La riflessione in sé poteva anche essere interessante (e sta agli antipodi di quella fatta da Truffaut in FAHRENHEIT 451): come sostiene Raz Degan nel ruolo del professore di filosofia che lascia i suoi libri per andarsene a vivere sulle rive del Po, "tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico". Il problema è che, per dare forma a questo pensiero, Olmi s'imbarca in una storia in cui Degan (con sembianze da Nazareno) si trasforma in una sorta di Messia pronto a mescolarsi con i suoi discepoli (un gruppo di bonari popolani di Bagnolo San Vito, nel Po mantovano) che l'aiutano a costruirsi il...Leggi tutto suo eremo di pietra sulla riva del fiume e con lui condividono le serate danzando e chiacchierando tra gli alberi al chiaro di luna. Diretto con l'abituale lentezza, CENTOCHIODI si trasforma presto da interessante apologo sulla relatività della sapienza a polpettone parlato poco (e spesso in dialetto, con sottotitoli) magnificato dagli splendidi paesaggi fluviali, fotografati con gusto. Si sfiora il ridicolo alla cena con gli "apostoli" (sono tredici, in realtà), si indugia su dialoghi che vorrebbero trovare la poesia nella semplicità d'animo quando invece sono il più delle volte improvvisati senza la necessaria spontaneità. Il momento migliore è il colloquio col maresciallo dei carabinieri, in cui il protagonista chiarifica i motivi che l'hanno portato (a inizio film) a inchiodare le pagine di decine e decine di antichi libri gelosamente conservati in una a prestigiosa biblioteca. Ambizioso, ma povero.
Nonostante il battage intorno a una presunta volontà di contestazione dell'establishment cattolico, la polemica contro il potere di chi detiene il monopolio culturale o anche solo contro la presunzione dell'erudito è nel film solo un'occasione per introdurre i valori della comunicazione - autentica e senza mediazioni - con l'altro e con la natura, riscoperti con ispirazione sinceramente poetica in un paesaggio senza tempo sugli argini del Po tra pensionati, pescatori e ragazzi di paese. Apprezzabile, ma non entusiasmante.
Buon inizio (a parte “Mondo birbo!”). Poi 20 minuti circa che sembrano 2 ore (Olmi è un bravo narratore, poetico, gentile, ma si rischia l’abbiocco). Dopodiché il film fortunatamente riparte. Un moderno Gesù (Degan più che dignitoso) che si spoglia di tutti gli averi (più alla San Francesco) e ritorna alle cose semplici, riavvicinandosi alla gente vera, genuina (una sorta di discepoli del fiume). Le frasi in dialetto sono il sale e il pepe della pellicola. Due segnalazioni: i libri e il discorso nella cella. Mi aspettavo di più, ma non è poi così male.
Vi darò esattamente ciò che chiedete e quando riconoscerete di non volerlo, mi inchioderete. Leggi: visto che la cultura uccide il messia che essa stessa attende, non attendetelo. Bravo. Bravo Olmi che fa del cinema intellettuale quando non se ne sentiva affatto il bisogno; che siccome non sa parlare chiaro al pubblico pagante si nasconde dietro il dito ovvio dell'allegoria cristiana. Però laica. Ma le soluzioni reali al nostro cinema quali sarebbero? Ipocrisia e onanismo che invocano consensi solo per liberarsi dalle loro stesse colpe. Nocivo.
A prescindere dal contenuto, che può essere discusso, sotto il piano squisitamente cinematografico il film è molto bello. Ci sono alla base scelte registiche di grande forza e coraggio come quella di lasciar parlare più le immagini e i volti dei protagonisti che le parole. E non è poco in tempi in cui i film sono sempre più spesso dei lunghi videoclip ed in cui ovunque la gente non fa altro che parlarsi addosso. L'inizio è di grande impatto emotivo e visivo, mentre la mezz'ora quasi muta è di rara e profonda bellezza e poeticità.
MEMORABILE: La scena dei cento libri inchiodati a terra resta nella memoria.
