Eduardo De Filippo: singolo vs resto del mondo
21 Settembre 2009
A ragione,
Eduardo de Filippo è considerato uno dei drammaturghi contemporanei con cui non solo gli autori della “nuova scuola napoletana” (sia registi che interpreti) si confrontano continuamente (solo per fare alcuni nomi, tra i registi ricordiamo
Martone e
Corsicato, e fra gli attori
Toni Servillo e
Carlo Cecchi), ma che ha saputo enucleare temi fondamentali per la sensibilità dell’uomo moderno.
Quali sono i caratteri che rendono universali i lavori di un autore apparentemente legato solo a
Napoli e ai suoi problemi? Già dalla visione dei lavori giovanili (che possiamo ammirare in quanto
Eduardo in età avanzata decise di registrarne alcuni per la Rai), anche se si tratta di commedie che rientrano nel binario comico - farsesco come nel caso di
Uomo e galantuomo, cogliamo in nuce il conflitto tra il singolo ed un mondo ostile che tende a rifiutarlo, fino a che il singolo non decide di creare un proprio mondo “a parte”, con il rischio di sconfinare nella follia. Certo, se nella commedia citata questo escamotage è utilizzato dal protagonista
Alberto de Stefano (un giovane
Luca de Filippo) solo per sfuggire alle ire di un marito geloso (ed al capocomico
Gennaro de Sia per non pagare i debiti), non bisogna dimenticare un altro lavoro coevo come
Ditegli sempre di sì, dove il protagonista, vero pazzo stavolta, prendendo alla lettera tutto ciò che gli viene detto è automaticamente emarginato dalla gente che, se non si mostra apertamente ipocrita e doppia, usa di continuo metafore e giochi di parole per comunicare oltre il mero messaggio verbale, con buona pace di puri che invece inseguono la coerenza perfetta, sembra suggerire il drammaturgo.
Il simbolo più conosciuto degli “uomini soli” edoardiani si trova certamente in una delle commedie più famose (e citate) di
Eduardo de Filippo, ovvero
Natale in Casa Cupiello, dove il protagonista, se solo ne avesse la possibilità, si rifugerebbe volentieri nel presepe che continua ad allestire e che contiene un’atmosfera di pace che manca nella famiglia, tra figli insofferenti dei diktat genitoriali e mogli brontolone fino al totale rifiuto del terzo atto. Questo personaggio (diventato famoso) si può considerare il prototipo edoardiano (la commedia risale agli anni 30 e sarà rimaneggiata nel corso dei successivi decenni)
che sarà declinato in altri lavori magari non altrettanto famosi ma ugualmente significativi: ricordiamo il protagonista dell’atto unico
Gennareniello, altro uomo “sulle nuvole” con astruse ambizioni da inventore (altra caratteristica del modello edoardiano, si veda il personaggio del padre nell’originale televisivo
Peppino Girella), l’ex fabbricante di apparati per feste
Alberto Saporito, talmente convinto della realtà di un suo sogno da accusare di omicidio i suoi vicini (comunque non proprio un modello per unità e pietas familiare e forse futuri reali assassini), fino a ad arrivare a
Pasquale Lojacono, il protagonista di
Questi fantasmi, che non si comprende bene “se ci sia o ci faccia”, se creda alla storia dei fantasmi o voglia credere per fuggire da una realtà molto più dolorosa da accettare dei “monacielli” che infesterebbero il palazzo.
E che dire poi del reduce dal “gran tour” in giro per l’ Europa nel secondo atto di
Napoli Milionaria? Qui l’ambiente in cui ritorna lo rifiuta, non gli permette letteralmente la parola perché non vuole ricordare la guerra e la fame che fino ad un attimo prima costringevano tutti ad una vita di privazioni e lotta dell’uomo sull’uomo (esemplare la rivalsa di
Amalia Jovine nei confronti del ragioniere
Spasiano, il quale viene letteralmente spogliato di tutto);
Gennaro Jovine non impazzisce, ed anzi attorno a lui la famiglia adombrerà una speranza di riconciliazione, ma ricordiamoci che fin dall’apertura del sipario il personaggio è già considerato “strammo” dai congiunti, i quali agiscono come se non esistesse (di fatto è relegato in un luogo piccolo ed appartato della casa che sparirà all’inizio del secondo atto) e che lo chiamano quando deve fare la “salma” per nascondere le derrate della borsa nera.
A questo punto ricordiamo che
Eduardo nella drammaturgia che va sviluppando non può non apportare l’influenza dei contatti avuti con Luigi Pirandello (con cui scrisse
L’abito nuovo, portato in televisione negli anni 60), e tuttavia mentre in
Pirandello l’amarezza totale e senza appelli si traduce in paradossi che non lasciano spazio ad alcuna speranza (uno su tutti la pazzia invocata da il protagonista ne
Il Berretto a sonagli, interpretato da
Eduardo dai 30 agli 80 anni), l’autore napoletano almeno in parte stempera le amarezze e tenta la riconciliazione tra individuo e il mondo altro a mezzo della famiglia, ancora per qualche tempo punto di riferimento di valori consolidati malgrado un’ostinata incomunicabilità (si pensi al finale aperto della già citata
Napoli Milionaria, alla coppia marito e moglie di
Mia famiglia, ma soprattutto alle ripicche e successiva riappacificazione tra sugo e desco domenicale dei coniugi
Priore protagonisti in
Sabato, domenica e lunedì).
