Palloso. L’ho trovato di una noia quasi letale. Davvero faccio fatica a capire il grande successo di questa pellicola ma, visto che ha preso la bellezza di sette Oscar (“di cui due - film e regia - super e almeno quattro immeritati", scrive Massimo Bertarelli), devo pensare che la colpa sia mia. La vicenda autobiografica di Karen Blixen, dei suoi uomini e della sua sifilide, mi è scivolata via senza toccarmi granché.
Trasposizione cinematografica di una parte dell'avventurosa vita di Karen Blixen, danese trapiantata in africa ed autrice dell'omonimo libro di memorie dedicato in gran parte al continente nero. L'opera di Pollack è piuttosto rispettosa dell'originale letterario e affronta le esperienze della scrittrice con notevole lirismo anche se il film soffre qua e là di una lentezza eccessiva. Non si può tuttavia rimanere indifferenti alla splendida (e non sempre convenzionale come si potrebbe credere) fotografia africana. Brava la Streep.
Ennesima prova che i film che ti costringono a vedere a scuola restano sullo stomaco e non calano mai! A prescindere da ciò, ho comunque dei motivi per bocciare Out of Africa: la storia non suscita mai il minimo interesse ed è anche diluita in momenti inutili, tediosi e sdolcinati (e la sceneggiatura ha avuto un Premio Oscar!), la Streep ha recitato di sicuro meglio altrove e, con buona probabilità, la noia è stata la più forte mai provata vedendo un film. Poi grazie, con un tal budget la confezione come poteva essere se non ultrachic? Letale!
Mega-cartolina di insostenibile barbosità, elaborata premeditatamente per l'Academy da artefici e con attori di sicuro mestiere, ma lontanissimo dai potenziali modelli, inclusi grandi polpettoni alla Lean, di cui non ha oltretutto il respiro, data la storia. Micidiale.
Le note di Mozart avviano una storia da romanzo che si prende le sue pause descrittive, tanto che può essere suddivisa in due parti. Nella prima si racconta la passione di una Streep mai così bella per l’Africa e nella seconda inizia la sua storia d’amore con un personaggio impavido e romantico (che trova in Redford l’interprete ideale). La vicenda sentimentale ha reso famoso il film ma manca di vero pathos melodrammatico, compensato dallo sfondo avventuroso nel quale risalta la forza della natura africana. Musiche da ricordare di John Barry. ***
La vicenda narra di una danese emigrata nell'Africa nera; lì troverà gioie e dolori. Film destinato evidentemente a un pubblico femminile di quel tempo poiché il fascino della storia d’amore, dell'ambientazione in costume, del bel viso illuminato dal caldo sole africano (e da filtri perennemente gialli/arancioni) puntati sul biondo Robert Redford, fomentò pruriti al basso ventre a qualche signora; i maschietti, invece, troveranno l'opera di una tediosità pazzesca che fa pesare la palpebra fino a cadere nella catalessi. Visto al cinema.
La confezione è la qualità migliore del film: un'ottima fotografia, un'accurata ricostruzione d'epoca, una bella colonna sonora e un cast di grandi attori. La storia invece è banalissima, trattata con una freddezza che impedisce allo spettatore di essere davvero coinvolto emotivamente. Meglio la prima parte, più veloce, con scenari mozzafiato, che la seconda, con una storia d'amore scialba e lungaggini insostenibili. Nel complesso un buon film, sopravvalutato all'epoca.
Sotto l'aspetto della confezione, il lavoro non si discute. La fotografia è straordinaria (ma i paesaggi africani ci mettono del loro), la musica è molto bella e la recitazione sempre degna di nota. Ma il film è noiosissimo. La storia inoltre è blanda di per sé e il tutto va a peggiorare; colpa del ritmo compassato e della durata esagerata. Inoltre, pur tentandoci in tutti i modi, il film non riesce mai davvero a emozionare e si arriva con fatica alla fine. Una delusione.
