L’esordio nel cinema a colori di Antonioni è da togliere il fiato: grazie anche alla fotografia sensazionale di Carlo di Palma (la spiaggia di Budelli, in Sardegna, così ripresa pare poco meno che l'Eden) il film si apre spesso in scenari incredibili e interni contrastati che colpiscono in un lampo l'immaginazione: anche lo scorcio di un vicolo assume connotati unici, quasi surreali, fornendo l'ambientazione ideale per un racconto che ancora una volta pone al centro l'incomunicabilità, la difficoltà della protagonista (Vitti) a interagire “correttamente” col mondo intorno a lei. Pur non appartenendo alla trilogia riconosciuta sul tema, DESERTO...Leggi tutto ROSSO non se ne allontana poi molto, faticando tuttavia più degli altri a coinvolgere o a farsi intrigante. Non esiste una vera storia quanto piuttosto un collage di situazioni in cui Giuliana si accorge (e più di lei chi la accompagna) di essere costantemente a disagio (celebre la frase con cui si lamenta di sentire dolore dappertutto, a cominciare dai... capelli). Antonioni tuttavia si dimostra palesemente più interessato a scegliere con la consueta abilità le inquadrature, esaltando la natura che nelle scene alla spiaggia esplode in una bellezza tramortente. Complesso il rapporto di Giuliana col figlio come, a dire il vero, quello con tutti i personaggi in scena.
Antonioni perfeziona le sue analisi sulla crisi esistenziale della civiltà borghese, che qui tocca livelli patologici. Contributi decisivi provengono dalla febbrile interpretazione di una Vitti al suo meglio e dal malessere evocato da un’ambientazione astratta, nebbiosa, industriale, fotografata con colori sempre freddi e spenti, che si illuminano soltanto nelle solari immagini della favola raccontata dalla Vitti al figlio. Stranianti suoni elettronici di Gelmetti.
Primo film a colori di Antonioni, elemento importante perchè le tonalità assumono un ruolo guida per esprimere i vari momenti del film, incentrato sulla crisi esistenziale della società borghese. Anche il contesto (una città industriale fotografata quasi come un'entità astratta, metafisica) è fondamentale per la narrazione così come l'elemento elettronico predominante nella colonna sonora. Bella l'interpretazione della Vitti, sideralmente lontana dai toni della commedia per la quale è spesso celebrata. Non per tutti.
Indescrivibilmente sopravvalutato e inesorabilmente datato; a livello personale l'effetto è quello della kriptonite su Superman con conseguente impulso a sciacquarsi gli occhi con Pasolini o Scorsese. Uno dei prodotti che vive unicamente in funzione del culto delle personalità del regista e dell'attrice protagonista.
Questo film non è solo uno specchio della crisi della società borghese dell'epoca, ma anche una geniale previsione futurista di ciò che poi sfocerà nel degrado ambientale causato dall'inquinamento industriale. La scena del bambino su quei terreni fumanti è altamente rappresentativa. Si può ancora definirlo un film pesante, ma Antonioni rimane sempre un grande regista.
Uno dei film di Antonioni invecchiati tanto e male. Le tematiche del suo cinema ci
sono tutte, dall'incomunicabilità alla crisi della società in generale e della coppia
nello specifico. Peccato che siano sviluppati attraverso un narrato noioso che oggi
non intriga e interessa se non in pochi casi. Restano però in mente i cromatismi (è il primo film a colori del maestro) che sono funzionali alla trama e vengono esaltati dallo splendido lavoro alla fotografia di Carlo di Palma.
In una Ravennna funerea ed industrializzata si rappresenta il dramma dell'incomunicabilità della protagonista, un'intensa Vitti che vive tristemente il suo iter depressivo. Provvista di colori accesi, la pellicola mostra dell'eccessiva lentezza in alcuni frangenti ma rimane interessante nella sua interezza.
Mattonata di Antonioni, che si fa apprezzare per la fotografia "inquinata", per la scelta delle location così antropicizzate in senso negativo, ed infine per il contrasto con le immagini girate nella splendida isola di Budelli. Monica Vitti è strepitosa nella sua interpretazione, ma il suo personaggio così travagliato rappresenta il fulcro di una storia che porta con sè paranoie e ansie, suicidio e ricerca di affetto...
