Un impiegato comunale si occupa di dare degna sepoltura a chi nessuno rimpiange e svolge il proprio lavoro con diligenza e cuore; ma le esigenze di mercato impongono un ridimensionamento del personale e qui nasce per lui una svolta. Un film sull'importanza della memoria dei nostri morti, una riflessione su quanto anche un semplice ricordo possa riportare la vita stessa a una dimensione non solo materiale: il tutto raccontato e descritto ineccepibilmente con grande disposizione poetica.
Diretto da Uberto Pasolini, un film intriso di una poetica più nordica che italiana, costruito con inquadrature precise, studiate, misurate sul passo di un Eddie Marsan meticoloso e posato. Il personaggio che ne risulta è un solitario investito di un'umanità ai limiti del commovente e i colori del film, che via via si faranno più vivi, sono il ritratto perfetto della nascita di un sorriso. Sul volto del protagonista come su quello dello spettatore, al termine della visione.
Insolito, notevole film, praticamente una rilettura su celluloide (con qualche spiraglio di luce in più) di Eleanor Rigby dei Beatles (siamo pure in Inghilterra), con regia pacata ed equilibrata, sceneggiatura profonda e ricca di finezze e protagonista perfettamente in parte (per movenze e sguardo, una versione angelica di Lawrence R. Harvey alias Martin Lomax). Lo schema appare chiaro fin da subito, ma i discorsi sulla solitudine e sulla morte colpiscono nel profondo, così come il finale metafisico e ricco di speranza. Molto bello.
Film perfettamente inserito in quel filone del cinema europeo da festival fatto di storie apparentemente semplici ma che sanno parlare di solitudini estreme e sentimenti complicati. Un film perfetto dove la regia minimale e il montaggio lento fatto di routine e di soffusi cambiamenti di luce sembra inseguire il ritmo delle vite dimenticate che ricostruisce il bravissimo protagonista, solitario e dedito detective dell'anima in un poliziesco al contrario. Finale da brividi, scenografie geniali, montaggio millimetrico, grandissimo film.
Delicato e profondo, un film che scava dentro e lascia qualcosa di grande: è troppo umano e splendidamente inattuale, necessario. Pietas classica, sentimento foscoliano: l'eredità d'affetti è qualcosa per cui oggi sembra non esserci posto. Ma la calma tenacia di John May dice, semplicemente, che non può essere così. Regia asciutta, rigorosa; protagonista che lavora di cesello, straordinario nella sua "non recitazione". Ritmo avvolgente, con tante scene e inquadrature apparentemente semplici e preziose.
Ingredienti per la truffa del secolo: prendere un argomento tabù (il rapporto con la morte), una spruzzatina di analisi sociale dozzinale, qualche personaggio che più stereotipato non si può (che noia il protagonista metodico e all'apparenza freddo!) e innaffiare il tutto con musiche tristi e una regia pacata. Il risultato sarà un film stucchevole, banale e addirittura disonesto nel suo voler sembrare profondo attaccandosi a un buonismo e una retorica degni della peggior fiction di prima serata.
MEMORABILE: La ciliegina sulla torta non può che essere il finale, dove prima siamo tutti tristi e poi "vissero tutti felici e contenti". Ridicolo.
La struggente storia di un uomo che lavora a contatto coi morti deceduti nella più totale solitudine, senza nessuno accanto che li potesse - o volesse - piangere e che a sua volta si ritrova a vivere una vita monotona e commovente, tenuta in piedi dalla routine e da una visione splendidamente romantica della morte: il ricordo riporta in vita chi non c'è più e Marsan (eccellente prova) si occupa di mantenerne appunto vivo lo spirito con meticolosità e cuore. Travolgente, un vortice di emozioni che colpisce nell'animo fino al poeticissimo finale.
John May sa cosa è la solitudine; la sua è una solitudine rigorosa, metodica... a fargli compagnia solo le foto di tutti coloro che sono morti in solitudine, dimenticati, cui lui ha dato degna sepoltura, unica presenza a perfetti funerali. È il suo lavoro, era il suo lavoro. Uberto Pasolini ci mette dinanzi alla morte in modo brutale e poetico, non lascia scampo allo spettatore ma non usa immagini crude o scene di disperazione, lo fa mostrando gli ultimi segni terreni lasciati: calze stese, impronte delle dita nella crema per la pelle, cuscini ammaccati...
