girotti nudo che vaga nel deserto; Silvana Mangano "a caccia"; La levitazione e il seppellimento di Laura.
Uno strano film, perennemente in bilico tra noia e suggestione, registicamente molto impreciso ma fotograficamente di grande classe. Alcuni elementi quasi risibili (la conversione alla pittura, i dialoghi misticheggianti, Ninetto Davoli che appare saltellando) si contrappongono ad alcuni passaggi di indubbio fascino e il cast funziona alla perfezione (su tutti Stamp, che offre qui il primo - fugace - nudo integrale maschile del cinema italiano). La spoliazione alla stazione centrale ritorna in Cuore sacro. Interessante.
Pasolini come Kubrick: un cinema ipnotico ed emozionante fatto di silenzi e di immagini, di concetti e di inquadrature suggestive. Il teorema del delirio è il teorema dei sensi, sensi sconvolti dall'arrivo di un aitante giovane in una famiglia borghese. Il "naturale" ordine delle cose diviene per taluni coscienza di diversità, per altri risveglio interiore. Un vuoto riempito da falsi valori viene colmato di essenza. Un'intesa sessuale e intellettuale, come deve essere nei rapporti sublimi, al centro del capolavoro donato dal maestro al cinema internazionale.
Forse il film più genuinamente “sessantottino” del cinema italiano. Pasolini proclama una parabola di "misticismo erotico" assumendo un codice visivo-concettuale che procede per equazioni ma non indicando mai la soluzione del discorso poetico. Personaggi irrequieti, teorizzazioni politiche, drammi morali, accensioni mistiche: Pasolini aveva capito che non Marx ma il dio pagano Eros avrebbe fatto crollare le impalcature di una società che aveva trovato un millenario equilibrio tra sesso e sentimento, tra istinto e ragione. Datato ma affascinante.
MEMORABILE: La storia mistica della serva Emilia: una tra le più alte e ispirate pagine del cinema di Pasolini; I silenzi eloquenti della madre Silvana Mangano.
Film nato per raccontare la crisi dei valori borghesi, declinandola dal punto di vista della sfera sessuale. L'opera di Pasolini rappresenta sicuramente un unicum nel panorama dell'epoca ed è efficacissima l'opera di disgregazione che porta all'ideale forse principe del ceto medio: il quieto vivere, quel malsano quieto vivere che portato alle estreme conseguenze ci rende insensibili fin a noi stessi. Nella seconda parte nulla è risparmiato ai poveri protagonisti che, come risvegliatisi da un lungo sonno, non saranno più in grado di pacificarsi e unirsi.
Più che un film, una parabola, in cui Pasolini rappresenta in modo scarno e tuttavia allegoricamente complesso, con diverse chiavi di lettura, la crisi di una tipica famiglia borghese di fronte al proprio vuoto interiore mascherato da finzioni e convenzioni, con esiti nichilistici visti solo apparentemente in modo asettico, data l’intensità di alcune interpretazioni (Betti, Girotti e Mangano) e l’evidente inserimento di alcune concezioni dell’autore (soprattutto riguardo ad arte e sessualità).
MEMORABILE: Le mute apparizioni di Ninetto Davoli, cesura tra il “prima” e il “dopo”; Il deserto; I destini della serva e del capofamiglia.
A un doppio prologo (quello "giornalistico" e quello muto virato in seppia) segue il film più anticattolico di Pasolini: non già per la celebrazione del sesso, ma perché l'unica possibile resurrezione finisce per preludere alla morte anziché vincerla. Non un film perfetto, perché dopo la partenza del messia erotico la seconda parte ingenera quadretti separati di riuscita diseguale (il peggiore purtroppo è proprio quello con la mamma e l'amica Betti), ma questo PPP alle prese con personaggi borghesi da giallo dell'epoca è indimenticabile.
Intuizione fulminante: l'angelico-mefistofelico perturbante che, dall'esterno, alza il tappetino sotto cui la buona borghesia si ostina a cacciare la polvere del rimosso. Svolgimento tipicamente pasoliniano: barocco, teatrale, generalmente lento, a tratti pesante. Le idee ci sono tutte, gli interpreti anche: a mancare di fluidità è - specialmente oggi, in retrospettiva - lo svolgimento. Merita un mezzo punto supplementare, se non altro, per alcune sequenze surrealiste ancora oggi meravigliose, come la miracolosa levitazione della serva.