I disagi di una donna in un contesto che va sempre più progredendo e che forse non le appartiene. Il film va considerato per le numerose immagini (città, nebbia, natura inquinata...) che fanno riflettere sulla "patologia" della protagonista. La Vitti è super. Sottotono Richard Harris.
"La solitudine, l'incomunicabilità, poi quella cosa, quella che va de moda oggi: l'alienazione". Antonionismo purissimo. Stavolta si aggiunge pure un'ambientazione spoglia e degradata, che però risulta anch'essa un'allegoria della già citate parole chiave del regista. Trama essenziale e in fin dei conti prevedibilissima, condita con dialoghi quasi risibili nel loro voler apparire introspettivi a tutti i costi. In soccorso arrivano inquadrature di gran classe, una stupenda fotografia e la notevole, straniante colonna sonora. Tedio d'autore.
Un film sul disagio, nel quale alcune persone di estrazione borghese vagano senza meta in un mondo in cui un foglio di giornale è già carta straccia il giorno stesso dell’uscita e l’orizzonte non esiste più. Tanto è cambiato da L’avventura e soprattutto tanto è cambiato da quell’inquadratura alle spalle di Monica Vitti, nella quale i nostri occhi si riempivano di mare e di sole. Qui, in un’inquadratura speculare, la Vitti guarda il nulla, la nebbia, il fumo, le navi. Non c’è il sole, non c’è orizzonte, non c’è futuro.
Grande film, il primo a colori per Antonioni, suggestivo nelle sue atmosfere quasi post atomiche di una Ravenna industriale e disumana e quasi fuori dal tempo (grande lavoro di fotografia da parte di Carlo Di Palma!), vive del volto ricco di sfumature di Monica Vitti, intenso come forse mai più lo sarà. Un film sulla depressione di una persona ma anche di tutta una società, un profondo lavoro estremamente filantropo da parte del regista che rende bello l'austero, step secondo me spesso banalmente scambiato per autoreferenzialità.
MEMORABILE: Monica Vitti che esclama "Mi fanno male i capelli".
Visivamente si assiste a un prodigio di tecnica (clamorosa la fotografia di Carlo Di Palma), con una Ravenna industrializzata che mette i brividi e fa riflettere sulle ripercussioni ambientali dell'inquinamento. La sceneggiatura si perde in pretestuosi dialoghi semi-filosofici, ma ha il gran merito di cogliere la crisi del ruolo della donna dovuto alla modernizzazione (la famiglia sta incominciando a non essere di tipo patriarcale). La Vitti è il ritratto di una generazione tormentata che è spaesata dinanzi alle novità, in cerca del proprio destino. Pesante nel ritmo e nella narrazione, ma indiscutibilmente interessantissimo.
Parallelismo tra l’ipocondria depressiva umana e gli effetti locali di una industrializzazione che semina petrolio e inquinamento. Tutto basato sui dialoghi, sovente risulta faticoso per l’irrealtà di una confidenza troppo intima tra i protagonisti, dove la Vitti funziona a tratti mentre Harris è privo di emozioni. Fotografia a pastello che disegna come un dipinto a olio, di impatto specie all’inizio, con varie inquadrature post-industriali efficaci più di qualsiasi ragionamento politico o produttivo.
Ci si chiede a che serva un film a colori, premio alla fotografia per la sperimentazione, quando il film è girato in modo tale da far sentire il desiderio, che si fa sempre più prepotente col passare (lentissimo) del tempo, del bianco e nero. Grigio negli ambienti, nella sofferenza mentale della protagonista e nel vuoto degli altri personaggi, nelle aree industriali che mal fagocitano una natura brutta, vecchia e malata, "Deserto rosso" è tutto qui. Soporifero anche se visto con una scorta di caffè. Grande Monica Vitti.
Ad una recente visione, non posso dire di averlo trovato invecchiato, perché mi sembrò vecchio già la prima volta che lo vidi: un film deprimente sulla depressione, con personaggi inconsistenti e/o forzati, dialoghi sotto vuoto spinto che lambiscono più volte l'umorismo involontario ("Mi fanno male i capelli", "Vorrei tutti quelli che amo qui attorno a me"), un irritante compiacimento della propria raffinatezza formale, certo innegabile grazie ai cromatismi di De Palma che giustificano da soli la visione, ma quasi sprecata per un film così drammaticamente noioso.
