Non male l'idea della creatura che si palesa solo nel buio e scompare se si accendono le luci (e a suo modo geniale il blackout della sfiga), con qualche timida stoccata (l'atelier coi manichini omaggiando
Bava, quelli con il volto distrutto, nello scantinato, tributando
Gibson) e il make up prostetico di Matthew Mungle (anche se la CG esplode cafona nel finalone) della torva Diana (sorta di Samara fotofobica in cerca di vendetta, che non incute nessun tipo di suggestione o di benchè minima parvenza spaventosa, fondo di magazzino delle più ritrite fantasmette giappo, questa volta una ragazzina dalla pelle che va in necrosi, fotografata con ombrellino alla
Morte a Venezia).
Degli spaventi facili facili fatti con lo stampino, del tipico horroretto da discount, delle ormai convenzionali apparizioni a scatti stile
La madre , di Diana, per tutta la casa, delle improvvise apparizioni ormai scontate per questo tipo di filmetti, del terrore che viene dal passato (ovviamente in cliniche per malattie mentali), anfratti oscuri (gli armadi) e tutto l'ambaradan come da copione.
Maria Bello scivola discretamente nella follia (il parlare da sola, la pistola puntata alla tempia), di quello che poteva essere una nuova rappresentazione dell'incontrollabilità della rabbia (da
Brood alla
Casa di Cristina), scade nella più banale prevedibilità.
James Wan (a cui piacciono tanto questi bubusettete a buon mercato) prende l'abbaglio e non pervenuto il talento visionario del regista del
secondo Annabelle.
Unica cosa davvero riuscita sono gli inventivi titoli di coda.