Perde più di qualcosina per via del mezzo con cui è girato, ma la vicenda zigzaga convinta tra stalking e paranoia salendo sempre di un gradino sulla scala della tensione e piazzando un paio di pennellate all’incrocio appena il ritmo sussura segnali di ingolfamento. L’inverso lo fa Claire Foy, che è sì brava ma più si va avanti e più non riesce a dare la scossa al personaggio: insieme ai riferimenti spesso scentrati a Misery non deve morire sono i due fattori che non fan ululare di piacere. Non male, suvvia.
Girato interamente con un iPhone 7 in dieci giorni e con un budget ridotto; se inizialmente la qualità dell'immagine tradisce inevitabilmente la fonte e risulta straniante, poi ci si abitua, anche a fronte di una tensione crescente da manuale che mantiene da subito alta l'attenzione; il "twist" a meno di metà film cambia le carte in tavola e si scende nello psycho-thriller d'ambiente ospedaliero senza troppa originalità, ma la qualità dei dialoghi e la bravura dei protagonisti fanno soprassedere su quello così come su certi buchi di script.
Soderbergh non sarà un gigante della cinepresa, ma un ottimo artigiano capace di bei colpi sì. Qui, dal soggetto (attuale) alla realizzazione (solo apparentemente poveristica), dall'evoluzione della trama (le venature thriller che scorrono sotto l'epidermide drammatica) al parco attoriale, tutto è di buona fattura. A stonare è solo un finale posticcio, televisivo e del tutto anticlimatico. Una pecca grossolana che, purtroppo, costa da sola mezzo voto.
Soderbergh gira volutamente con pochi mezzi e non si può dire che ne venga fuori un'opera memorabile. Però sfrutta bene la Foy e Leonard e monta un clima angosciante che passa gradualmente dal paradossale al minaccioso. Facendo prima spuntare la classica domanda di cosa sia la vera pazzia, di quanto possa essere indotta ma scegliendo poi di lasciare per strada le implicazioni filosofiche per un gioco più thriller e traumatizzante. Particina anonima per Damon.
Sawyer, per sfuggire a un incubo ben concreto, cambia città e vita, ma il suo equilibrio è già compromesso e a nulla gioverà (anzi) il tentativo di ricorrere alla psicoterapia. Soderbergh si affida alla scommessa tecnica di girare con un Iphone e di concentrarsi sulle dinamiche psicologiche della protagonista per poi virare verso una sorta di inquietante thriller psichiatrico. Scommessa non del tutto riuscita, sia per una certa legnosità del mezzo espressivo, sia per il finale stereotipato, mentre tutto il cast è decisamente di buon livello.
MEMORABILE: Il ricovero coatto; Il riconoscimento; Il compagno di stanza in cura da oppiacei; La madre; La stanza di isolamento.
Girato con un Iphone 7, questo Unsane aveva le carte in regola per diventare un bellissimo thriller/horror ambientato in uno dei luoghi più suggestivi per questo genere di film, ovvero l'ospedale. L'inizio è davvero promettente in quanto la situazione è molto ambigua, non si capisce se la ragazza abbia ragione o se stia andando fuori di testa. Purtroppo Soderbergh svela troppo presto il mistero facendo così crollare la tensione e questo è un vero peccato. Nonostante tutto non è così male, ma l'amaro in bocca resta.
All'inizio, c'è la curiosità per il dato tecnico, trattandosi di un film interamente girato con uno smartphone ma ben presto prevale l'interesse per la trama che parte come indagine su una psiche disturbata in cui i confini fra realtà e paranoia sono difficilmente tracciabili per poi approdare, attraverso una vicenda di stalking, sui binati più consueti del thriller manicomiale. La tensione costante, sostenuta dalla buona prova della protagonista, fa passare in secondo piano forzature ed incongruenze, per cui lo spettacolo risulta coinvolgente, anche se sul finale abbondano gli stereotipi.
