Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
L'idea completamente folle di coniugare gli ambienti del cinema gotico inglese con i combattimenti di kung fu che tanto andavano di moda nel cinema del periodo porta sorprendentemente a un buon risultato, grazie soprattutto all'ottima interpretazione del grande Peter Cushing, ancora una volta bravissimo nel raccontare uno scienziato che per il successo nelle sue ricerche è pronto a sacrificare tutto e tutti. Emozionante soprattutto il finale, quasi un congedo.
La storia di Calipari meritava miglior trattamento, da un punto di vista cinematografico. E invece il prodotto è girato come una dozzinale fiction Rai. Con una regia sciatta, interpretazioni scarse da parte di qualcuno e una sceneggiatura tirata giù alla meno peggio. Il cinema italiano è ancora indietro, in questo genere di prodotti, rispetto al resto d'Europa. Da salvare solo Santamaria, che almeno ci mette esperienza e professionalità.
1971: il film, scritto dal grande Feiffer, segue in parte la lezione di Antonioni per il racconto di due maschi le cui relazioni con le donne sono pessime. Uno misogino, l'altro ipocrita. Nicholson grandioso e a sorpresa ottimo Garfunkel, per un film legato al suo tempo ma di eccellente fattura, molto osé per il tempo. Attorno a loro una serie di ottime attrici i cui personaggi sono vittime dei due. Menzione speciale per Ann Margret, la più bullizzata. Nichols fa il suo film più maturo. Peccato che la sua carriera non abbia mantenuto queste premesse...
Buon thriller, che intrattiene sin dalle prime battute (anche se ancora non si capisce dove voglia andare a parare) e che guadagna molti punti nel lungo finale allo chalet fuori porta, dove tutto viene spiegato per mezzo di un coup de théâtre teso, ben orchestrato e tutto sommato abbastanza imaspettato. Bella la Ost, Brosnan si conferma attore magnetico, sempre affascinante e brava anche la Bello; bocciato su tutta la linea invece Butler in una parte tragicomica (a ragion veduta, fa ridere sapere che poi sarebbe diventato uno dei machi di Hollywood). Chicago rende sempre bene.
Parliamo di un mixaggio di Garland che guarda ai riferimenti più solidi (Romero, Matheson, Lenzi) per distillare il film d'infetti più influente degli ultimi 25 anni. Un road-movie costruito sui silenzi di una Londra deserta, mentre i sopravvissuti vivono di espedienti e speranza. Gli infetti - grazie al buon make-up - sono paurosi, ma cedono il passo all'icastica rappresentazione dei militari. Il lavoro in regia di Boyle è sopraffino, con transizioni quasi metafisiche e l'ausilio di un montaggio cinetico per le parti concitate. Brutto l'epilogo da Mulino Bianco.
Un enorme ingorgo blocca il traffico su una superstrada romana. Con la perdurante immobilità crescono l'esasperazione, la rabbia e la violenza degli automobilisti. Grazie a un cast senza significativi punti deboli (il migliore è Sordi, industriale sprezzante e classista), una regia appropriata e storie esemplari, Comencini ci offre un apologo di raro pessimismo sul destino del genere umano, la cui impossibile palingenesi rappresenterebbe l'unica ancora di salvezza. Opportuna la scelta di dare meno spazio alle storie che hanno fiato più corto (come quella di Rey e della Girardot).
Buon sangue non mente: Lucius (Mescal), figlio del defunto Maximus Decimo Meridio (Crowe), ne eredita lo spirito combattivo e la straordinaria abilità gladiatoria, ma ancora non ne è conscio. Lo chiamano Annone e se ne sta in Numidia (l'antica Tunisia), dove è sposato e si prepara a respingere da una fortezza sul mare l'attacco in massa dei romani comandati da Acacius (Pascal), che con grosse navi armate di catapulte si dirigono verso le mura africane. La resistenza di Annone e i suoi è strenua, ma dopo una feroce (e spettacolare) battaglia, le legioni imperiali...Leggi tutto hanno la meglio: la sposa di Annone viene uccisa e lui deportato a Roma (con sbarco a Ostia), dove è accolto dai due fratelli imperatori Geta (Quinn) e Caracalla (Hechinger) e dal console Macrinus (Washington), che presto avrà modo di saggiare il temperamento combattivo dell'uomo.