Un impiegato comunale si occupa delle persone che muoiono in solitudine: cerca di rintracciarne parenti ed amici, ne cura le esequie, ne conserva il ricordo. Licenziato come "ramo secco" improduttivo, affronta con particolare scrupolo l'ultimo caso... Bellissimo film, minimalista nella forma per quanto curata in ogni dettaglio, massimalista nei contenuti e nell'impatto emotivo, in quanto riesce a colpire al cuore con l'arma di una semplicità che non diventa mai sentimentalismo retorico. Splendido Marsan, difficile non commuoversi nel finale.
MEMORABILE: l'album delle vecchie fotografie; il volto di Marsan che si increspa per la prima volta in un sorriso
Viaggio profondo e introspettivo nel quotidiano di un uomo solo, estremamente ligio e metodico nel quale il proprio lavoro convive con l’ideale di rispetto e dei sentimenti nel donare l’ultimo saluto, l’ultimo momento di “compagnia” a chi per anni non l’ha più potuto riassaporare. Gesti di sconfinata umanità, un modo per ricostruire il passato di una persona per onorare, nel bene e nel male, ciò che fu. La regia di Pasolini gronda minimalismo poetico e la prova di sottrazione di Marsan urla autenticità da ogni sguardo. Semplicemente bellissimo.
MEMORABILE: La lettera della gatta…; Lo struggente finale.
Percorso riflessivo su un tema affrontato nel suo intento rituale. Anche ai defunti, soli o indegni che siano, avere un ultimo saluto da chi ha condiviso il percorso dà importanza alla vita per chi rimane, intervenendo nella religione solo per il modo. Una fotografia sui grigi come un vecchio sceneggiato dà contorno alla maschera da bravo impiegato di Marsan. Finale che racchiude perfettamente il discorso, a dare il messaggio in un rispettoso silenzio.
Adottando uno stile minimalista sia nella forma che nei contenuti, Uberto Pasolini dirige un film che rimane impresso nella memoria. Figura apparentemente minore, il protagonista di Still Life giganteggia per la sua statura morale e senso civico, diventando quasi un entomologo dell’umanità più emarginata alla quale si sforza di dare almeno un finale di vita decoroso. In questo senso il titolo è un’importante dichiarazione di intenti. Bellissima la fotografia e immensa la prova di Eddie Marsan. Finale memorabile. Da non perdere.
Film di stampo decisamente classico: scritto in punta di penna e diretto con grande sobrietà. Il "disegno" è chiaro sin dall'inizio e la fine arriva non certo a sorpresa. Però sa aprire il cuore alle emozioni e lo fa in più occasioni. Il "messaggio" (parola orribile, lo so) è molto importante, ma tutto sembra un po' troppo programmatico (si veda l'episodio finale) e un po' "insincero". Bravissimo Marsan.
Una narrazione rarefatta scandita da musiche appropriate che vede il protagonista, un desueto e maniacale impiegato comunale, alle prese con situazioni tragiche e al tempo stesso originali. Grande poesia e senso di rivalsa in un finale sorprendentemente toccante e poetico che arriva proprio lì... in fondo al cuore.
Una di quelle "piccole" storie che fanno bene, rigenerando chi ama il cinema "che dice" oltre al cinema "che mostra". Il bravo Pasolini ci accompagna in punta di piedi all'interno dell'ordinaria (e ordinata) vita di un uomo ordinato che nel suo piccolo fa qualcosa di straordinario regalando dignità ai dimenticati. Straordinario il protagonista.
Pasolini coniuga l'invisibile pulizia stilistica, talora fin troppo asettica, che siam soliti riconoscere al cinema d'oltre manica, a una vena poetica d'una purezza che si vorrebbe desiderare d'onomastica ereditarietà. Ne vien fuori un inusitato gioiello umanistico, il cui merito principale è quello di trasfigurare i segni della "crisi" occidentale (perdita del lavoro, solitudine, anaffettività) in una fiaba etica che affida le proprie reminiscenze jamesiane (e truffautiane) al volto pudicamente inconsolabile di Eddie Marsan. Di commovente semplicità.
