Un tizio resta secco in una partouze; sei anni dopo qualcuno ricatta i sudicioni che l'organizzarono, i quali sospettano un vecchio amico... Chissà che il quarantennale del '68 non sia l'occasione per studiare meglio un sub-filone tutto italiano, quello del thriller eroticontestatario morbosetto, di cui questo è un degnissimo esemplare. C'è tutto l'armamentario, da Capolicchio con capigliatura imbarazzante all'ossessivo motivetto morriconiano, alla caricatura grottesca della borghesia annoiata. Povero, ma efficace.
Film gradevole, nonostante la presenza di Capolicchio, qui meno odioso del solito, pur nella usuale veste di Peter Pan petulante e totalmente fuori dal mondo. La storia è classica, tre amici con un passato scapestrato che si vedono improvvisamente ricattati da un misterioso personaggio che li incalza, li deride e infine li spinge al gesto estremo. Intorno, la buona società milanese di fine Anni Sessanta, superficiale e vuota e una Milano totalmente deserta, svuotata dalla calura estiva, a sottolineare il vuoto esistenziale dei protagonisti.
Visto al cine, secoli or sono, in uno sfavillante widescreen. L'effetto fu notevole. Rivisto oggi su un'oscura VHS al 50esimo riversamento è un'altra cosa, ma ha mantenuto una sua suggestione. Il tripudio di estetica-oggettistica pop e il sublime delirio morriconiano sono una festa per occhi e orechie. E quella Milano da bere Anni Sessanta è ancora attuale. Capolicchio è il solito stupidotto ma la Branco (era la moglie di Adolfo Celi) è ipnotica. Peccato che dopo qualche particina sia sparita nel nulla.
MEMORABILE: L'avveniristica villa sul mare. Il finale sulla spiaggia. L'ossessivo girotondo morriconiano intonato da Edda Dall'Orso e dai Cantori di Alessandroni.
Anomalo ma gustoso, sperimentale ma non iconoclasta, critico verso la borghesia ma non rivoluzionario, con inquadrature talora strambe ma non prive di efficacia. Curioso giallo con qualche lepidezza (il corteo del funerale che, vacanzieramente, si biforca...), con interpreti corretti, mai sbracati, che si fanno seguire (su tutti Bisacco - che assomiglia a Martin Landau - e la Branco, bellissima). L'ennesimo "la-la-la" di Morricone entra in testa e non esce più. Film milanese da assaporare, calura ferragostana compresa.
MEMORABILE: Bisacco che affonda le dita nella sabbia: pollice verso.
Particolare e sessantottino giallo "erotico", accompagnato da un ossessivo motivetto che ti entra in testa. Non è brutto: raggiunge per me la sufficienza; Capolicchio fa la parte migliore, gli altri attori pare non avranno poi una lunga carriera. Tutto sommato è passabile, ma niente di eccezionale.
MEMORABILE: Il motivetto "uan uan" e "giro giro giro tondo!"; La Milano deserta, impressionate e irreale.
Nel logorroico filone della contestazione un film che nel suo piccolo si segnala per la personalità (e per un titolo naif). Già gli attori (con Capolicchio in bella forma) che sono tali basterebbero a farlo risaltare, poi la rinuncia a barbarie e il moderato uso di cliché del periodo sono altri punti a suo favore. Detto questo, la storia è un po' tirata per le lunghe e la regia è appena discreta. Morricone regala un'altra delle sue perle, purtroppo sconosciuta ai più.
Scritto dal regista con Giuseppe D'Agata (Il segno del comando) è un curioso ibrido tra due filoni antiborghesi dell'epoca: il dramma grottesco (Bellocchio) e il thriller complottistico (Lenzi); del primo riprende le ambizioni autoriali e il clima naif, del secondo il sensazionalismo morboso e l'adesione entusiastica alla psichedelia pop. Gli scorci di una Milano improbabilmente vuota guardano chiaramente alla metafisica di Antonioni, ma qui una certa lentezza è solo difensiva. Bisacco ha la stessa faccia da matto di I corpi presentano tracce di violenza carnale.
MEMORABILE: I numeri clowneschi di Capolicchio, lo score ossessivo di Morricone.
Un’istantanea di moderata psichedelia sul Sessantotto cinematografico: la temperie contestataria giovanile e il giallo d’alta società con il suo necessaire di orge di sesso e droga, voyeurismo, morti inattese, foto ricattatorie, registratori e delitti. Se la descrizione della vita oziosa e viziosa dei giovani borghesi non si discosta dalla maggior parte di pellicole dello stesso tenore, fanno la differenza il lesto montaggio di Gianmaria Messeri, le ipnotiche nenie di Morricone e la forsennata interpretazione di Capolicchio.
...e la vita continua. Vero che i tre si beccano una di quelle lezioni di vita da non poter dimenticare finché campano e non vivranno mai più bene, ma l'altro mi ha molto ricordato quel che fece un famoso giocatore di Serie A, anche se in quel caso l'epilogo fu molto più immediato. Scherzare va bene, ma se si scherza col fuoco è bene non esagerare. Al di là di quello si lascia vedere, ma non è particolarmente entusiasmante... molto di fine anni '60 per le lunghe inquadrature e i dialoghi monosillabici.