MEMORABILE: In un casolare di campagna, la serva prende a levitare.
Uno studente cambierà la vita a una famiglia borghese. Il messia laico risveglia chi non aveva ideologia: Pasolini attacca il ceto che più detesta con una punta di blasfemìa. Prima parte schematica con ovvia censura dei nudi, diviene poi piatta negli avvicendamenti. A sprazzi il film sa essere però suggestivo, benché si tratti sempre di riflessioni concettuali sul tema del sacro. La Betti è una maschera espressiva che visto il ruolo ci sta, la Mangano sembra non adatta al personaggio.
MEMORABILE: La Betti seppellita; La corsa nudo; La figlia senza più stimoli.
Infuria il '68 e Pasolini decide di annichilire l'amor proprio borghese con un virus erogeno, straniero e irresistibile. Quasi muto e suppurato di lentezza, è un film che fa forza sul montaggio fieramente pittorico, nei primissimi piani western, nella luce di vetro. Irrilevanti gli attori, nel senso che come sempre in Pasolini sono fungibili, non soggetti in campo ma oggetti di contesto, architetture (sorte diversa capitò, forse, a Citti e Totò): discorso a parte per la Betti, unico personaggio dotato di un'anima salvabile. Lunari le riprese sull'Etna.
MEMORABILE: La serva Emilia levita e trasfigura in cielo davanti al contado in preghiera.
Se da un lato si lascia amare per impostazione (specie per i lunghi silenzi e per i panorami a sfondi sfumati, in particolare la fabbrica), dall'altro sfocia nel ridicolo non certo per l'uso di un visitatore elevato a entità divina, quanto per i risultati catastrofici della sua cura. A quei tempi anche altre opere mettevano brillantemente a nudo ipocrisia, inibizioni e falsi valori dell'alta borghesia, ma li distruggevano senza mezzi termini e senza tutto questo buonismo. Tanto che nella scena finale si sostituirebbe Morricone col brano dei Giganti "Io voglio essere una scimmia".
MEMORABILE: La "sorgente" di Emilia; Il soliloquio di Pietro sulla pittura; L'intervista agli operai; L'adocchiamento dell'altro ragazzo alla stazione.
Premiato dall'Office Catholique International du Cinema (che volle far vedere d'essere "più avanti", mettendo, alla coyote, un piede troppo avanti cadendo nel precipizio, stavolta in quello del ridicolo). Criptico, pare fatto perché i detrattori del regista, per la tecnica (le inquadrature frontali...) e la morale, potessero sguazzarci. Il problema vero non è certo d'ordine morale, ma d'ordine narrativo: lo statico Stamp è bellissimo, ma questa strage di cuori, per quanto simbolica, non convince, come la grezza critica alla borghesia. I tre big salvano un po' il film. Male i giovani.
MEMORABILE: Nel bene: le espressioni della Betti. Nel male: il confronto borghesia/proletariato, condotto in modo manicheo, persino grossolano, benché metaforico.
È inutile arrovellarsi su quello che Pasolini voleva dire con questo film, non lo sapremo mai. È un film criptico, la simbologia è dilatata all'eccesso, un film veramente strano, che cattura nei suoi lunghissimi silenzi e nella sua feroce critica alla borghesia, cavallo di battaglia di Pasolini, geniale come sempre nel render poesia uno sguardo come un palazzo di periferia. Buon cast, ma lo stacco tra i più "anziani" e i più giovani è troppo evidente. Avvolgente la colonna sonora di Ennio Morricone. Tra i film più difficili di Pier Paolo Pasolini. Merita assolutamente una visione.
Alla sua uscita fu oggetto di azioni della magistratura e di lunghe polemiche. Visto dopo oltre mezzo secolo mostra una netta cesura fra la parte "ideologica", datata e condotta con soluzioni e simbolismi che spesso sfiorano il risibile soprattutto nei rari momenti in cui i protagonisti aprono bocca, e quella visiva che emana un fascino magnetico grazie alla splendida fotografia di Ruzzolini e alla colonna sonora che alterna gli shake di Morricone alle note solenni del Reqiuem di Mozart. Interpreti poco espressivi e quasi ridotti a manichini, ma probabilmente così li voleva Pasolini.
MEMORABILE: La villa con parco nella periferia milanese in cui vive la famiglia visitata dal misteriroso ospite.
