Alberto Cavallone è stato uno dei più oltraggiosi esponenti del cinema surrealista italiano (di derivazione batailliana), capace di film unici: quasi sempre slegati, disomogenei, apparentemente improvvisati invece pensati, come questo BLUE MOVIE. La trama è minimale: c'è un fotografo scorbutico (Maran) che, stufo di dover celebrare con la sua macchina la bellezza femminile, comincia a fotografare lattine, pacchi di sigarette e altri oggetti inanimati. Vive in una casa studio dove ospita una ragazza (Funari) reduce da uno stupro nei boschi, una segretaria (Simonetti) totalmente asservitagli che però se la fa con un nero (Dickson) di passaggio e una modella (Dugas)...Leggi tutto la quale, stanca del proprio viso inespressivo, si lascia trattare come un oggetto per acquistare un’identità. Praticamente tutta l'azione (salvo qualche flashback nel bosco) si svolge all'interno dell'appartamento/studio, dove capita di tutto: gli occupanti girano quasi sempre nudi, si inseguono, guardano alienati il vuoto, sparano frasi enigmatiche, non si rispondono, fanno del sesso in un turbinio di sensazioni che comprendono anche lo schifo: per le ripetute vomitate, il cospargersi di feci il corpo, l’urinare nelle lattine... Cavallone non si ferma davanti a nulla: vuole offendere la morale borghese con un prodotto intelligente e in parte ci riesce. Perché, nonostante l'approssimazione di fotografia e sonoro, BLUE MOVIE sa far riflettere (chi non si scandalizza o non si annoia), riesce a tratti a coinvolgere grazie alla qualità indubbia (anche se rozza) delle immagini. Non è un film che si può raccontare: va vissuto. Poi può piacere o irritare, certamente, o più semplicemente disgustare per la apparentemente vuota pretenziosità. L'uso esclusivo di musica classica per la colonna sonora aggiunge qualcosa di ulteriormente insolito.
Eros e Thanatos e sospensioni tra realtà e allucinazione, questa volta in un clima più squallido, degradato e malsano rispetto a Spell e con qualche accenno hard. Molti i temi trattati, anche in chiave simbolica: il potere annientatore della macchina fotografica - i cui scatti sono paragonati a colpi di pistola -, la "scatologia" (con riferimenti a Salò e al precedente Spell), l'anti-consumismo, la violenza, gli orrori della guerra. Il tutto, nell'inconfondibile stile di Cavallone.
Il film piu estremo del regista piu estremo. La summa, probabilmente, dell'opera cavalloniana, sia a livello tematico che formale, ma anche per le vicissitudini produttive. Cavallone, da sempre abituato abituato a districarsi tra mille difficoltà, qui realizza un film da zero in due settimane. Disturbante.
Masterpiece estremo di Cavallone. È un attacco feroce al culto dell'immagine e della bellezza dell'epoca moderna e considerando che è del '78, Cavallone ha dimostrato di prevedere il futuro decisamente bene. Caratterizzato da una fotografia rozza e sporca, il film inanella una serie di brutalità visive e di umiliazioni varie, con un montaggio volutamente caotico e disorganico. Autodistruttivo e nichilista, senza speranza e disturbante, spesso al limite dell'hard ma per niente piacevole. Cult.
Considerato il tempo di realizzazione e le condizioni (di precarietà economica) durante il quale è stato realizzato, bisogna ammettere che Cavallone, a suo modo, ha espresso un bell'ingegno. Ma quello che mette in imbarazzo è la sgradevole impostazione, anti-erotica, anti-femminista, anti-tutto. Pare più un grido di rabbia (mista al dolore ed agli escrementi, anche - e soprattutto - umani) che un'opera d'intrattenimento. Anzi: più che lambire il gusto dello spettatore, Cavallone sembra volere sferrare pugni allo stomaco, e magari un ceffòne alla Società dell'immagine e dei consumi.
Film di difficile collocazione che va inserito, per poterlo comprendere meglio, nel contesto in cui nasce. Cavallone cerca la provocazione continua ma non sempre riesce a centrare il bersaglio. All'epoca poteva forse scandalizzare (nonostante alcune cose già non fossero particolarmente originali), mentre oggi lascia un po' indifferenti e le provocazioni di cui il film è disseminato spesso cadono nel vuoto. A tratti interessante, ma certamente non per tutti i gusti.
Inopinatamente proiettato ai tempi nelle neonate sale a luci rosse, il filmetto è il solito pasticcio erotico-intellettual-metafisico cavalloniano, tanto ambizioso quanto fallimentare. Rubacchiando dall'immaginario trasgressivo di quegli anni, Cavallone confeziona una ridicola parata di sedicenti provocazioni "surrealiste" mostrando ancora una volta tutti i suoi pesanti limiti. Se il budget era all'osso le idee erano alla frutta. Siamo davvero sicuri che con più soldi avrebbe fatto di meglio?