Delicatissima opera seconda di Uberto Pasolini. Partendo da un'idea originale (storia di un impiegato comunale che si occupa di funerale e sepoltura alle persone morte in solitudine), il film è un crescendo di emozioni. Lo stile minimale del regista accompagnato da una notevole colonna sonora sono la giusta confezione per un film davvero memorabile. La sequenza in cui il protagonista sfoglia l'album dei suoi "clienti" scomparsi è da annali. Commovente.
Si muore sempre soli, dicono quelli bravi, ma certe morti sono più solitarie delle altre: delicata favola moderna di Pasolini che ci racconta la vita di un piccolo impiegato comunale incaricato proprio di rendere meno isolata l'uscita di scena dei "dimenticati". Film costruito con minimalista semplicità che mette in risalto il bisogno di umanità e di calore che nutrono la vita delle persone, per quando si provino a ricoprire di strati sempre più spessi di economie e profitti. Marsan alla prova della carriera. Commovente ma al tempo stesso leggero.
Un film che emoziona a modo suo e che permette a Eddie Marsan di costruire un one man show basato però sui toni sommessi, splendidamente fotografati dal salernitano Falivene. Metodico e diligente nelle sue azioni, il suo John May riesce a entrare piano piano nei nostri cuori, a sviluppare una stralunata empatia modello Albanese e a lasciarci in modo struggente. Pasolini filma il tutto con rigore e all'insegna del "less is more", trova la giusta partitura musicale e confeziona un prodotto che merita le lodi raccolte.
Siamo o no ciò che ci manca? L'assenza fonda una rinnovata presenza, è il Fantasma il regista di un'opera chiamata vita. Ricamata di funerali disertati, monadi respingentesi come poli di egual segno, in un mondo inteso come cella di isolamento entro la quale un sublime Marsan, esattore della vita, ufficiale giudiziario dell'altrui oblio/indifferenza, detective delle altrui memorie e genealogie, cerca di fondare un senso ultimo all'irriducibile unicità individuale di tutti, riscoprendo la propria. Film subatomico, fatto con un quasi niente che si fa atavico prisma cosmico, scavandoci nell'imo.
Con le sue sequenze asettiche e minimaliste, assolutamente adatte al tema della morte dei pressoché ignoti e relative pratiche burocratiche, è un film che contrappone due realtà, quella dell'impiegato interpretato da un Eddie Marsan perfetto nelle posture e negli sguardi e il mondo indifferente che lo circonda. Per fotografia e stile generale mi è venuto spontaneo il paragone con il "piccione" anderssoniano, anche se mentre là il collage era dato dagli episodi, qui lo è nella ricostruzione di vite annodate e perse. Bello e (molto) particolare.
Modesto rimaneggiamento delle tematiche del "Bartleby" di Melville. La parabola dell'ometto solitario e metodico che cerca di ridonare contorni alle estreme solitudini altrui è svolta senza mai rischiare nulla, al limite della più leccata ruffianeria. Invano si cercherà la tragedia, o il grottesco più alto che sorge dal rimirare la finitezza del corso umano: Pasolini alliscia il pelo dello spettatore dal primo all'ultimo minuto, a partire dalle musiche midcult sin ai personaggi-santino enfi di patetismo. Irritante, altro che strappacore.
Una vita apparentemente banale di un impiegato insignificante addetto alla gestione dei decessi per conto del comune. Un film sulle piccole cose e sui buoni sentimenti e, quindi, una pellicola sul senso della vita girato con maestria che non concede nulla al superfluo. Per 87 minuti si rimane incollati alle immagini e alla narrazione che si svolge senza colpi di scena eclatanti. Un protagonista (Eddie Marsan) indimenticabile e un finale inaspettato. Da vedere.
MEMORABILE: I sopralluoghi presso le abitazioni dei defunti.
Straordinario film sulla dignità della morte e della vita. La storia è semplice, non ha bisogno di colpi di scena (se non forse nel finale) per emozionare e far pensare. Magistrale l'interpretazione del protagonista, un pacatissimo Poirot che indaga sul più diffuso crimine del nostro tempo, la solitudine. La regia misurata, l'ironia latente e la perfetta gestione dei tempi fanno il resto. Un gioiellino.
