Hammer house of horrorProduzione Hammer (travagliatissima, con aggiunta della morte di Seth Holt a metà riprese del film) non delle migliori, che riprende in mano il mito della Mummia senza essere davvero collegato alla serie mummiesca (niente mummie bendate, se non nel geniale finale aperto all'ospedale, che anticipa
Il tocco della medusa e il Polanski dell'
Inquilino del terzo piano), dove si avverte di più lo spirito registico di Michael Carreras (che subentrò alla dipartita di Holt) con più di un rimando al suo
Mistero della mummia.
Al di là della paternità regisitca, le ultime derive hammeriane sui misteri d'Egitto perdono mordente e rimangono incagliate in uno script (tratto da Bram Stoker) confuso, pasticciato e abborracciato, con una messa in scena del body count pre
Presagio piuttosto sciapo e incolore (non male, però, il dottore scaraventato fuori dalla finestra) con una monoespressiva Valerie Leon (che sembra una giovane Raffaella Carrà) nelle doppie vesti di Margaret/Cleo (in realtà Tera, Cleo nella versione italiana) e che mostra uno sfuggente nudo integrale da tergo.
Nonostante la non entusiasmante messa in scena (le dipartite degli egittologi sono invero bruttarelle) l'operazione carrerasiana/holtiana/hammeriana ha un suo fascino tipicamente hammeriano e, almeno nell'incipit, dona momenti notevoli come la mano di Cleo amputata brutalmente dai sacerdoti, poi data in pasto agli sciacalli del deserto (solo due anni dopo Friedkin mostrerà i due cani che si azzannano nel deserto iraqueno nell'intro dell'
Esorcista), moncherini sanguinolenti e arti mozzati semoventi (
Stone prende nota) che incespicano sotto un suggestivo cielo stellato.
Così come la Leon che avanza verso Cleo dormiente, come nei gotici migliori, la sua fuga notturna nel bosco e il gran finale tra cerimonie, dee redivive, pugnalate, schizzi di sangue e rovinosi crolli.
Buoni gli SFX "gore" di Eddie Knight (il già citato moncherino che butta sangue vivo, con le ossa in bella vista, le gole squarciate, la mano mozza di Cleo che si dimena chiusa in uno scrigno) , le musiche esoticheggianti di Tristam Cary e un simpatico omaggio cinefilo nei nomi dei protagonisti prima di Joe Dante e Fred Dekker (il ragazzo di Margaret si chiama Tod Browning).
La Hammer, anche se non in forma smagliante, riesce comunque a produrre un'onesto (e a tratti elegante visivamente) "possession movie" sui generis che (ri)avvolge uno dei temi cari hammeriani come quello della "donna mostro", anche se
Alla trentanovesima eclisse (sempre tratto dallo stesso testo stokeriano) le è nettamente superiore.