MEMORABILE: Le colorite "grida di dolore" lanciate dalle vittime di una pubblicità crudelmente truffaldina nel buio del "Diamante" di Milano (autunno 1978).
Un'opera surrealista senza dubbio, ma non è sufficente per essere guardata con interesse e ricordata, per quanto disturbante. L'incoscio libero è un tema che poteva anche starci, in particolare 30 anni or sono, quando l'influenza di una certa sociopolitica debordava ovunque. La pellicola non mi ha detto nulla, forse perché non pratico filosofie estreme o forse perché ritengo disarmante unire immagini di morte vera con una donna che si copre di escrementi. Certo avrà un significato e può anche essere un manifesto di opinione, ma non il mio.
Ricordo le locandine quand'ero ragazzo... Il film è brutto, povertà di mezzi o meno. Cavallone si prende troppo sul serio ma l'attacco alla società dell'immagine e ai suoi feticci è dilettantesco, pressapochista e velleitario. A confronto Spell sembra Cassavettes
Di buon livello, ma non il migliore di Cavallone. Protagonista visionario e borderline. A volte non si distingue il reale dall'immaginario. Sbagliato però insistere sugli escrementi come strumento sadomaso... qui vengono addirittura spalmati sul corpo come una pomata, al punto da far stonare il film, anche se sappiamo di trovarci davanti a un regista che usa i mezzi estremi come biglietto da visita.
Solito filmaccio visionario, cervellotico del non eccezionale regista Alberto Cavallone. Francamente non capirò mai dove sta la bellezza che alcuni critici hanno saputo scorgere in questa opera; per me si tratta di un film alquanto scadente che sa davvero di povero e squallido. Un pallino.
Un fotografo perverso e scioccato dalla sua esperienza in territori di guerra riversa le sue perversioni sulle povere malcapitate di turno. Solo visionando la versione integrale probabilmente si può comprendere fino in fondo il senso di una pellicola statica ma fascinosca come questa, sessuale ma non pornografica come facilmente bollata da molti e apprezzarne le inquadrature e il fascino che le stesse emanano. I dialoghi sono poveri, il film risulta anarchico (nel senso migliore del termine) e perverso, fascinosi i personaggi di contorno.
Al di là della confezione misera e della necessità di prolungare le scene al limite della noia per guadagnare metraggio, va detto che le idee di Cavallone tengono, che in quel suo mix di nichilismo, rapporti di forza e critica sociale che si esplica nelle azioni e non-azioni dei protagonisti sussiste un filo logico da apprezzare. Messa in scena approssimata ma con più sostanza di tanti altri autori a lui contemporanei. Poco convincente la Funari e scadente il doppiaggio delle voci.
Rispecchia, fatto salvo il concluso capolavoro di Spell, quel carattere di frammentarietà connaturato e in qualche modo necessario al cinema di Cavallone. Blue movie procede così per intuizioni squarcianti (le "prigioniere" della casa che si rivelano dominatrici proustiane) seguite da soporifere catatonicità, alternando nichilistico propellente cinematografico e surrealismo a buon mercato. A salvarlo comunque dalla mediocrità è una natura perturbante che ne pervade anche le tante debolezze. Notazione al merito per la non conforme bellezza del cast.
MEMORABILE: Entrambe le scene hard: di nessuna gratuità e particolarmente centrate.
La storia dell’occhio baudrillardiano secondo un Cavallone che fa giocoleria coi tomi di Benjamin, De Sade e le pizze di Pasolini, Makavejev e Wharol. Il velleitario nihil psychotronico di chi si diverte a fare di ombelicalità virtù non regge un rimorchio di tale portata, trainato da acting mingherlini e una philosophiction bancarellara tutta ripiego e didascalia, e l’equazione satirica tra società dell’immagine e feticismo delle merci (e del corpo come merce) esce del tutto sballata. Resta tuttavia un simpatico rappresentante di quel cinema che gioca all'allegro chirurgo con la simbolica.
Un film scioccante e per certi versi autoriale ma probabilmente poco compreso. Fotografo di guerra sfoga i suoi tormenti su giovani malcapitate e scatole vuote, alcune riempite di sterco umano. Sottomissione, potere visuale della fotografia, sesso esplicito: c'è un po' di tutto in questa pellicola difficilmente collocabile in cui ci si ritrova tra realtà e immaginario di menti perverse con alcune scene veramente dure. La parola fine arriva come liberazione da un incubo totale.
Vero e proprio delirio cavalloniano, un mix non proprio riuscito di scene violente, sesso (per l'epoca abbastanza spinto) e pseuso-critica sociale. Ne viene fuori un prodotto visionario davvero mediocre e noiosissimo (anche se permeato di una notevole atmosfera malsana). Non parliamo poi delle pessime recitazioni (semi-amatoriali), di alcune scene (involontariamente) ridicole e dello squallore che domina la scena in più occasioni. Si fatica non poco per trattenere gli sbadigli!