Scelto per combattere nelle arene e nel Colosseo, Annone passa da una vittoria all'altra dimostrando il suo grande valore già nella prima sfida contro un gruppo di scimmie inferocite. Macrinus lo ammira e grazie a lui vince pure belle scommesse, mentre i due imperatori assistono a mirabolanti incontri che vedono il barbaro Annone lottare contro un gigantesco rinoceronte e addirittura una nave nemica in un Colosseo riempito d'acqua e di squali (!!!) nella scena più delirante e grottesca del film. D'altra parte non è alla credibilità storica che Ridley Scott guarda, preferendo preoccuparsi di fornire uno spettacolo all'altezza delle aspettative. Se però con il primo GLADIATORE in qualche modo era riuscito nell'intento, complice un protagonista tagliatissimo per la parte come il giovane Russell Crowe, qui non può che pensare a tenere un ritmo sostenuto (d'altra parte sono due ore e mezza, da reggere) e adattarsi a caricare il più possibile di eroismo un Paul Mescal che il grande carisma di Crowe non ce l'ha.
E' questo il primo evidente difetto di un sequel che cede innanzitutto nel cast: se Mescal non ha lo sguardo intenso né la fisicità del suo predecessore, non gli è granché superiore la sua antitesi romana, ovvero l'Acacius di Pascal (oltre che di cognome i due attori si somigliano pure in volto, creando talora un po' di confusione). Connie Nielsen nel ruolo della madre di Annone si vede poco per poter incidere e Denzel Washington svolge il compitino senza brillare (anche se surclassa in classe il resto del cast). Quanto ai due imperatori sadici, sanguinari e tirannici come ci si aspetta, si rivelano soprattutto due simpatiche macchiette.
A indisporre è l'abuso di computergrafica, che fa sembrare case e templi artificiosa paccottiglia priva della necessaria tridimensionalità. Si intuisce che i mezzi ci sono, ma le ricostruzioni sono talmente tante e invasive che nulla finisce con l'apparire realistico. Il Colosseo infestato da squali poteva essere un'idea folle quanto spassosa, ma l'azione si concentra più sugli scontri tra le due imbarcazioni, con i pescecani che spuntano qua e là attaccando di striscio un paio di gladiatori restando poi in secondo piano a fare da simpatico contorno alla scena.
Quanto alla storia, elementare, fa più che altro da riempitivo tra uno scontro in arena e l'altro, con scampoli di complotto e tentativi di rovesciamento dello status quo utili giusto a dare un minimo di consistenza a personaggi altrimenti inutili. La presenza della scimmietta Dondo nel gruppo aumenta la sensazione di film per tutti, al quale si aggiunge timidamente, qua e là, un po' di sangue (terribilmente digitale). Ad ogni modo Scott ci mette il mestiere e ogni tanto regala scampoli di talento, la fotografia è scintillante e alla conclusione si arriva senza grandi affanni, il che è già un buon risultato...
Favoletta moralisticheggiante sulla differenza di classe sociale azzerata dall'improvviso tracollo finanziario del benestante, il film di Fabrizio Maria Cortese si riallaccia a una tradizione che in Italia ha ampie radici con le quali si sono cimentati un po' tutti i nostri commedianti, da Pozzetto ad Abatantuono. Il gioco è sempre lo stesso: trasferire il ricco nell'ambiente del povero per vedere come si comporta alle prese con le difficoltà di ogni giorno,...Leggi tutto col lavoro che manca e con ristrettezze economiche di ogni genere.