Dicotomico come molto cinema di Soderbergh. Da un lato il rivoluzionario (seppur affettato) dinamismo della tecnica (qui l'utilizzo esclusivo dell'Iphone), dall'altro una narrazione francamente inattendibile e nemmeno indennizzata dall'angolazione da incubo parossistico (che si rivelerà uno dei tanti espedienti nei quali il racconto si infila per il gusto di disattendere lo spettatore). Cartina di tornasole del film la respingente protagonista, una Foy la cui spigolosità mai chiama a empatizzare. Più che Il corridoio della paura, spiragli di virtuosismo.
MEMORABILE: La astiosissima Violet di Juno Temple.
Soderbergh compie la sfida di girare un film intero con un iPhone e sorprende, perché al di là di un evidente padroneggiamento del mezzo, che permette al tutto di non risultare né amatoriale né mal girato, è la storia in primis a coinvolgere. Si tratta di un thriller che prende dopo poco, già con il ricovero coatto della protagonista e cresce man mano, anche per la buona performance della Foy. Verso la fine non convince del tutto la virata decisa su situazioni già ampiamente sfruttate in film analoghi, ma il risultato è davvero buono.
Non pesa affatto l’utilizzo del cellulare per il filmato. Al contrario, dona quel quid in più, quel sapore casereccio ma non sciatto. In fondo, forse, è proprio il cellulare il vero protagonista di “Unsane”, e gli usi e abusi che ne conseguono. Ricorda a tratti Misery, ma anche La cura dal benessere: claustrofobico e farcito di personaggi deliranti e borderline. Foy, volutamente o meno che sia, riesce a essere molto respingente e finisce per non conquistare. Qualche forzatura di troppo nella sceneggiatura costringe alla manica stretta. Purtroppo.
Quest'opera è la dimostrazione che si può fare del buon cinema anche utilizzando qualcosa che non sia la macchina da presa. Detto questo la trama vede la protagonista ritrovarsi rinchiusa in una clinica per disturbi comportamentali assieme al proprio stalker. In pratica una sorta di incubo che viviamo spasmodicamente grazie all'ambientazione claustrofobica. Alcune cose stonano un po' (maschi e femmine insieme nello stesso stanzone, la superficialità del personale medico), però ci si passa sopra.
Soderbergh tenta il minimalismo fino in fondo: non solo tecnicamente (il film è girato con uno smartphone), ma purtroppo anche a livello di plot. L'audace sperimentazione per quanto concerne i mezzi non è messa al servizio di una trama all'altezza: canonica e, specie nella seconda parte, degna di un film televisivo. Anche la regia, che alterna fredda staticità a carrellate fluide e trascinanti, è incoerente. Il clima paranoide della prima metà molto ben reso e il film in sé è scorrevole, ma non riesce a emergere per la mediocrità del soggetto.
MEMORABILE: La protagonista incontra il suo stalker e perde il controllo; La foto dell'amico ucciso inviata via chat; La sanguinosa lotta; Il finale à la Misery.
Soderbergh dà vita a un film ben girato che si configura come prodotto sperimentale perché filmato interamente con un iPhone. A parte questa caratteristica, che gioca a favore dell'atmosfera claustrofobica non dando assolutamente alcun respiro alle inquadrature, il resto è piuttosto lacunoso e non privo di difetti, ma si spera che le assurdità della trama possano fungere, nella mente del regista, come critica di un sistema incapace di prevenire situazioni drammatiche nei casi di stalker, visto che al maniaco di turno, qui, tutto è concesso.
Quando si assiste a un film diretto da Steven Soderbergh la prima cosa che si apprezza è la parte tecnica: cosi è anche per Unsane, diretto con inventiva poco comune nel cinema d'oggi. La trama, pur lasciando perplessità in alcuni punti e un'originalità che latita, coinvolge, grazie alla suspense che lievita nella parte finale della storia. Brava la Foy.
