La vita d'ufficio vissuta attraverso gli occhi di un impiegato semplice, lontana dalle iperboli fantozziane e più calata invece nella realtà degli anni Ottanta: in una banca bolognese il nuovo assunto Luigi Stanzani (Botosso) si inserisce negli ambienti del rampantismo provinciale, dove le coppie scoppiano e conta l'iscrizione al circolo sportivo più “in”. Vista la presunta lascivia in campo sessuale, lui – ingenuo – ci proverà con la bella moglie (Elena Sofia Ricci) del collega di successo (Barbareschi). Importante anche il rapporto un po' atipico col compagno d'appartamento (Dario Parisini) mentre sul lavoro i colleghi che definiscono...Leggi tutto il gruppo snob “stronzi” vengono lasciati in disparte, riuniti solo per divertirsi alle spalle del segretario mezzo scemo (Nick Novecento). L'analisi di Pupi Avati di quest'ennesimo squarcio di quotidianità appare superficiale, mai profonda come vorrebbe, e la scelta di Botosso per il ruolo del protagonista non aiuta a rendere credibile l'operazione. Ciò che manca soprattutto al film è uno slancio di vivacità che lo sollevi dalla calma piatta in cui è immerso. Per rendere l'idea della mediocrità stagnante in cui versa la borghesia medio-alta Avati omologa troppo le situazioni (non i personaggi) e finisce col paralizzare il ritmo del film. Fortunatamente la sceneggiatura (scritta dal regista col fratello Antonio e Cesare Bornazzini) è discreta e la direzione del cast sempre competente. Ciò permette a IMPIEGATI di diventare un buon esempio di fiction para-televisiva, ben lontana in ogni caso dall'assomigliare a un buon film. A tratti godibile.
Un Avati molti interessante, che sa portare in immagini e in dialoghi i meccanismi, non sempre virtuosi, della vita d'ufficio. Ottimo il cast (un po' leziosa, però, Elena Sofia Ricci, che trovo perfetta in Ne parliamo lunedì), compreso Botosso, che attraversa con ingenuità stupita, talora da allocco, il suo nuovo mondo, disegnando così il nuovo assunto, che appare trasparente (=inesistente) agli snob. Grandi Gianni Musy e Consuelo Ferrara. Affascinante la Maldotti. Quasi emozionante.
Commedia agrodolce sul mondo del lavoro in provincia negli Anni Ottanta. Avati dirige con il solito mestiere attori (alcuni dei quali alle prime armi) che ricoprono con convinzione altrettanti ruoli di impiegati tipici: il timido, l'esaltato, il complessato, il rampante impomatato ed antipatico, la bellona altezzosa, lo spregiudicato, etc. Su tutto incombe l'appiattimento e il grigiore della routine quotidiana. Ottimi la Ferrara e Musy.
Film "minore" di Avati, è uno spaccato del mondo del lavoro nel dorato mondo degli anni '80. Luigi è un timido impiegato che si trova in una realtà piuttosto disagevole, con l'ufficio spaccato in due parti e si deve confrontare con il cinismo che permea da quell'ambiente. Botosso si cala perfettamente nei panni stralunati del protagonista ed è efficace, Barbareschi gigioneggia, mentre la Ricci è ottima nei panni algidi della di lui consorte. Un gradino sopra il grande Musy. Da vedere.
Non uno degli Avati più riusciti. Non siamo certo davanti ad un brutto film, tuttaltro... ma il quadro che crea il grande regista bolognese non riesce ad essere così coinvolgente, dal punto di vista emotivo, come ci si aspetterebbe. Rivisto a tanti anni di distanza non perde né guadagna punti. Non male ma niente di più. Avati ci ha regalato gioielli molto più preziosi.
Gioie e dolori in ufficio; così Avati avrebbe potuto intitolare questo film ambientato a Bologna in cui sono sviscerate ambizioni, paure e sentimenti di un giovane bancario un po’ timido (magistralmente interpretato da Botosso, ma a dire il vero tutto il cast appare adatto). L'ufficio e il “dopo-lavoro” come luoghi d’incontro/scontro di varie umanità, spesso meschine e false che indubbiamente, pur nel consueto stile confidenziale di Pupi, puntano i piedi nel quotidiano in cui molti possono ritrovarsi. L’Avati degli Anni ’80 risulta anche in questo caso particolarmente ispirato.
Discreta commedia di Pupi Avati, che ha il pregio di realizzare un ritratto piuttosto veritiero e con tinte agrodolci della società medio borghese e della classe impiegatizia di una città di provincia (siamo a Bologna) degli Anni Ottanta. Una sceneggiatura ben scritta, una solida regia ed un cast ben scelto ed affiatato sono i punti di forza del film, che riesce ad intrigare e interessare lo spettatore fino alla fine. Da vedere.
Classico modo di fare film (non horror) di Pupi Avati. Trama semplice, intreccio di storie costruito in modo che ci sia un protagonista e tanti comprimari di buon livello. La scelta di Botosso è azzeccata proprio per l'espressione straniata che ha verso il mondo del lavoro. Descrizione realistica della realtà Anni Ottanta. Bravo Barbareschi; Elena Sofia Ricci sembra uscita dalla "Nascita di Venere" del Botticelli; c'è un angosciante Dario Parisini (lui e la Ricci, due attori pupilli di Avati).