MEMORABILE: Il carretto tutto grigio (omino, legno, cesti, contenitori e contenuto), con la protagonista che fa macchia di colore con cappotto e capelli rossi
Antonioni gioca con i colori in questa splendida rappresentazione schietta e sincera di una donna alle prese con diversi problemi psicologici. Difatti è la Vitti a brillare per tutto il film in una performance davvero eccezionale, che ha la sintesi nel suo sguardo perso nel vuoto di un'esistenza afflitta da un malessere. Le scenografie hanno il loro fascino principalmente nella variazione del colore, che cambia come l'umore della protagonista. Un racconto di una Italia industriale, tra nebbia e navi, che non si può dimenticare.
Micidiale opera d’un Maestro che ripete sé stesso, crea un tedio forse ineguagliabile, obbliga i personaggi a dialoghi spesso irreali o surreali, ricevendo (sia di conseguenza, sia per scarsa professionalità di base) recitazione mediocri, talora imbarazzanti, Monica Vitti compresa. Si dà ragione a Bruno Cortona. Impeccabile la stroncatura di Rondolino: “cristallizzazione degli elementi più vitali e originali delle opere precedenti” che produce “un manierismo (…) che mina alla base il valore del discorso poetico”. Difatti è nato male, non male invecchiato. Clamoroso fiasco di incassi.
Ultimo capitolo della cosiddetta tetralogia dell'incomunicabilità e primo film a colori di Antonioni, Il Deserto Rosso si regge quasi interamente sulla performance straniata e straniante della musa Monica Vitti, calata in un contesto post-industriale freddo e astratto, a cui fanno da contrasto sparute visioni naturalistiche (la spiaggia di Budelli). Le due ore di visione mettono a dura prova lo spettatore in un intreccio confuso e faticoso da seguire. La parola "fine" che appare sullo sfondo della fabbrica, con la Vitti che ci esce di campo, è un momento di grande liberazione.
Il primo film a colori di Michelangelo Antonioni è uno spettacolo per gli occhi, specie l'inserto in terra sarda. Un po' meno lo è per la mente. Film sulla crisi della borghesia ce ne sono tanti, qui il volto di questa borghesia è quello di Monica Vitti, che dimostra di saperci fare molto più nelle parti drammatiche. Ma non è che si aggiunga tantissimo sul tema, anche perché la storia sembra quasi incompleta, o non riuscire a chiudersi. Il ritmo è come sempre molto lento. Ci sono parti interessanti, ma rispetto ad altri film del periodo sembra mancare qualcosa.
Molto probabilmente il capolavoro di Antonioni. Aiutato da Carlo di Palma, il regista firma il suo primo film a colori con uno studio mai così attento nel suo cinema precedente e anteriore alla psicologia della protagonista, una superba Monica Vitti. Il crollo delle psicologie dei protagonisti si sviluppa in maniera catartica e Antonioni supportato da un ottimo Tonino Guerra alla sceneggiatura, confeziona un quadro senza speranza della vita e del suo prolungamento nella classe borghese. Indimenticabile il finale, in un porto con la Vitti inabile a spiccicare parola.
Una donna totalmente incapace di vivere la realtà di tutti, esprime il suo disagio interiore come il risultato di una scissione fra sé e il resto di sé. Sembrerebbe (e infatti lo è) il quadro di una schizofrenia proiettato in un mondo che in quel periodo, nell’Italia del nord, spinge il suo sviluppo verso nuove forme tecnologiche a discapito della natura. La Vitti sembra ce la metta tutta, per aderire al personaggio quando la narrazione del film spesso pare girare a vuoto. La sperimentazione fotografica non basta a riempirlo.
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Esiste una discrepanza in merito al titolo: il film è generalmente conosciuto come Deserto rosso, e così è in effetti indicato sulla locandina originale e sul Dizionario dei film Morandini, mentre il titolo corretto dovrebbe essere Il deserto rosso, come indicato nei titoli di testa e riportato dal Dizionario dei film Mereghetti e dall'Internet Movie Database.
Vi consiglio di recuperare il dvd della criterion collection contenente la versione restaurata presentata a Venezia qualche anno fa..spettacolare..è un po' caro (si trova a 40 euro su ebay) ma ne vale la pena