Assunto apologetico, svolgimento didascalico, finale parabolico. Avvio finto giallo, poi inizia la polemica pseudoautoriale contro la modernità di un film presuntuoso e banalissimo, che se la prende con l'umana conoscenza (e i libri, che la tramandano), inscenando un "Gesù di Nazareth" che cerca l'autenticità in una baracca in riva al Po in mezzo a gente semplice. Testi fumosi e presuntivamente profondi, senza capo né coda, con un po' di dialetto mantovano sottotitolato. Non ci si crede nemmeno per un minuto, figuriamoci sentirsi coinvolti. Disastro.
MEMORABILE: La panettiera che, all'arrivo del bollettino dell'ICI, esclama "At vegn'un cancher".
Strano film, ottimamente fotografato e ambientato sulle splendide rive boscose del Po (nel tratto mantovano). Non si capisce però bene quale sia la parabola intesa da Olmi. Chiara è la critica al progresso così come chiaro è l'invito a tornare alle cose semplici e alla genuinità della vita paesana; ma l'aspetto religioso, molto presente, non è del tutto coerente: Degan (peraltro inaspettatamente bravo) è una sorta di nuovo Gesù e recita a menadito stralci di vangelo, ma al tempo stesso critica aspramente Dio e la morale cattolica. Bucolico. ***
Filosofo delle religioni distrugge i libri e si ritira in riva al Po. Storia attualizzata di Cristo (e un po' San Francesco), che però suona falsa: calata in un paese stereotipato da cartolina (senza cellulari o computer, alla faccia dell'attualità), e contro la vita contemplativa a favore di quella attiva (quando semmai la modernità soffre proprio di poco studio e pensiero). Insomma, un film retorico e presuntuoso che parla (al contrario del vero Cristo ai suoi tempi) di qualcosa di lontano dalla realtà. Degan mediocre e improbabile.
Film strano e affascinante a partire dall'incipit, con il professore di filosofia che inchioda letteralmente al pavimento i libri che hanno segnato la sua formazione e si rifugia sulle rive del Po. Molto bello dal punto di vista visivo, il film tende a rifiutare la comunicazione per affidarsi prevalentemente alle immagini che sono infatti struggenti grazie ad una fotografia che valorizza volti e luoghi. Buona la prova del protagonista.
A me sono mancate le lucciole in una calda notte agostana e Raz De Gan che cammina sulle acque, così completavamo la rassegna dei luoghi comuni. Il maestro Olmi dirige un film frammentario, incompleto, noioso, sinceramente insufficiente. Un esempio? L'attesa del benefattore al banchetto di ringraziamento organizzato dalla piccola comunità del Po è francamente snervante, perché ci fa riflettere su quello a cui stiamo assistendo: al nulla! Qualcuno, ha perso la strada di casa...
Il messaggio di Olmi sul ritorno alle origini: affascinante, forse troppo per essere praticabile. La solidità del racconto: non è il massimo, va e viene. La cornice visiva del Po e il dialetto parlato dai suoi "abitanti": sublimi, con qualcosa di felliniano. Il protagonista, Degan: il look è giusto ma come recitazione aggiunge qualcosa? La sintesi pallinometrica dice tre.
MEMORABILE: ".. e vedevo i pesci che mi ridevano".
Particolarissimo. Inizio strepitoso, da thriller di razza. Poi fase lunga (un po' troppo) d'adattamento alla nuova realtà, ma sostanzialmente propedeutica all'apologo finale. Tre grandi momenti: la nave felliniana che emana il controcanto, l'arresto di Degan col maresciallo bloccato di profilo, il succesivo interrogatorio. Olmi riesce ad azzeccare il finale: dapprima cita la Domenica delle Palme, poi evita con cura la banalità dell'arrivo. Da mantovano, dico che i dialoghi son verosimili. Forse i **** di Morandini sono troppi, ma *** li merita.
