Note: Alcune scene di flashback originariamente sono state girate a colori e in taluni master permangono. La pellicola è ispirata alla storia di Nellie Bly, giornalista americana che nel 1887 si era infiltrata nell'ospedale psichiatrico di Blackwell's Island per scrivere un articolo sulle condizioni delle pazienti.
Una vera e propria indagine in manicomio, con il giornalista Johnny Bennett (Peter Breck) che si finge matto per entrarvi e interrogare in qualche modo i tre testimoni di un delitto lì avvenuto. La polizia non ha mai risolto il caso e lui crede, in caso di successo, di potersi guadagnare il premio Pulitzer. Il corridoio cui fa riferimento anche il titolo originale (SHOCK CORRIDOR) è quello in cui i pazzi socializzano (per quanto possibile) e che un Samuel Fuller particolarmente ispirato sceglie come set per questo suo film claustrofobico e inquietante, animato da splendide caratterizzazioni di contorno (su tutte Pagliacci, il grassissimo internato con l'ossessione dell'Opera) e da una regia incisiva,...Leggi tutto capace di inquadrare eccezionalmente il progressivo acutizzarsi della paranoia in Johnny senza trascurare di mantenere alto l'interesse seguendo lo sviluppo “poliziesco”. Non tutte le scene sono riuscite, alcune insistite divagazioni nei monologhi dei pazzi (vedi quello fermo alla Guerra di Secessione) appesantiscono la scorrevolezza, i sogni di Johnny nei quali vede l'immagine della fidanzata spogliarellista sono francamente superflui, ma nel complesso è raro trovare un film che possegga altrettanta forza, che analizzi con tanta rigorosità scientifica un caso improbabile rendendolo quasi credibile. E in alcuni momenti Fuller sa essere davvero spietato nella sua messa in scena, con i degenti che offrono uno spettacolo diverso da quello visto nei tanti film di argomento similare. E così SHOCK CORRIDORS, reso ancor più livido da un bianco e nero di grande suggestione, acquista un valore di opera singolare, continuamente saltabeccante tra i due piani della sanità mentale e della follia ottenendo un risultato cinematograficamente eccellente. Marcel M.J. Davinotti jr. Chiudi
Un giornalista che ambisce al premio Pulitzer si fa internare in un manicomio per scoprire il responsabile di un delitto che forse si nasconde lì.
La metafora è piuttosto chiara: l'America è un manicomio dove dominano follia, violenza e razzismo e dove non c'è spazio per la verità e la giustizia se non a carissimo prezzo (vedi il finale). Fuller dirige con mano magistrale creando un clima teso e claustrofobio che avvolge lo spettatore fino ad arrivare al beffardo ma azzeccatissimo finale. Bella la fotografia di Cortez. Bravissimi gli attori.
Tostissimo racconto ambientato in un manicomio che precorre alcuni temi raccolti da Qualcuno volò sul nido del cuculo. Scenografia asciutta e primi piani prolungati amplificano il senso di angoscia. Bravi gli attori, tra cui il futuro sceriffo della serie tv Hazzard.
Peccato di hybris, quello del prometeico Johnny: varcare i confini della normalità, immergersi nello Stige della follia e sperare di riemergerne intatto! A tamburo battente, la progressiva scoperta della verità su un omicidio collima con la progressiva disarticolazione dell'Io razionale del protagonista: perciò la verità che pure scopre non avrà, per lui, alcun senso o valore. Surreale e sussultante cronaca di una sconfitta, una sfida tutta interiore, impossibile da vincere.
MEMORABILE: "Gli dei fanno impazzire coloro che vogliono perdere".
Buon film carcerario -per così dire- anche se le premesse sono diverse dalle solite. Fuller gioca con gli stereotipi (vedi il discorso infermiere buono-infermiere cattivo) e soprattutto riesce a costruire una tensione notevole, anche grazie all'ottima fotografia in b/n. Il doppiaggio italiano, fatto probabilmente negli anni '70 per la televisione, riunisce le voci di Pino Locchi, Oreste Lionello, Glauco Onorato, Carlo Romano e persino Ferruccio Amendola in un ruolo minore.
Giornalista si fa internare in manicomio per scoprire un assassino: film di atmosfere e scene forti, rovente e ispido, claustrofobico e (in crescendo) ansiogeno. La lenta discesa negli inferi della psiche di un "normale" è prevedibilmente inesorabile e comunque terribile. Se i matti sono dipinti con qualche tocco pittoresco, il protagonista (un generoso Breck) è scolpito nella sua "folle" ambizione da eroe tragico greco che osa sfidare gli dei: una lotta inane nella bella cornice di una fotografia che sa dosare bene luci e ombre in lucido b/n.
