Siamo a Portland, in Oregon, e un giovane Matt Dillon sembra in fin di vita sulla barella di un’ambulanza. Sarà lui a raccontarci in un lungo, unico flashback, com'è finito così. Gus Van Sant scrive e dirige, peccando un po' di superficialità, un film con due coppie di ragazzi (Matt Dillon e Kelly Lynch, James Le Gros e Heather Graham) che con stratagemmi sempre diversi rapinano furbescamente farmacie e drugstore per procurarsi la “materia prima”, quasi sempre in pasticche. Non c'è particolare originalità, nel lavoro di Van Sant, quanto piuttosto il desiderio di mettere in scena la vicenda senza sentimentalismi, senza eroismi, per avvicinarsi il più possibile a un'ipotetica realtà. Una...Leggi tutto regia che non rinuncia però all'eccentricità e punta molto sulla recitazione (e qui Dillon fornisce una delle sue migliori interpretazioni in assoluto) e sull’affiatamento dei quattro. Al gruppo centrale aggiunge poi l'indispensabile figura dello sbirro Gentry, cui un James Remar in splendida forma sa dare le sfumature giuste per non ricadere nella banalità del poliziotto persecutore privo di umanità. Non del tutto riuscite le sovrimpressioni quasi cartoonesche di pistole, cappelli, capsule e quant'altro che di tanto in tanto fungono da intermezzo poco pertinente e che dovrebbero in qualche modo rappresentare i pensieri di Bob/Dillon, ossessionato dalla superstizione (mai parlare di cani, mai lasciare cappelli sul letto, mai guardarsi allo specchio...). Intelligente l'idea di rinunciare ai tipici litigi urlati spesso usati da altri autori per movimentare film altrimenti troppo piatti. Van Sant non vuol strafare: segue semplicemente la sua strada con estrema correttezza e sincerità. Bello sforzo corale.
Esce ben cinque anni prima di Trainspotting e affonta il tema dei tossicodipendenti (si parla soprattutto di eroina), quindi secondo me ne è l'ispiratore.
Gus Van Sant ha fatto un bel lavoro, parla di droga senza ricadere nelle esagerazioni "commerciali" dei film più famosi e con una scelta appropriatissima per le musiche(in particolare il reggae "the Israelitaes" di Desmon Dekker). I protagonisti per una volta non sono trattati come eroi, la trama è piuttosto ambigua. Eccellente W.Burroughs
Gioventù bruciata? Mah, questi drugstore cowboys sono superstiziosi come vecchiette di paese, il loro non è un paradiso artificiale, bensì un prevedibile, rassicurante purgatorio: tossicodipendenza e superstizione sono aspetti di un'identica paura del mondo. Sicuramente questo film è originale e spietato nel raccontare la tossicodipendenza senza romanticismi né maledettismi. Come già aveva fatto la "comparsa d'eccezione" del film, Burroughs, scrivendo che in fondo "la droga altro non è che un analgesico...".
Quattro tossicodipendenti rapinano drugstore per rifornirsi. Solo uno di loro ritornerà ad una vita normale. Questi è un bravissimo Matt Dillon (forse il suo miglior film). Diretto da un altrettanto bravo Gus Van Sant. Pur non essendo un capolavoro, è un film senza pecche, ed anche i personaggi di contorno sono più che buoni.
Archetipica poesia sulle emozioni della vita, a frammenti, di un uomo drogato. Lineare e compatta la base del film che ci porta ad assimilare (oltre la vita monotona del tossicodipendente/superstizioso) un concetto già sentito prima ma, comunque, mai scontato. Qual è la destinazione del suo viaggio? Dell'uomo, appunto, terrorizzato dalla solitudine e, nello stesso tempo, dai "male accompagnati". Piccola partecipazione del grande Burroughs e convincente Matt Dillon.
Stralunata opera fatta di miscugli sostanziosi di farmaci allucinogeni. Un giovane con il suo gruppo si diverte a rendersi sempre più schiavo della polvere fino a quando si accorge di esser arrivato troppo in basso. Sembra una favola con risvolti ironici e beffardi con riflessioni del protagonista che ricordano molto il Burroughs scrittore (presente nel cast). Bella pellicola.
Notevole ritratto di un dannato (ma senza maledettismo d’accatto) dedito ad ogni tipo di droga in cui si rifugia perché devastato nell’animo da una lacerante solitudine. Nonostante il tema trattato, è pregevolmente secco e sobrio come poche pellicole del genere riuscendo comunque a mantenere una forte intensità emozionale. Da riscoprire e rivalutare. In una piccola particina compare anche uno dei guru delle droghe e della beat generation: William Burroughs.