In questo caso la famiglia che vive nel lusso più sfrenato è quella di Edoardo Mariani (Ruffini) e sua moglie Giovanna (Spada), genitori di tre figli che dire viziati è poco. D'altra parte è talmente caricaturale, il disegno di ogni singolo personaggio della famiglia, che sembra a tratti di avere a che fare con una parodia, nonostante nel film ben poco si rida: papà è sempre impegnato col telefonino, mamma lo accusa di ignorarla ma poi pensa alle corse dei cavalli, i due figli maggiori (perché la piccola, dolcissima, è l'unica che pare conservare una sufficiente dose di umanità) frequentano compagnie di ragazzi ultrasnob che guardano con disprezzo chi svolge lavori meno finanziariamente gratificanti; come Rosa (Cucinotta) ad esempio, collaboratrice scolastica (bidella non si dice più) nella scuola della giovane Emma Mariani (Savignani) nonché moglie di Ottavio Crocetti (Memphis), ex compagno di classe e grande amico di Edoardo, dal quale quest'ultimo si era staccato dopo averlo visto baciare la donna di cui s'era innamorato e alla quale aveva chiesto di consegnare una musicassetta con le musiche che lei preferiva (erano gli Anni 80, come ben si vede nel prologo).
Ora Ottavio lavora come giardiniere nel golf club frequentato da Edoardo dove bazzica pure Mimmo Versi (Tognazzi), traffichino che gestisce gli investimenti milionari di Edoardo. Quando Mimmo viene arrestato, Edoardo capisce che per lui, truffato senza pietà fino all'ultimo euro, si prospetta un lungo periodo nero all'insegna della povertà più nera, dalla quale Ottavio si offre di sottrarlo offrendogli di stabilirsi in una sua piccola casa nel paesello dove vive (siamo in Basilicata, nel potentino). Tutto ciò che prima era la norma diventa un miraggio e ovviamente i poveri, che nel film sono sempre e solo di buon cuore, faranno capire agli amici cosa significa vivere una vita dura in un appartamento piccolo e cadente, invece che in una moderna villa nel verde.
Insomma, il canovaccio è elementare e per sorreggerlo serviva almeno una sceneggiatura in grado di dargli per quanto possibile degna forma. Invece, benché questa sia stata scritta dal regista con Federico Moccia (qualche timido spunto azzeccato nel disegno dei ragazzi si vede), c'è poco da stare allegri. I personaggi sono tutti altamente stereotipati, con Memphis che con la sua aria da cane bastonato incapace di sorridere si mostra oltremodo comprensivo nei confronti dell'amico in difficoltà, Ruffini costretto a fare buon viso a cattivo gioco e la Spada nel ruolo di partner incapace di sopportare la vicinanza dell'altra madre (la Cucinotta), al contrario sempre pronta ad aiutarla.
Di banalità in banalità si toccano tutti gli argomenti più tipici del campo (dal bullismo in chiave femminile a scuola, reso in maniera davvero sconfortante, fino all'amore) senza che emerga una storia capace di appassionare il minimo indispensabile. La famiglia Mariani, dopo aver messo in mostra tutto il peggio di sé, passa progressivamente al prevedibile tenero idillio con chi ha avuto il merito di accoglierli e aiutarli. A salvare un film scritto senza inventiva e diretto con poca grinta ci deve pensare il cast, se non altro ben scelto e discretamente diretto (per una volta anche nelle giovani leve), che mostra di trovarsi a proprio agio nelle parti assegnate e che nel complesso permette di sorvolare parzialmente sulle carenze delo script. A corredo la piacevole colonna sonora di Stefano Caprioli, che dà ritmo e armonia quando (spesso) mancano.