La crocifissione dei libri come condanna di ogni sapere dottrinario, falsato ed avulso dalla vita reale apre una parabola evangelica sulla riscoperta di sé lungo un pellegrinaggio spirituale attraverso la dimensione comunitaria (la vita di paese semplice e serena) e primigenia (il ritorno alla natura). L’autenticità di luoghi e persone dell’Eridano si intensifica nel robusto realismo antropologico da sempre parte integrante della cinematografia di Olmi mentre Degan – moderno Gesù Cristo e San Francesco – si rende amabile, dimesso ed espressivo “pescatore di uomini”. Limpido e rusticale.
A fine film ciò che resta non è solo l'armonia di Fresu (un lounge-jazz morbido, che merita davvero) ma anche un'atmosfera pacata, oscura. Inizia con luci artificiali antipatiche e sgradevoli, la fotografia di Olmi junior migliora sulle rive del fiume Po quando la notte incontra il gioco del controluce e il bagliore della luna (forse ripresa in digitale). Senza alcun dubbio un film laico, dove la figura di Cristo viene, in maniera mediocre, catapultata in campagne Mantovane.
MEMORABILE: La ragazza che racconta sulle riva ricorda molto la figura della Maddalena; l'orto del Getsemani quando Degan si costituisce ai Carabinieri.
L'addio di Olmi al Cinema "narrativo" avviene con un'opera in perfetta linea di (contro)tendenza con la sua filmografia. Il Maestro bergamasco è autore d'un cinema che fa della laconicità il suo strumento principale di antiretorica, così come la banalità del bene che ci racconta fa sì che le nostre coscienze sian non dico scosse, ma obbligate a sondarsi più di quanto spinga a fare uno strutturato pamphlet. Centochiodi è un film filosofico non riuscito, le cui immagini però (quelle potenti dell'incipit, come quelle tenui che lo seguono) "lavoran" dentro.
MEMORABILE: La scelta e l'intera interpretazione di Degan: non la si riesce mai a fissare come l'intero film. Buon segno?
Pellicola visionaria e rarefatta di Olmi che narra le vicende di un giovane docente che abbandona il suo mondo per vivere bucolicamente novello Gesù. Dopo un inizio thriller parte la fase analizzante che si avvale di immagini suggestive. La commistione tra la figura di Cristo e San Francesco è lampante e affascinante. Nota negativa la figura di Degan, doppiato da Giannini figlio.
Momenti suggestivi e bei quadretti nostalgici con un'ottima scelta nella caratterizzazione dei personaggi e nei dialoghi. Grande storia per immagini in luoghi a molti di noi comuni ma straordinariamente evocativi. Degan è una figura dal viso inespressivo: penso che lo scopo fosse di farlo apparire enigmatico, ma essendo privo di mimica sembra di cera. Trovo che una morale banale e forse volutamente ingenua purtroppo spesso caratterizzi in negativo il grande lavoro narrativo di Olmi.
Dopo un inizio molto interessante, con le inquadrature dei chiodi che trafiggono i libri, il film acquisisce presto la monotona tranquillità del grande fiume e dei luoghi cresciutigli attorno. Ho trovato troppo espliciti i rimandi alla religiosità (così lontana dal Vero) e il grido di dolore di fronte a una conoscenza che certo non può salvare. Raz Degan è piuttosto improbabile come professore di filosofia e ciò che salva il film sono la fotografia e, perché no, gli altri attori e i generici. A tratti condivisibili alcuni messaggi, almeno per me.
MEMORABILE: "Se le fa piacere qui ci sarebbe anche da dormire. E se gli va di stare sveglio ci sarebbero anche altre bellezze".