Il grande pregio di Avati è di assoldare nel suo cast giovani e promettenti attori che in questo caso se la cavano piuttosto bene nei panni di impiegati di banca dalle più svariate tipologie. Yuppismo freddo anni '80, passaggio fra vecchio e nuovo, contrasto tra razionalità ed utopia, nel tratteggio dei due personaggi principali, totalmente all'opposto. Vincerà il neo-conformismo, a scapito del sogno, con amarezza.
Un Avati interessante che descrive con toni perfetti meschinità e cattiverie dell'ambiente impiegatizio di una grossa banca negli Anni Ottanta. Ci sono tutti: figli di papà e non, cricche, cordate, cordatine e, sopra a tutto, uno squallore che ferisce perché vero. Interpreti concentrati sui loro ruoli, sceneggiatura ben orchestrata e scritta per un film che, anche se forse non entrerà nella "Storia del Cinema", ha comunque qualcosa da dire.
MEMORABILE: L' "A lunedì" prima dei titoli di coda.
Un'amara quanto veritiera parabola sulla vita impiegatizia italiana negli anni '80, quasi un contraltare di Yuppies. Le vicende, le rivalità, gli innamoramenti di un gruppo di bancari capitanati dal semplice e quasi ingenuo sguardo di Botosso affiancato da un laido Barbareschi, dalle affascinanti Maldotti e Ferrara e da un timido ed eccentrico Parisini. Deludente la Ricci.
Un Avati minimalista, forse troppo: dialoghi sussurrati, colonna sonora delicata e personaggi ben abbozzati ma non approfonditi. Botosso è uno stoccafisso, ma nella parte del timido impiegato funziona, così come Barbareschi nel suo opposto. Forse sarebbe servito un po' di ritmo e qualche avvenimento in più, ma come spaccato di un certo tipo di realtà può interessare. Non male.
Avati affronta il tema della classe impiegatizia (in questo caso degli anni '80, ma il tema è sempre attuale) rimanendo ben lontano dai canoni della commedia all'italiana. Pare voglia, in qualche modo, anticipare il fenomeno dello yuppismo che stava per dilagare in quegli anni. Ma la grandezza di Avati sta nella capacità di manovrare gli attori, tra i quali persino Barbareschi pare essere credibile.
Bancario neoassunto intesse relazioni coi colleghi bolognesi. Avati narra un quadro d'insieme abbastanza riuscito nelle caratterizzazioni peccando in qualche dinamica (soprattutto sentimentale). Il clima di lavoro non è idilliaco ma sopportabile e la tendenza è non infierire, come a lasciare che il tempo sistemi tutto. Botosso ha poco appeal, la Maldotti è bellissima ma terribile al ballo; si apprezza Nik Novecento, che resta il simbolo di un mondo scomparso.
MEMORABILE: Novecento che cerca di parlare inglese.
Nel pieno della giovinezza e del fulgore arrivista ottantino, un bancario neoassunto si ritrova nell'ambiente borghese di Bologna. Placido ma spaesato, forse più per seguire le orme del padre che per proprio traguardo. Le persone attorno sono maschere tristi, puzzle di vite incomplete incipriate dalla formalità serializzante del carrierismo. Non avviene granché in sostanza, dialoghi e vicende sono disallineati e cadono disciolti in un indecifrabile senso di malinconia. Eppure è come contemplare una serie conciliante di nostalgiche diapositive.
Ottima pellicola drammatica di Pupi Avati, che conferma quanto i film a tinte amare siano il suo forte, forse anche più degli horror. Regia, sceneggiatura e fotografia sono davvero ottime: il regista centra in pieno l'obiettivo di mostrarci i rapporti umani da un punto di vista pessimistico. La recitazione potrebbe essere migliore ma il cast in sé in realtà è perfetto, anche lo stralunato e monoespressivo Claudio Botosso. Atmosfere ricreate alla perfezione. Un gioiello.
Piccoli giochi di potere in ufficio portano alla luce delicati meccanismi interiori, sentimenti lievi o feroci. La musica assume un ruolo rilevante nella narrazione e assieme alle inquadrature rende più drammatico l'insieme. Gli ambienti, gli abiti, le espressioni accennate suggeriscono un clima di grigiore apparente (siamo fra impiegati di banca) e una tensione fra naturalismo e tracce di grottesco melodramma. Se non propriamente eredi di questo stile, alcune pellicole di Virzì e Verdone sembrano echeggiare, esprimendo più con il non detto che con i proclami. Affresco generazionale.
MEMORABILE: L'ineffabile personaggio della Ricci; Nik Novecento che vuole fare l'americano; La bravura di Barbareschi e il suo volto; Tutta la vita in 40 secondi.
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Il film ha numerose analogie, sia nei personaggi che nelle atmosfere, con la miniserie tv "Colletti bianchi", andata in onda sulle reti Mediaset (allora ancora Fininvest) nel 1988. Non risultano espliciti legami tra film e serie, ma chi si ricorda il telefilm credo possa dirsi d'accordo con me.
Secondo quanto riportato da Tullio Kezich (Filmottanta), Avati sostiene che il titolo possa leggersi anche con l’accento sulla terzultima sillaba: «Impiégati».
L'ultima è quella distribuita dalla Quinto Piano, da quello che noto nelle versioni distribuite da DMC e Sony al di la della diversa locandina utilizzata le specifiche tecniche sono uguali cosi come il comparto extra, mentre in quella più recente della Quinto Piano i dati tecnici non sono riportati.