L'arrivo di un ospite misterioso porta lo scompiglio in una famiglia alto-borghese e, quando se ne va dopo aver sedotto tutti, la disgregazione da lui innestata porterà ad esiti imprevisti... Forse bisognerebbe considerarlo come la prima parte di un'opera da completare con il successivo romanzo, ma, limitandosi alla sola visione del film, risulta un apologo difficile da digerire, oscillante senza soluzioni di continuità tra il didascalico e il criptico, con sbandamenti verso il mistico cattolico/esoterico che lasciano perplessi, come pure le interpretazioni. Inferiore alla sua fama.
Avvicinandosi agli anni 70 va di moda elaborare una critica ai valori borghesi fin lì troppo monolitici e dominanti. Va da sé che anche Pasolini ne fa una personale lettura adottando la venuta di un personaggio che parla poco ma che rivela una componente quasi biblica ma poco ascetica. A dir la verità le virtù del personaggio e il suo ammantare ogni singolo familiare di saggezza sconosciuta convincono poco, come poco convincono le derive cui approda nel secondo tempo, tra giri voluttuosi e ascensioni mistiche. Interessante varietà di location, musiche deludenti.
Forse la vetta, invero non troppo felice, del Pasolini più astratto e metafisico. Le ipotesi del teorema sono piuttosto semplici e care all'autore: la differenza abissale tra la borghesia italiana e il sottoproletario proveniente dal mondo contadino. L'enunciato è invece piuttosto bizzarro: il contatto con il "divino", cioè un aitante giovanotto, fa impazzire in diversi modi gli altoborghesi, mentre viene compreso temuto e rielaborato solo dalla sottoproletaria. Ci sono vari tocchi di metafisica poetica e la maestria d'autore si sente, ma il film è fumoso e tutto sommato noioso.
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE: Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT): Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ: Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICHE: Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
HomevideoXtron • 16/01/14 17:35 Servizio caffè - 2206 interventi
Io l'edizione inglese BFI (dvd+bluray) con audio italiano
Direttamente dall'archivio cartaceo personale di Lucius, un flano originale inglese:
DiscussioneAlex75 • 10/02/16 09:37 Call center Davinotti - 710 interventi
"Teorema" divise gli ambienti ecclesiastici: parte della Chiesa cattolica l'accusò di oscenità, mentre l'OCIC (Office Catholique International du Cinéma), lo premiò con la Navicella d'Oro. La Procura di Roma e quella di Genova lo tennero sotto sequestro per due mesi, fino all'assoluzione di Pasolini e del produttore Leoni da ogni accusa di oscenità: il Tribunale di Venezia aveva riconosciuto il valore artistico del film.
Per me il miglior Pasolini dopo Salò, e la Betti che "lievita" ha un chè di "possession movie" non poco inquietante
DiscussioneAlex75 • 28/07/16 17:26 Call center Davinotti - 710 interventi
A proposito di riconoscimenti e di Laura Betti, l'attrice vinse, grazie alla sua interpretazione della serva Emilia, la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia del 1968.
MusicheAlex75 • 28/07/16 17:34 Call center Davinotti - 710 interventi
Come già in altri film ("Accattone", "Mamma Roma", "Il Vangelo secondo Matteo"), anche in "Teorema" Pasolini ricorre alla musica classica per commentare alcune sequenze girate: in questo caso, la "Messa da Requiem" di W. A. Mozart.
CuriositàZender • 9/08/16 19:23 Capo scrivano - 48369 interventi
Dalla collezione "Sorprese d'epoca Zender" il flano del film:
Contrariamente a quanto afferma l'ottimo Gobbo nel suo commento, il film non è tratto dal romanzo omonimo di Pasolini: è invece il romanzo ad essere successivamente tratto dal film.
DiscussioneZender • 10/10/17 08:09 Capo scrivano - 48369 interventi
Presentato in concorso a Venezia, vinse la Coppa Volpi come miglior attrice non protagonista a Laura Betti. Alla festa organizzata in onore del film presso l'Hotel Excelsior, la Betti davanti a regista, produttore, cast del film e tutti gli ospiti partecipanti tra cui vari politici, adagiò il premio al centro della sala e dopo essersi alzata le vesti ci urinò dentro. Citando Sem Benelli, l'attrice gridò:
"Chi non brinda con me pesta lo colga!"
Fonte: Enrico Lucherini, purché se ne parli - Dietro le quinte di 50 anni del cinema italiano.