Non ho apprezzato particolarmente questo film: la regia troppo lineare di Van Sant lo rende a volte anche noioso. Siamo di fronte ad un Trainspotting ante-litteram, ma neanche le stravaganti rapine commesse ai danni di farmacie ed ospedali aggiungono pathos al film. Matt Dillon ci mette del suo, ma la sua compagna interpretata dalla modella Kelly Lynch, sembra tutto tranne che una tossica.
Bob è il capo di una piccola banda di tossici, specializzata in furti in farmacie. Un evento tragico lo induce a cambiare vita, ma sarà tosta sostituire l'ebbrezza della droga con lo squallore della vita quotidiana. Cronachistico, privo di qualunque alone romantico, rifugge anche da scappatoie moralistiche e forzature melodrammatiche (vedi la scena della separazione fra Bob e la moglie). Molto buona la prova di Dillon, mentre William S. Burroughs nel ruolo del vecchio Tom, tossico filosofo, porta nel film il soffio della sua opera letteraria. Realistico, crudo, impegnativo.
Nel film che precede dal punto di vista temporale e narrativo Belli e dannati, il regista Gus Van Sant (qui alla seconda opera) realizza un efficacissimo ritratto di una gruppo di sbandati tossici raccontati senza alcuna forma di compiacimento ma in modo quasi documentaristico e molto efficace. Non eroi maledetti ma personaggi dalla sofferta umanità. Ottima la prova di Dillon in uno dei migliori ruoli della carriera.
Ai tempi dell'America ultraconservatrice di Reagan fece molto scalpore per l'argomento: tabù assoluto. Visto oggi fa semplicemente sorridere (Trainspotting e Amore tossico erano lontani), perché Van Sant sbaglia tutto ciò che c'era da sbagliare: la storia, le caratterizzazioni ma soprattutto le rappresentazioni. Il regista usa la droga come metafora del viaggio che un uomo compie nella vita, ma utilizza suggestioni visive inappropriate. A cominciare da Dillon e la Lynch che tutto sembrano meno che tossici costretti a sbarcare il lunario per farsi.
Un film sulla droga che esce da certi fastidiosi clichè di immagini sfuocate e musica techno; la droga è noia, attesa, una vita buttata, un impegno nel procursela che sa quasi d'impiegatizio. Non c'è maledettismo psichedelico, il drogato è una persona vuota e per niente interessante: Dillon e Van Sant rendono perfettamente l'idea con un film che non osa mai più del dovuto; solo il finale spinge sull'accelleratore.
Probabilmente il miglior Van sant del primo periodo; la storia di un gruppo di ragazzi reietti della società con la passione per la droga e per la vita al di fuori della legalità. Ritratto intimista lucidissimo, privo di giudizi né compassionevoli pietismi, sobrio e mai compiaciuto nel mostrare, perfettamente bilanciato tra il documentare un percorso di solitudine e autodistruzione e la consapevolezza che la morte si può sfidare, ma che la vita vale la pena di esser vissuta. Grande prova per Matt Dillon, affascinante Kelly Lynch. ***!
Il pessimismo di fondo lascia filtrare una piccola luce in fondo al tunnel e descrive molto bene cosa significa la dipendenza dalla droga. Lei diventa la padrona assoluta, si vive per lei e lei ti fa "vivere". Non importa sapere che l'effetto dura poche ore e poi si è di nuovo daccapo. Si comincia per un milione di motivi, quasi tutti legati alla paura, ma anche per contagio, vedi la sfortunata Nadine, che però riesce a far aprire gli occhi al superstizioso Bob. Forse l'apporto di "padre" Burroughs alla sceneggiatura è stato determinante.
MEMORABILE: Padre Tom (William S. Burroughs) che concede l'indulgenza plenaria a Bob (Matt Dillon) per avergli procurato il laudano.
Van Sant vuol dire qualcosa in questa pellicola, ma lo fa soltanto negli ultimi quindici minuti e per questo non mi ha convinto: la maggior parte delle sequenze riguarda il gruppo mentre ruba, si fa, litiga; a parte il tedio che sale nel seguire immagini monotone e, sebbene d'azione, poco coinvolgenti, voglio evidenziare quanti minuti potevano essere dedicati a migliorare la trasmissione del messaggio, il quale è stato invece racchiuso in 10 minuti scarsi e inefficienti. Per il resto, la regia è innovativa ma spesso imprecisa. Film passabile.
MEMORABILE: "Ma nel profondo sapevo che non avremmo mai potuto vincere. La nostra era una partita che non si può vincere fino in fondo".