Nel rievocare la storia dei gangster Frank Costello e Vito Genovese, amici fin dall'infanzia e ritrovatisi l'uno contro l'altro (o quasi) nella seconda parte della loro vita, l'idea è quella di farli impersonare dallo stesso attore. Non uno qualsiasi, naturalmente, ma Robert De Niro, vale a dire incontestabilmente il più grande, nel genere. Non solo: alla sceneggiatura troviamo Nicholas Pileggi, l'uomo che con Martin Scorsese scrisse addirittura QUEI BRAVI RAGAZZI e CASINÒ...Leggi tutto, ovvero due dei più amati noir di sempre. Perché allora il film non raggiunge nemmeno lontanamente le vette di quei classici? Non si può dare la colpa solo a Barry Levinson, la cui regia comunque non si segnala per virtuosismi o per particolare efficacia (e non è la prima volta, purtroppo), ma certo se c'è da cercare un responsabile...
Già la scelta di utilizzare De Niro per due figure dal carattere tanto diverso non si rivela troppo felice: nonostante il make-up diverso, a volte il rischio di confondersi esiste; un po' per il modo di recitare, in entrambi i casi facilmente riconoscibile, un po' per le espressioni e i tratti somatici che dietro le apparenze emergono prepotenti e un po', per noi italiani, pure per via del doppiaggio, con il pur bravissimo Stefano De Sando che fatica a differenziare le due voci. Ma al di là della possibile confusione, è anche una certa monotonia nel modo di recitare che nega al film la necessaria varietà.
La struttura è quella di ogni gangster movie, con i tempi che si mescolano e la rievocazione del passato che torna soprattutto attraverso la composizione di immagini tratte da fotografie in bianco e nero. Poi frequenti balzi in avanti, con Costello che racconta quanto accaduto nel periodo analizzato, immediatamente susseguente a quella che era parsa un'esecuzione in piena regola: qualcuno spara a Frank e lo centra in testa mentre sta per entrare in ascensore. Com'è possibile, ci si chiede, che sia allora lui a fare da narratore fuori campo? Siamo in zona VIALE DEL TRAMONTO? No, semplicemente il colpo per miracolo non ha leso parti vitali del cranio e Frank torna presto in sella più vivo che mai, pronto a fronteggiare colui che fu un tempo suo inseparabile amico e che - lo si scopre in pochi minuti - è il mandante del tentato omicidio.
Vito, ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, aveva dovuto riparare in Italia lasciando il campo libero a Frank: gli aveva ceduto l'intero potere consegnandogli di fatto le chiavi del racket a New York, ma una volta tornato pretende che quanto un tempo donato gli venga restituito. Frank è leale, solo spiega che non sarà un'operazione facile e che ci sarà da decidere come spartire il tutto: i tempi sono cambiati, ora l'antiproibizionismo è stato sostituito da una ben più feroce caccia al narcotraffico...
La prima parte è di assestamento, votata in gran parte alla ricostruzione della vicenda e a un attendismo non entusiasmante. E' nella seconda che per fortuna il film si riprende, delineando bene la figura di Frank Costello (il vero protagonista) e mostrandocene l'aspetto decisamente più umano e sornione, rispetto all'intransigente carattere impulsivo di Vito, uomo d'azione che non accetta le mezze misure. Il fulcro della storia, che si svilupperà meglio nella seconda parte, è ben studiato e a suo modo interessante, ma è intaccato da divagazioni superflue, flashback e flashforward che appesantiscono aggiungendo poco e disperdendo l'attenzione, mentre in ogni caso i ritmi sono bassi e pochi gli interventi davvero ficcanti (si ricorda l'eccellente break in cui Vito attacca in auto il suo tirapiedi che gli racconta come sono nati i mormoni, in cui si rivede l'eco dei tempi migliori). La tensione accumulata per un finale molto ben preparato si stempera in un poco di fatto che lascia l'amaro in bocca... Il titolo? The Alto Knights è il nome del locale che compare come punto di riferimento nelle diverse epoche.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA