Basterebbe solamente la sequenza iniziale del forte vento (con incontro), per le strade di New York, a sottolineare la grandezza registica di Adrian Lyne, in quello che più che un remake del film di Claude Chabrol, sembra una summa di tutto il suo cinema (e non per nulla , dopo questo film, ci sarà un lunghissimo silenzio, e una grave mancanza, che dura da ben 19 anni), che va da
Nove settimane e mezzo (la Lane che gode al cinema, abbagliata dal fascio di luce del proiettore, a
Attrazione fatale (l'ascensore del palazzo), da
Allucinazione perversa (i quartieri di New York, la metropolitana, le vasche da bagno, anche se usate in modo differente dalle crisi di Jacob), a
Proposta indecente (la coppia sposata che si riunisce, malamente, dopo che "l'intruso" ha messo a dura prova il loro rapporto), fino a
Lolita (l'incontro/scontro tra i due uomini per la stessa femmina: Gere/Martinez come Irons/Langella), e già questo (per chi ama questo straordinario regista che gira come pochi al mondo) è una piacevole manna dal cielo.
Per la serie che è il regista a fare la differenza, in un plot ormai stantio e strabusato, della solita storia di corna e di crucci (ma quella chiusa finale all'incrocio, con il semaforo che continua a cambiare i colori, così ambigua e ben poco etica, contro il volere dei produttori, è un gran pezzo di cinema che manda a farsi benedire la moralità della middle class newyorkese).
E Lyne è un maestro quando ruba alla Lane i suoi umori e i suoi stati d'animo (altro gran pezzo le espressioni della donna sul treno, che ricorda la prima scena d'amore con il bel fustacchione, che vanno dall'eccitazione all'imbarazzo, dal pianto al riso isterico, per poi chiudersi nella toilette del treno, un pò come aveva fatto Zulawsky sull'Adjani per
Possession) standole sempre addosso (altro gran momento e la tremarella da "prima volta" che affligge la Lane quando Martinez la butta sul letto e comincia a ravanarla), per , poi, gettarla nel baratro dell'ossessione amorosa (la grande scenata di gelosia in biblioteca, presa sul pianerottolo selvaggiamente, il sesso rubato nel bagno di un bar, con al tavolo le amiche che la aspettano), eppoi le ginocchia sbucciate, i sandaletti sfilati dai piedini, il cambio di abbigliamento sexy e le scarpette con il tacco nuove nuove che tirano le attenzioni sospettose di Richard Gere, le bugie, i sotterfugi, la voglia impellente di rivedere il suo amante (altro momento notevole è la telefonata alla stazione, con la Lane madre di famiglia che si comporta come una quindicenne) che vende e compra libri (che vive in un appartamento sommerso da tomi di ogni tipo, che sembra casa mia con le videocassette e i dvd)
Finche il buon Gere comincia a mangiare la foglia troppo presto, assolda un detective privato e la bella Lane viene sgamata all'istante e Lyne prende una deriva grottesca noir, con Gere (cane bastonato) che sta male e le vien da vomitare, la sfera di vetro alla
Quarto potere usata come corpo contundente, il sangue che imbratta il nido d'amore e di cultura, l'occultamento del cadavere e l'ascensore che si guasta, il tamponamento accidentale con il cadavere nel baule avvolto in un tappeto, la capatina notturna alla discarica, eppoi lavaggio della macchina e doccia per lavar via il tanfo della monnezza, fino a un'altro intenso attimo di grandissimo cinema (perchè l'ultimo film di Lyne ne è zeppo), nel montaggio alternato del taglio del tacchino a tavola e il ritrovamento del corpo avvolto dal tappeto alla discarica con i gabbiani e i rulli compressori.
E quì il regista di
Flashdance ci infila la tensione che è solo abilità registica senza troppe parole (le foto compromettenti "dimenticate" nella giacca trovate dalla Lane in lavanderia, la proverbiale sfera di cristallo con la neve che torna al suo posto in collezione domiciliare, l'espressione colpevole di Gere, la Lane che ha capito tutto, il doloroso confronto notturno finale tra i due "Volevo uccidere te, non lui!", i cocci di un matrimonio che si rimettono insieme malamente, fino alla compicità di fare finta che non sia successo niente (e Lyne, sempre con una abilità straordinaria, mostra una specie di
Sliding doors nel flashback della Lane mentre brucia quelle maledette foto nel caminetto, quel taxi che forse sarebbe stato meglio prendere al volo)
Al di là del sesso patinato tanto vituperato che è cifra stilistica lyneiana (ma la sequenza in cui la Lane si tocca da gran porcellona davanti a Martinez, mettendosi la mano dentro i jeans ha il suo peso), qui è la tensione psicologica femminea a essere il perno di una costante e febbrile eccitazione (la Lane fa di tutto, e di più, per vedersi con il suo ganzo, come nella sequenza del bacio appasionato al bar, sgamata da un dipendente del marito, che saggiamente decide di non dire nulla, se non mettere la pulce nell'orecchio al Gere fatto becco, con un "controlla meglio la TUA famiglia")
Unica nota stonata (ma è peccato veniale) è il ragazzino figlio della coppia, davvero insopportabile (a differenza della bimba di
Attrazione fatale)
Cosa non è la fotografia del fido Peter Biziou (ma l'aspetto estetico nel cinema di Lyne è essenza prioritaria) e le location di una New York fredda, alienata e intinta nel grigiore, come solo l'autore di
Allucinazione perversa sà ritrarre.
C'è niente da fare, se sotto c'è un gran regista, anche una storiella metropolitana di corna (uguale a mille altre) può donare grande, grandissimo cinema.
La Lane (che dà polvere a ragazzette tutte smorfiette) è di una carica erotica sorprendente e realistica, con una strameritata nomination all'Oscar, e non ha eguali vedere l'ex
American gigolò cornuto, mazziato e goffo assassino per caso in uno dei suoi ruoli migliori dopo il cinico poliziotto corrotto di
Affari sporchi