In un suggestivo bianco e nero la pellicola costituisce una discesa negli inferi nella psiche e nella follia in cui precipita il protagonista, internato in un manicomio per motivi professionali. L'estremizzazione del percorso mentale del giornalista rende il film cupo, estremo malato. Un cinema primitivo e di impatto.
Un'indagine all'interno di un manicomio porterà il coraggioso Johnny a perdere di vista la retta via e ad affrontare a testa alta l'elettroshock e l'idroterapia senza colpo ferire. O no? Fuller mette in scena una società di derelitti, gente ferita dalla guerra fredda, dal razzismo, dalla paranoia. Purtroppo la follia è ritratta in maniera piuttosto superficiale, limitata a urla casuali e analisi sciocche (oddio le ninfomani!); ciò non inficia l'obiettivo del regista comunque: dipingere l'America come un luogo ove la giustizia ha caro prezzo.
MEMORABILE: Lo spettacolare monologo di Trent; pagliacci rimprovera Johnny per un urlo piuttosto stonato.
È uno di quei registi, Sam Fuller, al quale si è disposti a perdonare anche gli eccessi, le imperfezioni e le facilonerie tale è la forza visionaria e tanto il rigore che trasuda da ogni singola inquadratura, da ogni snodo di sceneggiatura. In Shock corridor di sbavature appunto ce ne sono (il bozzettismo dei pazienti psichiatrici, i sogni psichedelici di Johnny tra tutte) ma la metafora è così vera e potente che la storia si fa parabola iperbolica e si deve solo fare chapeau. Formidabile il bianco e nero di Stanley Cortez.
Film non facile, a tratti pesantino, ma un Fuller in autentico stato di grazia traghetta questo film nei lidi del grande cinema, follia e giornalismo mai così vicini (oggi invece lo sono anche troppo), fotografia incredibile. La clausura dei personaggi ci viene letteralmente proiettata addosso da quelle ombre fortissime, personaggi un po' troppo macchiette ma perfettamente inseriti in un gioco quasi teatrale. L'idea dei flashback a colori vale l'acquisto del dvd.
Fuller realizza una curiosa unione fra noir psicologico, thriller e film carcerario, indagando gli ambienti di un istituto psichiatrico dove sono reclusi coloro che non si sono adattati al sogno americano. Il protagonista Johnny, avido di notizie, entra volontariamente in questo mondo alienato per poi diventarne un prigioniero a sua volta. Pellicola sperimentale amara ed angosciante, in un bianco e nero "selvaggio", che infrange la beata illusione che "i matti sono gli altri".
Film potente, sia per il contenuto che per le immagini. Sicuramente il miglior film di Samuel Fuller che, con un ottimo bianco e nero, riesce a rendere l'idea di claustrofobia e pazzia in ogni scena, inquadratura e dialogo. La pellicola è caratterizzata da un'impeccabile recitazione (in primis da parte del protagonista Peter Breck) e mostra come l'uomo possa ingannare la medicina, in questo caso la psichiatria, ma sia completamente inerme dinnanzi alla propria psiche. In sintesi, un gran film.
MEMORABILE: La finta sorella Cathy cerca di baciare Johnny e lui la rifiuta inorridito, pulendosi istericamente le labbra.
Per trovare una qualche risposta agli interrogativi sugli Usa (di quegli anni, ma forse attuali anche ora) o semplicemente per riflettere su fenomeni di quella grande nazione, Fuller si introduce in un ospedale psichiatrico. La ricerca dell'assassino diventa secondaria, è un pretesto, anche per indagare sulla condizione dei malati e per provare quanto sia pericoloso essere soverchiati dalla vicinanza di menti malate. I dottori non ci fanno certo una bella figura, ma forse è l'unico lato debole del film: la facilità con cui vengono ingannati.
Malato di ambizione, un giornalista si fa passare per malato d'amore per scrivere un articolo da Pulizer... Racchiusi i personaggi in un ambiente claustrofobico, Fuller punta sull'esasperazione dei caratteri e sul capovolgimento del senso (le ninfomani sono baccanti assatanate, il nero sostiene le tesi del ku-klux-clan, il geniale scienziato è regredito all'infanzia) per creare un incubo che culmina in una sequenza di straordinario impatto visivo ed in un epilogo beffardo che nega ogni catarsi: gli Dei rendono pazzi coloro che vogliono perdere. Film rigoroso nella sua follia, imprescindile.