La vita di due coppie di drogati raccontata senza eccessi e iperboli, con toni apparentemente leggeri che sfiorano quasi la commedia. Bob, Diane, Ricky e Nadine, specializzati in rapine alle farmacie, non sono "belli e dannati" e neanche "brutti e cattivi" ma quattro ragazzi che vivono una noiosa quotidianità di pillole e stratagemmi per procurarsele, tutto sommato noiosa quanto l'esistenza "normale" da cui fuggono.
Approccio umanistico allo sballo e al viver nel crimine come scelta anche nichilistica ma sapendo di rischiare la pelle. Viene data anche attenzione a ciò che resta dei figli dei fiori, sconfitti ma conservanti la loro dignità. Van Sant si focalizza sui ragionamenti da sballati con relative paranoie e talvolta propone inquadrature stranianti o dettagliate. Dillon è meglio come tossico che come rapinatore e dopo la redenzione si appiattisce diventando mesto e discorsivo.
"Quando togliere è meglio che aggiungere": pochi orpelli e buona sostanza per questo film crudo e realista che fagocita nei meandri della tossicodipendenza. Francamente uno dei migliori film di Matt Dillon attore. Molto bravo anche Sant che racconta un'esperienza reale in modo neutro, quasi documentaristico, pur riuscendo a coinvolgere in questo martirio consapevole, a tratti drammatico, a tratti comico. Comunque avvincente e attuale. Un film che non risente affatto dei suoi ormai trent'anni.
MEMORABILE: "Non potevamo vincere, anche nella migliore delle ipotesi". (Matt Dillon, Bob)
Uno dei migliori film sulla tossicodipendenza. Van Sant evita i toni più commiserevoli e moralistici e firma un’opera insolitamente vitale e trascinante, decisamente lontana dallo stile anestetizzato delle sue produzioni più recenti. Realistico e sobrio ma con verve e ironia, tanto che potrebbe essere la versione moderna dei Giorni del vino e delle rose ambientata agli inizi degli anni 70 in una grigia America di provincia. Per Dillon forse la miglior prova della carriera. Significativo il cameo di Burroughs nel ruolo del vecchio prete tossico.
MEMORABILE: L’attacco epilettico simulato da Nadine; La spiegazione del perché non si può avere un cane; La visita alla madre di Bob; L’aggressione finale.
Riprendendo stavolta in piena e livida luce le tematiche e la narrazione ellittico affabulante dell'esordio "notturno", Van Sant gira un prezioso gioiello che brilla per la naturale adeguatezza di un tono sospeso tra preciso realismo e digressioni grottesche mai però allucinate. Ad emergere è così la verità della dipendenza, col suo multiverso folle di priorità, condizionamenti (la sessualità handicappata, le fisse cabalistiche), necessità di disintossicarsi pur senza volontà, ricadute senza paracadute. Perfetto Dillon, sensualmente tosta Lynch, antonomasico il prete di Burroughs.
MEMORABILE: La prima rapina al drugstore; Il cappello e il cane.
Due giovani coppie si specializzano in rapine ai drugstores per rifornirsi di “roba” con cui farsi in continuazione, finché un fatto, nemmeno poi tanto inaspettato, cambia le regole del gioco. Un film sul mondo della droga e dei tossicomani, con quel tanto di ironia che riesce a “tagliare” un argomento così drammatico. Matt Dillon si rivela protagonista credibile grazie a una recitazione spontanea e personale. Dando senso a quel disperato desiderio di morte che contraddistingue l’esistenza sospesa di chi inconsciamente ha deciso di smettere di vivere.
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Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flano cinematografico di Drugstore cowboy:
HomevideoRocchiola • 24/04/20 14:01 Call center Davinotti - 1318 interventi
Film pubblicato in Italia dalla Filmauro esclusivamente in DVD, riedito da Millenium Storm e Pulp utilizzando sempre il master originario, il quale benchè vecchiotto presenta un discreto livello qualitativo. Malgrado la presenza di qualche spuntinatura le immagini, presentate nel corretto formato 1.78, sono abbastanza pulite e incisive. La colorazione è mediamente equilibrata, l'audio italiano 5.1 o 2.0 è in entrambi i casi di buon livello. Le edizioni in DVD summenzionate sono ancora reperibile a prezzi medio-bassi nonostante sia ormai tutte fuori catalogo. D'altro canto anche all'estero non è ancora uscita un'edizione in HD di riferimento. Esistono un paio di edizioni in bluray, una giapponese rara e costosa e una spagnola di dubbia fattura, ma nulla più.