Donna francese a Hiroshima per un documentario ha una storia d'amore con aitante architetto giapponese che gliene fa rivivere un'altra, tragica, con un tedesco ai tempi della guerra... Sì, certo, Resnais è un maestro, e il poetico messaggio pacifista, e l'ardita innovazione formale, per non dire del soggetto della Duras, come no. Ma sommessamente, a quasi cinquant'anni di distanza, diciamo che i film di Resnais sono una palla terrificante, e questo non fa eccezione. Pietra miliare dei (pisoloni da) festival.
Dopo un possente ed angosciante inizio di rara durezza e crudezza (in cui si mostrano gli effetti dell'atomica sull'inerme popolazione giapponese) il film prosegue con un tono decisamente più disteso ma non per questo meno intenso e coinvolgente (anche se bisogna ammettere che a volte fa capolino un filino di noia e che c'è anche qualche svolazzo letterario di troppo). In ogni caso ha resistito abbastanza bene al trascorrere del tempo grazie alla sua innegabile bellezza e ad un linguaggio di grande modernità. Si lascia guardare "senza" troppi affanni anche grazie ad una durata non eccessiva.
MEMORABILE: I primi 15-20 minuti che sono, nel loro orrore, semplicemente indimenticabili.
Dominato dal testo della Duras - che rivendica il rapporto paralizzante tra uomo e donna (due diversità attratte e inconciliabili), la spasmodica attesa di un oblio che stordisce e lacera, la tensione dell’eros intenta a congelare l’istante per prorogare un presente spettrale - il film lascia a Resnais l’elaborazione di un linguaggio filmico astrattista che amplifica la dialettica degli opposti fino a configurare uno spazio più mentale che fisico: l’apice è nella sequenza d’avvio. L’intellettualismo diffuso arena la partecipazione emotiva e induce ad una gelida contemplazione delle forme.
Devo armarmi di tutto il mio coraggio nell'ammettere la pochezza intellettuale della mia mente, ma devo anche essere sincero. Questo film a mio avviso è troppo "colto" o usa un linguaggio troppo difficile, credo che lo spettatore medio non lo possa apprezzare per quello che vuole essere, un'opera di alto valore. Penso anche però che un film debba parlare a tutti oppure girare in un circuito molto ristretto. Ricordo quando lo vidi in prima visione, ero appena ragazzo, mi annoiò a morte. L'ho rivisto ora per capire, ma mi sono riannoiato. Scusate.
Preso così com'è, il film potrebbe indisporre gran parte degli spettatori: lentissimo, privo di una vera progressione narrativa, con troppi dialoghi eccessivamente teatrali (o letterari, come si legge in giro, fatto sta che tale dettaglio abbia infastidito pure il sottoscritto). Svariati dettagli rimangono, almeno per chi scrive, nebulosi: necessiterebbe di una guida allegata, anche perché, essendo il film obiettivamente bello e ben fatto (oltre che innovativo), sarebbe gradevole poterne afferrare integralmente il significato. Non per tutti.
L'incipit è folgorante. L'orrore assoluto che si tramuta in trauma infantile. La tragedia bellica come mal d'amore. Il passato della protagonista (un toccante flash-back) dà il la ad una fusione d'entità che designerà un'escalation senza possibilità e necessità di remore. Alla ricerca di una poeticità estrema (per mezzo d'un forse abusato idillio angoscioso), diviene vagamente sfiancante, non tentando neppure di accostare una sostanza alla ottima forma. Fosse terminato nel bar dove la protagonista viene abbordata, ne avrebbe guadagnato.
Viaggia ad altissimi livelli questo straordinario film che, grazie a un soggetto e una sceneggiatura di Duras che già di per sé sono un capolavoro di poesia, racconta la storia d'amore impossibile tra una francese e un giapponese a Hiroshima. Dalle eccezionali sequenze iniziali siamo proiettati in una narrazione lirica in cui l'amore si innesta sul dolore, il sentimento sulla storia, il presente sul passato, giocando con una sottile alchimia delle opposizioni. Intensi dettagli, flashback insinuanti, dialoghi emozionanti: il cinema come elegia.
Il passato da documentarista di Resnais è racchiuso nelle immagini dell’Hiroshima post-atomica e dei suoi abitanti mutilati o deformi, punto d’innesco di un’analisi esistenziale compiuta in pieno smembramento cronologico e scissione spaziale (Giappone e Francia) secondo un continuo sbalzo dialettico tra monologo interiore e dialogo letterario, attimo presente e memoria del passato. Come accadrà in Marienbad, l’opera si accoglie con maggior favore per le sensazioni scaturite dal suo pluralismo tecnico-espressivo che per una reale pregnanza narrativa. Definitorio.
MEMORABILE: La popolazione di Hiroshima dopo lo scoppio della bomba atomica.
Amore impossibile tra un coppia sposata sullo sfondo della ricostruita Hiroshima. "Il tuo nome è Hiroshima"... "e il tuo è Nevers". Le battute finali ci fanno comprendere quale sia il messaggio veicolato dalla splendida sceneggiatura della Duras: noi siamo il nostro passato, è da lì che proveniamo, è con lui che dobbiamo fare i conti ed è impossibile immaginare un futuro che lo neghi, un futuro che releghi nell'oblio ciò che abbiamo vissuto. Resnais segue i due amanti nello loro effusioni con garbo e pudicizia regalando momenti di alta drammaticità.
