Uno dei film migliori del regista, interpretato da un Paolo Ferrari scatenatissimo, quasi un Tom Jones alla rovescia. Per sopravvivere, insofferente alla rassegnazione anche se cialtrone e sfortunato, Meo si finge castrato ed entra in conservatorio come voce bianca. Data la sua abilità col falsetto ha successo ed entra in tutte le corti facendosi le signore. Ma un bel giorno... Festa Campanile prende a soggetto la Roma del '700 e Farinelli, viaggiando tra farsa e amaro. Un plauso a Caprioli, vecchio castrato.
Ben recitato e ben ambientato, ma terribilmente lento, lento, lento, come spesso càpita con le sceneggiature di Magni e nelle regìe di Festa Campanile. Paolo Ferrrai è bravissimo, ma dopo un po' per lo spettatore c'è il rischio di overdose. Degli altri si nota la classe innata di Claudio Gora e di Vittorio Caprioli, mentre il gineceo vede nettamente vincente la rizzoliana Graziella Granata che, oltre che essere la più bella, ha da sola più espressioni di tutte le altre messe insieme.
La confezione è sicuramente di prim'ordine: scenografie e location molto curate, splendida fotografia, belle musiche, cast di impeccabili professionisti. La forma smagliante difetta però di sostanza e si avverte la mancanza di quell'elemento indefinibile che fa di un film "fatto bene" (e questo indiscutibilmente lo è) anche un film capace di coinvolgere e di appassionare. Paolo Ferrari dà credibilità al suo personaggio e Caprioli si conferma, come sempre, grandissimo. Tante belle donne, ma il fascino magnetico di Graziella Granata è un unicum.
MEMORABILE: La festa nel parco della villa del principe con le dame e i "musici" che giocano a nascondino.
La moda dei cantanti castrati in una commedia storica di Festa Campanile, cosceneggiata da Luigi Magni. Di grande livello la ricostruzione della Roma del 700, con scene e costumi davvero curati. Ottime anche le interpretazioni (specie di Ferrari e Caprioli), ma alla lunga la storia non coinvolge più di tanto e la regia è un po' troppo "statica".
Magni fa sentire la sua forte presenza nel tipo di storia ambientata nella Roma dei secoli scorsi, di cui vengono fornite vivide descrizioni sia del mondo aristocratico che di quello popolano; la regia di Campanile, che adotta un registro boccaccesco, incontra un ostacolo nell'eccessivo metraggio, prolungando inutilmente una sceneggiatura dallo sviluppo tosto prevedibile e dall'incostante tenuta. Cast molto buono: Ferrari indiscusso primattore, la Granata vigorosa coprotagonista femminile dalle opime forme; Caprioli, Leroy, Milo, Gora e Trieste in incisive partecipazioni.
MEMORABILE: L'assurda, orrenda acconciatura della Aimée.
Gradevole commediola ambientata nella Roma Papalina, ben ambientata. Si racconta di "musici" e di un vivace Meo che si gode la vita in mezzo ai pericoli del suo tempo. A volte si soffrono i frequenti tempi morti nel racconto, ma tutto sommato il film gira bene. Bravo Paolo Ferrari, bene Caprioli, graziose le ragazze.
Nella Roma papalina del '700, il divieto per le donne di esibirsi in spettacoli teatrali riserva i ruoli femminili ai castrati, già apprezzati per le voci soavi. Il popolano Meo viene reclutato a forza, ma riesce a conservare i gioielli di famiglia... Satira scanzonata con venature boccaccesche ma anche un sottofondo malinconico in cui è riconoscibile l'apporto di Magni più della mano del regista. Il brio dei dialoghi, il pregevole cast con Ferrari mattatore assoluto e la bella ricostruzione ambientale ne fanno un film originale e curioso, godibile nonostante qualche lungaggine.
Un popolano finge di sottoporsi a un’obbligata castrazione, entrando nel rutilante e bizzarro mondo dei musici della Roma papalina. La storia è divertente, direi birichina, con una buona ambientazione storica e una calzante caratterizzazione dei personaggi. Spicca la malinconica figura del tragicomico castrato interpretato da Caprioli, attraverso la quale si coglie la sottotrama ideale collegata all’oggi: un’elegia su una città decadente e decaduta, frizzante e marcia al tempo stesso. Paolo Ferrari istrionico.
Popolano del '700 si finge castrato per far carriera come sopranista: farsa d'altri tempi (condotta con un certo garbo, data la materia che si presta a un registro più volgare) ambientata in tempi ulteriormente altri (anticipando il genere "Roma sparita" alla Gigi Magni, che non a caso collabora al soggetto e ai dialoghi). Cast notevole in generale ma Ferrari, attore che non ha mai guadagnato un suo specifico cinematografico, regge bene un ruolo da protagonista che sarebbe stato perfetto per caratteri come Manfredi o Cerusico.
MEMORABILE: Ferrari: "Ma te ce sei nato così?", Caprioli: "Come li poeti!" - "Ce se nasce?" - "No, ce se diventa!".
Si fa preferire nella prima parte, ruvida e spontanea, con un Ferrari pezzente, in una famiglia da Brutti, sporchi e cattivi, sottoposto alle angherie dei nobili e disposto a tutto pur di sbarcare il lunario. Il prosieguo, pur arricchito da un bravo Caprioli, lascia da parte le ambizioni vitalistiche del protagonista e si adagia su temi più godibili e pecorecci (il gallo creduto cappone) in cui si riconosce la mano del Luigi Magni bonariamente antipapalino. Non male.
Cast in ottima forma, soprattutto Caprioli e Ferrari, che pur in un contesto boccaccesco riescono a velare di malinconia i loro personaggi donandogli spessore. Molto curata la ricostruzione settecentesca, sia per i costumi che per le scenografie. La regia di Campanile è corretta ma forse difetta di dinamicità in alcuni passaggi. La sceneggiatura, ben scritta, riesce a fare sorridere in più occasioni, pur dipingendo una società meschina, fatta di soprusi e disperazione. Finale beffardo.
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