L’impiegato comunale che cerca i parenti di chi è morto in solitudine è un personaggio straordinario, oltretutto impersonato e filmato con eccezionale efficacia. C’è dentro non solo l’alienazione contemporanea che ci porta a essere soli, ma anche una riflessione sui nostri tempi, sulla morte e l’eredità umana, sulla sepoltura come foscoliano atto d’amore e memoria. Un uomo spinto da rara pietas, egli stesso naufrago in una vita marginale il cui album di famiglia sono altri defunti. Film di intenso Umanesimo e commozione profonda.
Con metodica e incrollabile lentezza John May (uno straordinario Marsan) cerca di donare alle persone morte in solitudine il conforto postumo dei radi parenti disposti a serbarne il ricordo. Il suo ultimo caso, condotto in autonomia dopo il licenziamento, gli farà conoscere Kelly (Froggatt) e, con lei, la speranza del riscatto definitivo di un'esistenza schiva e isolata... Minimale ode ai marginalia che, sebbene a tratti sembri gestita con squadra e compasso, non può non indurre lo spettatore ad indulgere in dolorose, catartiche riflessioni emozionali: qual è il senso della vita?
MEMORABILE: Disteso all'ombra degli alberi; Primo e ultimo sorriso.
Film piccolo e delicato che riesce a far breccia nel cuore dello spettatore. Il protagonista, per mestiere, cerca di rintracciare parenti di persone defunte e quando non li trova presenzia personalmente alle esequie, per rendere un po' meno triste la cerimonia. Splendida l'interpretazione di Eddie Marsan, comunque ben affiancato dal resto del cast e giusta la scelta registica di rimanere sempre in disparte, limitandosi a seguire le azioni dei vari personaggi. Belle le musiche, che ben si adattano alle immagini e riuscito anche il finale.
Un introverso impiegato comunale ha il compito di trovare i parenti e amici di coloro che muoiono in solitudine. Film che rasenta la poesia. Che affronta tematiche introspettive in modo intelligente e sofisticato quanto semplice. Finale commovente. Eddie Marsan, in un ruolo da protagonista, offre una prova superlativa. Apprezzabili la colonna sonora e le location.
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chi ha apprezzato non manchi di implementare -se ce la fa senza sottotitoli- con il benemeritato ai tempi danteschi a certain kind of death: ho immediatamente pensato a quel documentario sin dal primo quarto d'ora, e ti scopro negli extra che pasolini si è effettivamente ispirato a esso nell'elaborare il film.
sulle lacrime non ci scommetterei, però molto toccante, sì.
è inquietante come sempre più spesso visioni appaiate senza un particolare motivo di fondo finiscano con avere un forte comune denominatore. senza volerlo, senza cercarlo. a volte mi capita anche con più film in fila. ora per esempio sto a metà di restless e indovina un po'? anche qua i funerali sono il perno del film...
DiscussioneDaniela • 4/03/16 22:00 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Schramm ebbe a dire: è inquietante come sempre più spesso visioni appaiate senza un particolare motivo di fondo finiscano con avere un forte comune denominatore. senza volerlo, senza cercarlo. a volte mi capita anche con più film in fila. ora per esempio sto a metà di restless e indovina un po'? anche qua i funerali sono il perno del film...
Daniela ebbe a dire: Schramm ebbe a dire: è inquietante come sempre più spesso visioni appaiate senza un particolare motivo di fondo finiscano con avere un forte comune denominatore. senza volerlo, senza cercarlo. a volte mi capita anche con più film in fila. ora per esempio sto a metà di restless e indovina un po'? anche qua i funerali sono il perno del film...
elilà... un filitto in allegria :o)
...esclamò chi mi consigliò hope..!! :D
DiscussioneDaniela • 6/03/16 19:21 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Dai, prometto che guarderò anche io restess nei prossimi giorni, così ci mettiamo in pari con il rispettivo carico di cine-tristezze assortite
PS: Ho aspettato a replicare perchè ti aspettavo al varco con il commento a questo Still Life...