I film sui rinchiusi in manicomio contro la propria volontà è terreno frequentato, nondimeno Soderbergh riesce a trarne un ottimo film, grazie anche ad una Foy convincente. Come nell'isola di Scorsese o nel reparto di Carpenter ci si interroga più volte su dove finisca la realtà e comincino le fantasie della protagonista; questa tensione è il motore della pellicola, che non rinuncia a una discreta caratterizzazione dei personaggi di contorno, molti dei quali genuinamente inquietanti. Confezione molto buona, dalla fotografia alle musiche. Funziona tutto, a parte forse il finale.
La moderna tecnologia a quanto pare permette di fare un film con uno smartphone e avere una confezione buona, e ce lo dimostra Soderbergh con questo thriller. La protagonista viene ricoverata in una casa di cura per malati di mente e da subito non si riesce a capire se il problema sia suo o delle istituzioni (tra l'altro c'è anche una critica evidente al sistema sanitario americano basato sulle assicurazioni). Non manca l'intrattenimento e quando le carte vengono scoperte sembra tutto chiaro, anche se il finale ci lascia una sottile perplessità.
Soderbergh, con l'ausilio di un iPhone e di un'ottima sceneggiatura, riesce a realizzare un bel film che riflette su diverse tematiche attuali e non disdegna una critica a certi metodi sanitari e di cura americani poco ortodossi. La protagonista principale è la bravissima Foy, la quale riesce bene a calarsi nei panni di un personaggio che vive nel limbo tra la normalità e la follia; ben assestato anche il resto del cast. Un' esperimento molto ben riuscito, che migliora con il passare del tempo, fino ad arrivare al finale di altissima tensione, che sfocia nell'horror più puro.
Ragazza visitatrice in una casa di cura firma incautamente un modulo e si trova internata contro la sua volontà, dando vita a una escalation di contrasti fino alla coercizione violenta. Nella prima parte è ottimamente trasmesso il senso di costrizione e ribellione della donna. A un certo punto si dubita pure se tutti gli accadimenti non siano invece una visione squilibrata della protagonista. Nella seconda parte la tensione cala fino a trasformarsi in un killer-thriller nella norma. La trovata delle riprese con smartphone pare solo pubblicitaria, non aggiunge né toglie nulla.
Non sempre il male è banale. Talvolta sa essere machiavellico, lambiccato, subdolo e uscirne è un rompicapo. Se finire per vizio di forma in un faldone psichiatrico ha del terribile, figurarsi ritrovarsi tra gli infermieri proprio lo stalker che si credeva pedinato. L'immaginazione non supera la realtà più di quanto questa superi l'immaginazione, e quel diavolo d'un Soderbergh che lo sa bene la setaccia con l'accalappia-realtà per eccellenza: lo smartphone. Sulle prime sgambetta diabolicamente, l'ultima tranche adagiata sulla più ordinaria amministrazione gli costa una palla in meno.
Il film, interamente girato con un iPhone, non risente assolutamente della modestia tecnologica impiegata. Un buon thriller in cui l'interpretazione della protagonista è notevole. Anche se trattasi di un film a basso costo, il risultato finale è molto buono, la sceneggiatura abbastanza credibile e non sono presenti difetti evidenti. Film che, ancora una volta, insegna che per fare un buon lavoro ci vuole innanzi tutto una buona testa! Complimenti a Steven Soderbergh. Tra le apparizioni minori compare Matt Damon...
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DiscussioneRaremirko • 3/09/18 20:22 Call center Davinotti - 3863 interventi
DiscussioneRaremirko • 30/10/21 21:56 Call center Davinotti - 3863 interventi
Soderbergh fa ancora una volta centro, sia dal punto di vista del cinema indipendente, che dal punto di vista della sperimentazione con mezzi alternativi (il film è girato interamente con un cellulare, anche se, di primo acchito, la cosa non si nota moltissimo).
Ottimo cast (c'è pure un Damon non accreditato, e funzionale ed accattivante è pure la ormai lanciatissima Claire Foy), atmosfera misteriosa ed orrorifica (fino alla fine non si capisce se tutto sia oggettivo o partorito, invece, solo dalla mente), buone musiche.
Una sorta di psycho thriller sperimentale, riuscito ed apprezzabile.