Una sorta di processo catartico, alla fine del quale scopriamo che non possiamo dimenticarci del nostro passato; il tutto è ripreso sullo sfondo di una città fantasma (Hiroshima), profondamente divisa dal resto del mondo che non condivide con lei la triste storia. La maestria del regista nelle scelte dei dialoghi e delle immagini, nonostante il film sia lento, coinvolge appieno lo spettatore, riuscendo a trasmettergli le forti emozioni che caratterizzano la storia dei due protagonisti.
MEMORABILE: La prima scena, davvero straordinaria.
Il film non presenta un vero impianto narrativo ma si svolge per lo più attraverso i dialoghi tra i due amanti, che si mischiano coi luoghi e con le sensazioni da essi evocati. In ciò si capisce il gusto squisitamente documentario del regista: le immagini sono spesso liriche più che meramente diegetiche; la sceneggiatura corre sul filo della poesia, ma in più di un passaggio la ripetitività del discorso (sui luoghi, sull'amore e sulla guerra) si fa pesante e si perde il filo di quello che la Riva (algida) dice. Ha fatto i suoi tempi.
MEMORABILE: L'incipit con tutto il discorso su Hiroshima.
La passione di una notte tra parallelismi privati e conseguenze belliche. Parte iniziale con montaggio perfetto dove si ripercorrono gli effetti della bomba sulla popolazione e le emozioni dei protagonisti. Con il seguito si approfondisce la storia passata di lei e l’intimismo fa rallentare l’interesse (anche per un certo modus teatrale). Conclusione con rimando al distacco di Casablanca e che ricorda una certa incomunicabilità alla Antonioni.
MEMORABILE: Le immagini del museo; I cartelli dei manifestanti; La Riva davanti allo specchio.
Se davanti all'ineffabile non si può che tacere (e sia: nulla più dell'olocausto atomico lo è), che almeno l'immaginazione si prenda le sue barocche rivalse sull'inconscio della Storia e sugli agitati dormiveglia di Dio. E invece picche: Resnais capitola, abdica, preferisce fare della bomba un paesaggio-passaggio-presagio retrostante più che una categoria dello spirito filmico o una critica della ragione atomica, con l'amor meteco a domandarsi "e se fungo da fungo?". E dire che il primo quarto d'ora fa della bocca trampolino per l'esclamazione "capolavoro!". Per tutto il resto c'è Califano.
Film travolgente, intensissimo. L'incipit para-documentario sulla tragedia atomica a Hiroshima è un capolavoro raggelante che è difficile descrivere con poche parole. Resnais usa lo stesso stile dei suoi primi documentari per trascinarci in un flusso di emozioni interrotto solo dalle due voci fuori campo, che con ritmo lento confermano le nostre angosce, i nostri dubbi, la nostra impossibilità di comprendere. Poi il film si snoda in una storia romantica che ci può colpire pur senza capire tutti i risvolti, tutte le frasi. Bellissimi i flashback francesi che reinterpretano Dreyer.
Attrice francese è a Hiroshima per un film sugli orrori del nucleare. Nel suo presente c'è un architetto giapponese, nel passato una tragica storia d'amore a Nevers. Le due città tendono a perdere la loro realtà fisica per diventare due condizioni della mente, memoria poco attingibile la prima, ricordo sempre presente la seconda. Il cinema diventa lirismo grazie a Resnais e alla sceneggiatura della Duras. Notevole, in apertura, la dicotomia tra morte dei corpi sabbiati dal nucleare (l'orribile passato) e fluidità del sudore, simbolo del presente che continua a scorrere. Epocale.
MEMORABILE: Le dissolvenze incrociate iniziali e il documentario: "Tu non hai visto niente a Hiroshima..."; "Il tuo nome è Nevers".
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DiscussioneDaniela • 2/03/14 17:16 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Si, grande perdita.
avevo rivisto recentemente Cuori e Parole, parole, parole... film "curativi" per come sanno mettere in rima saggezza e leggerezza.
Pensare che il primo impatto col suo cinema, tanti anni fa, con L'anno scorso a Marienbad, non era stato felice: mi era sembrato un film freddo, scostante, aridamente cerebrale.
Poi però me ne ha date di emozioni...
DiscussioneZender • 2/03/14 18:14 Capo scrivano - 48839 interventi
Io invece mi innamorai proprio di Marienbad... Sicuramente un grande.
Anch'io adoro questo film, mi ha proprio rapito..Ti invito a rivederlo Daniela, magari lo rivaluti.
DiscussioneDaniela • 2/03/14 20:36 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Lucius ebbe a dire: Anch'io adoro questo film, mi ha proprio rapito..Ti invito a rivederlo Daniela, magari lo rivaluti.
Accolgo volentieri l'invito, in tutti questi anni non l'ho mai rivisto, nonostante nel frattempo avessi incominciato ad apprezzare il regista ed amato molto alcuni suoi film.