Girato e montato in quindici giorni, con zero lire e un cast attoriale ridotto all'osso: l'estro di Cavallone, il meno imbrigliabile dei nostri registi, è anche questo. Più un manifesto artistico di virulento (e a volte autocompiaciuto) nichilismo che un film vero e proprio: a guardarlo oggi lo si scopre inevitabilmente invecchiato, nel linguaggio e nel metatesto, ma - buchi logici a parte - rimane una visione interessante, specie se inquadrata nel suo tempo. La misteriosa Danielle Dugas è di gran lunga la sua protagonista più bella.
MEMORABILE: Lo stupro contrappuntato da Offenbach.
Forse inferiore a Spell, almeno dal punto di vista formale, ma assai più inquietante. Qui la sgangheratezza (recitazione, montaggio) e la povertà di mezzi congiurano allo sperimentalismo; temi come la guerra, la sopraffazione dei corpi e la mercificazione vengono declinati con modi rozzi e, però, di sottile ambiguità (complici le musiche classiche per organo, anch'esse fortemente stranianti). Gli inserti del conflitto vietnamita o le scene di nudo divengono, quindi, i versanti di una medesima polemica anticapitalista. Da recuperare.
Abbastanza perverso e disturbante. Ritmo lento, ricco di scene di nudo ai limiti dell'hard. Il montaggio cerca di dissuadere lo spettatore dal collocare tutti i pezzi del puzzle facilmente rendendo non facile ricomporre i retroscena dei personaggi e capire cosa sia realtà e cosa fantasia. La stranezza del tutto rende molte scene oniriche, alternate ad altre individuali, insolite e inquietanti. Il finale è un plot twist mentale, lasciandoci a chiederci solo in quale follia siamo stati coinvolti, cosa significhi tutto ciò che è accaduto prima.
Con molte citazioni d'autore (l'Antonioni di Blow Up, il Pasolini di Salò, Warhol, Makavejev) e alcuni riferimenti a Spell, Cavallone fa emergere, in una foresta di simboli, giochi di specchi e rimandi, la visione nichilista di un mondo da incubo in cui non c'è un tertium tra i ruoli intercambiabili di padrone/carnefice e di oggetto senziente. Malgrado la denuncia della mercificazione non fosse certo un tema nuovo, lo svolgimento, pur fumoso, è originale e destabilizzante, non tanto per le scene forti, quanto per il montaggio e l'uso della musica classica arditi e non convenzionali.
MEMORABILE: Le lattine; Claudio a Leda: "Assomigli al culo di quella bambola"; Le comiche alternate a scene di stupro; La degradazione di Daniela.
Ancora sogno, sesso e morte per Cavallone; ma anche (e soprattutto) critica ideologica, al consumismo e al corpo che diventa oggetto. Nel complesso però, rispetto sicuramente al predecessore, il film pare soffrire di una certa ridondanza e di una gratuità pornografica che toglie alla potenza visionaria caratteristica del regista, qui espressa in misura minore a causa anche del budget ridotto. Un film spietato e squallido, la quale forma imperfetta è parte del messaggio che veicola.
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Discussione interessantissima, grazie a tutti per le delucidazioni e le preziose informazioni, resterò sintonizzato. @ Deepred89: sei sicuro che la scena del ramo non ci sia nella Shendene? Io ricordo ci sia, poi non so fino a che punto nel Super8 si spinga, nella versione Shendene veniva fatta più intuire col montaggio che altro.
Purtroppo sono dovuto ripartire subito e non sono riuscito a ricontrollare nulla. Nel super8 si vede una scena dove l'attrice viene praticamente impalata al ramo, il tutto in modo parecchio dettagliato. Se non erro la Shendene mostra solo l'inizio della scena. Riguardo alla sequenza assente nel super8, mi pare mostrasse la Simonetti che entra in bagno, roba di poco conto comunque.
X Herrkinski, si ti interessa la versione "lunga" del film fatti dare la mail da Zender che te la invio.
HomevideoXtron • 17/07/14 18:01 Servizio caffè - 2233 interventi
Ecco il dvd Cecchi Gori/Rarovideo/Mustang
Audio italiano
Sottotitoli in inglese
Formato video 4/3 1.33:1
Durata 1h20m45s
Extra 6 scene tagliate (Inizio alternativo, giochi di luce, violenza nel bosco, le briciole, scambio interrazziale, pioggia dorata), Nocturno presenta Blue Extreme
Lucius ebbe a dire: Un onore che il raro super8, da me reperito, come anticipavo, sia finito tra gli extra del dvd. Potevano mettercelo tutto, come fanno le labels straniere.