MEMORABILE: L'aggressione da parte delle donne; La tempesta nel corridoio
Anche una rondine, se cresciuta tra i pappagalli, imparerà a parlare. Qui Peter Breck contamina il suo io con menti instabili e arriva a perdere il lume della ragione, tra i corridoi infiniti della sua mente. Catabasi (intro)riflessiva sulla normalità e sulle prospettive plausibili nell'approcciarsene, con una vita alternativa che Fuller descrive in maniera quasi asettica e senza ricorrere ad eccessi di sorta. Le note liriche del corpulento Larry Tucker stridono con il silenzio delle stanze, fanno da corredo ad ogni attimo della giornata, senza distinzione. Intenso e convulso.
MEMORABILE: "Quando dormiamo nessuno distingue un uomo sano da un uomo malato".
Un giornalista si finge pazzo per scoprire l'assassino di un alienato e soprattutto nutrire le sue smisurate ambizioni. E così, come è prevedibile, si calerà a tal punto da riceverne tutti i trattamenti previsti. Film in bianco e nero con tutte le carte in regola per sfondare, senonché la messa in scena non funziona come dovrebbe e va pleonasticamente per le lunghe, con una morale e un finale conseguenziale fin troppo rintracciabili. Pretenzioso, come il protagonista del film.
MEMORABILE: Gli isterismi continui della fidanzata del giornalista.
Partendo dalla vicenda del giornalista alla ricerca del Pulitzer, Fuller ci parla degli USA (anni 60), con le sue follie e il suo razzismo ancora ben radicato. Nobile scopo, che però si basa su una trama davvero troppo semplicistica (la fidanzata che denuncia il protagonista fingendo di essere la sorella, e nessuno se ne accorge; l'omicidio commesso con tre testimoni nascosti sotto un tavolo...) e con notevoli eccessi nella caratterizzazione di alcuni personaggi. D'altro canto troviamo buone interpretazioni e una bella fotografia in b & n. Ombre e luci in un film comunque coraggioso.
L'indagine-scoop su un omicidio avvenuto all'interno di un ospedale psichiatrico, pianificata da un reporter finto pazzo in stile Nicholson, non è che l'esile pretesto su cui Fuller sviluppa un'acre e spesso paradossale esibizione della follia che ammorba la società (così come il protagonista), fra reduci ostracizzati dalla famiglia e dalla patria, razzismo visceralmente radicato e il sempre incombente orrore delle armi di distruzione di massa. Meraviglioso il bianco e nero di Stanley Cortez (La morte corre sul fiume), indimenticabile la galleria di personaggi. Capolavoro pessimista.
MEMORABILE: Pagliacci; Il nero che sostiene il KKK; Il montaggio durante l'elettroshock; Breck non riesce a parlare e suda freddo; Lo scontro con il colpevole.
Fingendosi maniaco sessuale incestuoso, un giornalista si fa ricoverare in una clinica per fare uno scoop su un omicidio lì avvenuto; ma come un boomerang, la follia che aleggia nell'ambiente lo travolgerà. Il vero obiettivo di Fuller non è tanto mostrare una realtà manicomiale nella sua tragica complessità, quanto fare di essa una ben chiara metafora delle distonie e delle paranoie della società americana di quel tempo (militarismo, razzismo, primato nucleare), impersonate da altrettanti casi clinici. Esemplare Breck inghiottito dalla follia, non da meno i protagonisti di contorno.
MEMORABILE: L'improbabile sorella; Pagliacci e le arie d'Opera notturne; La tempesta in corridoio; La scazzottata con l'infermiere; Il triste finale.
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In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
Sì, è quello che si legge on line. Il dvd Fox (Punto Zero) è uscito per la Noir Collection ma la sequenza a colori non c'è. Pare comunque che le edizioni migliori restino questa e la NoShame (fuori catalogo), e che la Classica Film sia penosa. Sulla Enjoy non ho trovato informazioni precise.
che oltre al film menzionato contiene IL BACIO NUDO.
Per entrambi un buonissimo bianco e nero ben contrastato e anche l'audio è di buona fattura (forse a tratti leggermente ovattato ma i dialoghi risultano sempre chiari).
Di contenuti extra neanche l'ombra ma c'è la scena a colori (comunque non che sia quella gran cosa). Formato video 1.33:1 open matte e audio italiano / inglese mono e nessun sottotitolo.
Riguardo ad altre edizioni l'unica cosa che avevo letto, è che la Puntozero presentava il film nel formato originale (1.85:1)
Un Forman in vitro, con un bel bianco/nero (ma non mancano scene a colori), un'atmosfera straniante e riuscita (taluni dicono che questa è dovuta al low budget, e forse han ragione) e buone recitazioni.
Palesi denunce sociali ed al sistema psichiatrico, buoan regia per un film drammatico da riscoprire.