Il ricatto (in Italia) ai tempi della pop art, della contestazione e della borghesia ancora sotto sbronza da boom economico (archiviato dalla storia e diventato recessione); in una Milano deserta, in piena estate torrida ("la fuga dal cemento", dice un personaggio); con contrappunto morriconiano circolare e vellutatamente tormentoso, diabolico. Pellicola imperfetta ma sincera, schietta; disegna ossessioni, erotismo, paranoie, cinismo e beffe senza ricami intellettualistici ed eccessi visivi pretestuosi. Sperimentalismo semplice e convincente.
Sorta di borghese annoiato movie che si differenzia dagli altri per l'innesto thriller non certo però spasmodico ed irresistibile. Eppure la pellicola mantiene un certo interesse e si lascia guardare piacevolmente dall'inizio alla fine. La regia è a tratti interessante e gli attori, pur non eccezionali, fanno la loro parte. Notevole lo score di Morricone. Abbastanza gustoso, tanto da poter meritare la visione.
Se far cinema significa ingenerare emozioni, quest'opera di Severino compie sino in fondo il suo dovere. Esprime accidia, frustrazione, mal de vivre, facendo scornare le classi sociali in giochi sempre più pericolosi. E così dall'ischerzo si passa al dramma, dalla bravata si balza all'omicidio. L'eterogeneità del cast rappresenta un punto di forza del film, con il biondo Capolicchio che reclama la ribalta, una soave Branco che ammicca per tutti i novanta minuti e Davoli che sprizza noia da tutti i pori. Ritornello-tormentone di Morricone.
MEMORABILE: Il gioco dell'oca cinese; L'ascolto di gruppo sulla spiaggia.
Un buon giallo dalla trama leggermente intricata che (nonostante la lentezza di base) si lascia seguire con vero piacere. Ancora una volta al centro della vicenda (post sessantottina) troviamo la borghesia, la noia e il sesso (in questo caso orgiastico). Gli attori funzionano bene, le musiche (di Ennio Morricone) sono davvero piacevoli (a tratti molto accattivanti) e si percepisce anche una buona dose di tensione. Una delle migliori regie di Severino (se non la migliore), decisamente da rivalutare!
MEMORABILE: L'accattivante brano (composto da Morricone) che non esce più dalla testa "Matto, caldo, soldi, morto... Girotondo".
Milano, d'estate. Un giallo di fondo fa da cornice a un film grottesco/giovanilistico più o meno dilettevole che, forse per l'anno del girato, prende in considerazione per sommi capi il periodo della contestazione e degli scontri generazionali. Psichedelica, confusionaria e a tratti sorprendente, l'opera di Mauro Severino inciampa soprattutto per un po' di passaggi non sempre chiari e lungaggini narrative che, unite alla nota logorrea dell'allora "divo" Lino Capolicchio (con capello biondo), rendono a tratti difficoltosa la visone. Ottima OST.
Interessante reperto del cinema sessantottino, rappresenta bene certe suggestioni dei tempi che furono; tra salotti bene in stile pop-art, rivoluzionari della domenica, borghesi annoiati e desensibilizzati, sullo sfondo di un'irreale Milano d'Agosto deserta si dipana una torbida vicenda di sesso e morte. L'effetto psichedelico e surreale dei giorni che passano pigri e debosciati è ben reso dalla ost cantilenante di Morricone; il finale amaro, dall'ovvia metafora sociale, arriva come una doccia gelata sotto il solleone. Lento, ma da rivalutare.
Alcuni anni dopo un festino finito malissimo, salta fuori una foto compromettente ed è... ricatto! Il film ha certamente un suo appeal, descrivendo gli ambienti psichedelici alto-borghesi di quegli anni, in cui sembravano regnare il vuoto e il malcontento. Un giallo, un film di costume? Tutto striscia, con le ambiguità di un racconto che, anche per questo, si sforza di mettere a fuoco continuamente ciò che di limpido non ha nulla.
Film emblematico di un determinato periodo e contesto, ossessivo e ridondante sia a livello visivo che sonoro, con un'interessante base da thriller che si sfilaccia in una parte centrale lenta e sbilanciata (il personaggio di Capolicchio prende troppo il sopravvento sulle dinamiche del trio) per poi riattivarsi in dirittura d'arrivo con un finale beffardo - e per una volta senza forzature a livello logico - che è in fin dei conti la parte migliore della pellicola. La metropoli deserta - un'insolita Milano estiva - sembra fare il verso all'Eur del finale de L'eclisse.
Dei veri mattacchioni, i piccolo borghesi che organizzano allegre festicciole col morto in una Milano desertificata dalla canicola agostana e dalle colate di cemento: almeno finché, anni dopo, qualcuno non se ne ricorda e comincia a ricattarli... Non esattamente travolgente nel ritmo e nelle soluzioni narrative, anche se pervaso da un sinistro fascino unheimlichiano e dotato di buone soluzioni estetiche (i volumi abitativi in riva al mare; il motivo portante morriconiano), oggi il giallo di Severino vale più una visione da completisti. Finale logico, ma leggermente deludente.
MEMORABILE: All'ombra dei cenotafi; Casa in riva al mare; L'irreale corteo funebre.
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