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Non riesco a capire certi autori,Olmi è come se avesse perso il suo talento espressivo.Perchè infarcire un film con molti passaggi inutili,quando la sua bravura risiede propio nella capacità di tradurre senza appesantire.Sia chiaro,le inquadrature,i dialoghi lunghissimi,il dilatare il testo,fanno parte della sua cifra stilistica e non si discutono,ma il passaggio a vuoto di "Centochiodi" fà pensare
Mah io da "esterno" (nel senso che normalmente preferisco altri generi cinematografici) l'ho trovato un buon film, nemmeno tanto noioso come molti invece hanno fatto notare. Più che altro mi è risultato un po' astruso il significato del film, vale a dire: in alcuni passaggi (come nel litigio col prete dopo che ha inchiodato i libri) il personaggio di Degan sembra estremamente anti-religioso, fino a prendersela con Dio stesso, ma da quando scappa diventa una sorta di "messia" della povera gente, ricalcando i passi di Gesù Cristo o di S.Francesco e recitando spezzoni di Vangelo a tutto spiano..
Infatti credo che Degan voglia porsi in alternativa alla Chiesa ufficiale, invitando la gente a coltivare una fede che non sia per forza "indottrinata" dai precetti ufficiali. Il film per me è stato bellissimo in alcuni momenti (es. la semplicità degli anziani), normale in altri.
Non ho visto le sue opere passate e mi manca un termine di confronto, anche per valutare cosa dice Enricottta (ma quella tripla "t" da dove viene?), cercherò di recuperare..
Ciao Capannelle,adesso cerco di imitare l'inimitabile Zender:Si narra cheun giorno il nostro Enricottta dovesse trovare un nome adatto a rappresentarlo,allora unì il suo nome di battesimo ,con la professione ,che da più parti gli accusavano di esercitare(ricottaro a napoli significa prosseneta)digitare il nuovo sopranome e sbagliare a scrivere,(gli svivolò il dito sulla T)fù un tuttuno.Così restò.
Cotola ebbe a dire: Infatti credo che Degan voglia porsi in alternativa alla Chiesa ufficiale, invitando la gente a coltivare una fede che non sia per forza "indottrinata" dai precetti ufficiali. Questa inizialmente è stata anche la mia interpretazione. Però voglio dire, sembra che Degan alla fine ammiri gli insegnamenti del Vangelo e voglia applicarli "sul campo" con la gente semplice, rifiutando i dogmatismi e le imposizioni della chiesa ufficiale. Ma allora perchè questo odio per i testi, se poi lui stesso continua a citare frasi del Vangelo? E perchè a un certo punto (nella discussione col prete), quando il sacerdote lo rimprovera dicendo "Nel giorno del giudizio dovrai rendere conto a Dio di quello che hai fatto" lui risponde "No, sarà dio a dover rendere conto a noi di tutto"? Intendo, questo è un attacco diretto alla divinità stessa, non al vaticano o agli organi ecclesiastici.. Trovo ci sia una certa contraddizione, non so se voluta o meno.
Devo dire che se lì per lì ho dato 1 pallino e mezzo, nella mia memoria questo film si sta sempre più configurando come "inaccettabile vaccata". Diciamo che il "mezzo" in più che ho dato è perché si tratta pur sempre di un Maestro come Olmi. D'altra parte, proprio perché è lui, questo film suona totalmente inaccettabile per i motivi che ho espresso molto nettamente nel mio commento. Macerato dal dubbio (e dagli insidiosi stimoli di Rebis) al momento lascio il mio pallino e mezzo, e quella di dare 1 solo pallino a Centochiodi rimane una tentazione. Ma se continuate a farmici pensare...
Caro Legnani, devo dire che qua faccio volentieri compagnia a Pigro :) Non escludo che ad una seconda visione il film mi possa apparire meno fasullo e demagogico, ma per ora e per il ricordo (amarissimo) che ne conservo non posso che riconfermare il mio lapidario pallino. Certo, l'opera ha dei pregi, ma meramente visuali e comunque oleografici; quello su cui però prorio non riesco a soprassedere è, diciamo, la caratura politica... Ma poi: l'ho notata solo io la pubblicità occulta disseminata nella pellicola (il computer, l'automobile)? Insomma, ho stroncato Tati, Argento, Bertolucci (che, per carità, ho anche osannato)... perché dovrei salvaguardare Olmi?