Tuttavia, avanti con gli anni l’autore maturerà un pessimismo feroce, tale da costringere l’individuo a comunicare solo con i fuochi d’artificio anziché con le parole (lo
Zì Nicola, ancora da
Le voci di dentro), a farsi giustizia da solo perché le regole del mondo così come sono non vanno bene (
Il Sindaco del Rione Sanità) oppure a seppellirsi in una poltrona tra libri e giornali, pronto a farsi visitare da un veterinario perché almeno lui non chiede al ciuccio in che parte del corpo senta dolore (il protagonista de
Gli esami non finiscono mai), tra la costernazione dei parenti che, anziché preoccuparsi della salute del congiunto, si chiedono che cosa penserà la gente.
E le donne? Non sono molte le donne protagoniste delle pieces eduardiane; o meglio, a far da contraltare allo svagato o “ alieno” personaggio maschile è posto di solito il personaggio della compagna che deve sopperire alle mancanze psicologiche e/o economiche del capofamiglia e mandare avanti la baracca senza che peraltro ciò sia degno di nota: a questo proposito ricordiamo
Concetta Cupiello e ancor più
Rita, la fiorentina (poi romana nell’edizione televisiva, doppia estraneità) de l’atto unico
Il cilindro,
che alla fine, disgustata dalla dabbenaggine del marito e della laida coppia di coinquilini, ricorda aspramente che non un misero cappello ha fatto arrivare i soldi necessari a pagare l’affitto, ma la promessa del suo corpo.
E tuttavia faremmo un torto all’autore se in questo breve excursus non ricordassimo
Filumena Marturano, unica protagonista femminile che dà il nome ad un lavoro edoardiano.
Filomena, se possibile, è ancora più in conflitto di altri personaggi con il mondo: ex prostituta, analfabeta “concubina” di un ricco commerciante che non sembra avere alcuna considerazione per lei se non nel momento del bisogno (fisico e materiale, visto che manda avanti casa e bottega), non solo non impazzisce (e qui
Eduardo sembra avvisare che le donne hanno una forza nascosta che in qualche modo deficita nell’universo maschile) ma riesce perfino ad avere ragione delle leggi, quelle scritte dagli uomini (che con un inganno ha tentato di bypassare) e quelle non scritte (l’aspirazione ad una sistemazione borghese con tanto di prole regolare).
Questo è, a sommesso avviso di chi scrive, uno dei caratteri più interessanti della drammaturgia di
Eduardo de Filippo, un messaggio che trascende i problemi sociali sia pure acutamente avvertiti dal drammaturgo, e che vengono adombrati nel mestiere di
Filomena ma anche nel “mestiere” scelto da
Vincenzo de Pretore, che arriva ad affidarsi a
San Giuseppe per “rubare bene”, pur conscio che il resto del mondo compresa la sua fidanzata
Ninuccia, non potranno mai capire; prescindendo invece dalla critica
politico sociologica, è sufficiente perfino la credenza (smodata) nei sogni utili per giocare i numeri al Lotto perché tra un uomo e tutto il circostante si scateni un conflitto senza esclusione di colpi (la guerra del protagonista di Non ti pago con il resto della famiglia e dei vicini).
In sostanza, l’autore adombra nei suoi scritti il desiderio di essere accettati per quello che si è da quanta più gente possibile, descrivendo luoghi e situazioni nelle quali molto spesso tale desiderio non si avvera per colpe che vengono distribuite equamente (nella drammaturgia di
De Filippo non esiste una dicotomia buoni /cattivi: di fronte alla ferocia del mondo contrastante come abbiamo visto, spesso il protagonista di turno si relega nell’angolo scegliendo di non combattere). Peraltro,
Eduardo nello spazio scenico ci mostra delle soluzioni che appaiono paradossali perché permesse dalla fantasia drammaturgica, ma che a ben guardare dalla realtà lontane non sono: nel concludere questa piccola analisi indico come paradigmatico il finale de
Gli esami non finiscono mai (il mio lavoro preferito in assoluto), solo apparentemente surreale e posticcio come il trucco di
Guglielmo Speranza, in realtà simbolo chiarissimo della volontà dell’ambiente che ancora una volta ha prevalso sulle volizioni del singolo.
APPROFONDIMENTO INSERITO DALLA BENEMERITA
GUGLY
23 Settembre 2009 11:20
E' un genere che prima o poi debbo scoprire...
23 Settembre 2009 11:40
24 Settembre 2009 12:37
24 Settembre 2009 19:50
Complimenti!!!
25 Settembre 2009 09:33
27 Settembre 2009 09:13
7 Gennaio 2012 16:14
17 Maggio 2024 19:46
Tutto ciò che è Eduardo non fatto da Eduardo non riesce mai a piacermi. Credo che non valga soltanto per me e questo è contemporaneamente la grandezza e la condanna delle sue opere.
Quest'anno alla Pergola ho visto "L'arte della commedia" e l'unico che mi ha convinto è stato Russo Alesi.