Chilometrico quanto deprimente drammone in cui si salva, oltre agli stupendi paesaggi, la bravura del cast (principalmente dell'elegante e intensa Meryl Streep). Immancabile il triangolo amoroso, che tuttavia non viene riscattato da un finale degno (che vagamente ricorda quello de L'amore è una cosa meravigliosa), a seguito del quale si ha la sensazione di aver assistito a una sorta di documentario dalla magnifica fotografia e con protagonisti (umani e animali) interessanti, ma nulla di più.
Donna europea trapiantata in Kenya tentenna tra il marito, un barone donnaiolo impenitente, e un bel cacciatore romantico dall'animo inquieto, ma il suo amore più grande è quello per la terra d'Africa... Dal romanzo autobiografico della scrittrice danese, un film che sembra fatto apposta per far incetta di statuette: regia altamente professionale, fotografia sontuosa di David Watkin, ost solenne di John Barry, due divi al culmine del loro glamour, tanti animali, tramonti, indigeni, amori e tradimenti, lacrime e nostalgia. Tutto molto bello, tutto molto noioso.
Fedele e avvincente trasposizione del romanzo della Blixen: l'amore per il continente nero (vero e proprio documentario sull'Africa), il coraggio di una donna che segue i suoi desideri a qualsiasi prezzo, il legame controverso col marito, il grande amore per Denis (Redford perfetto nel ruolo)... Il ritmo lento è il cuore che batte nello sviluppo inatteso e tragico, l'amore crescente per un posto magico, la scoperta che un sentimento può far soffrire ma anche rendere felici oltre la morte. Fotografie, musiche e regia splendide, la Streep favolosa nella felicità come nella delusione.
MEMORABILE: Il primo coraggioso volo sul piccolo aereo di Karen insieme a Denis, che le dichiara il suo amore mostrando lo splendore della terra che li ha uniti.
Tratto da un romanzo autobiografico. Filmone prolisso (durata monstre di due ore e mezza) che paradossalmente non annoia grazie a una liricità molto apprezzabile. Romanticismo allo stato puro, specie nella seconda parte, che fa un po' storcere la bocca. Meryl Streep impeccabile, davvero brava. Regia efficace. Ottima la fotografia. Mediocre la colonna sonora.
Baronessa danese scappa dalla guerra riparando in Africa. Storia a macrosegmenti tra matrimonio, sifilide e tradimento, che punta a dimostrare l'attaccamento alla terra. Le vicende sono piatte finché appare Redford, e da lì parte un polpettone melò con parentesi avventurose alla Sandokan (il leone steso al primo colpo) o falò al chiaro di luna. La poca profondità dei personaggi è compensata da numerose carrellate di paesaggi con inevitabile enfasi musicale. La Streep è sempre brava anche quando ha dei dialoghi stucchevoli, come i racconti inventati al momento.
MEMORABILE: I leoni cacciati via di notte dal campo; In ginocchio davanti al governatore; I Masai a piedi.
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No, non direi... è solo una prof molto appassionata di cinema che ama propinarci film in certi momenti del programma. Chissà se è iscritta qui sul Davinotti...
Disponibile in edizione Blu-Ray Disc per Universal:
DATI TECNICI
* Formato video 1,85:1 Anamorfico 1080p
* Formato audio 5.1 DTS: Italiano Francese Spagnolo Tedesco Giapponese
5.1 DTS HD: Inglese
* Sottotitoli Italiano Inglese NU Francese Tedesco Spagnolo Danese Finlandese Greco Norvegese Portoghese Svedese Coreano Cinese Olandese
* Extra La canzone dell'Africa
Commento audio
Scene eliminate
Trailer
HomevideoXtron • 10/02/12 10:58 Servizio caffè - 2229 interventi
Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv (martedì 6 dicembre 1988) di La mia Africa:
In una scena, Karen Blixen viaggia su un terreno pericoloso per portare i carri di rifornimento al reggimento di suo marito. Durante la notte, un leone attacca uno dei buoi e Karen cerca di respingerlo con una frusta. A Meryl Streep era stato assicurato che il leone sarebbe stato legato ad una delle zampe posteriori in modo che non potesse avvicinarsi troppo. Quando la scena è stata girata tuttavia, il leone si è avvicinato di più di quanto la Streep avesse previsto. La paura stampata sul suo viso è quindi reale.