Piuttosto indecifrabile, l'ultimo film di Elio Petri; poggia sulle spalle di un Giancarlo Giannini che monologa e pontifica un po' su tutto nel ruolo di dirigente di una misteriosa azienda televisiva. Siede in un ufficio spoglio il cui unico elemento d'arredo pare essere un Guernica alla parete; davanti alla scrivania decine di televisori affiancati e sovrapposti che trasmettono ininterrottamente cupi notiziari. Riceve dipendenti, convoca impiegate che lo attirano sessualmente e che interroga chiedendo perché lui non piace alle donne: è una delle sue tante ossessioni, che trascina in casa dove ha con la moglie (Molina) un rapporto freddo e di franco disprezzo. A lei confessa il suo terrore di morire,...Leggi tutto acuito dalle inquietanti richieste d'aiuto di un amico professore paranoico (Bonacelli) convinto d'essere seguito da qualcuno che lo vuole uccidere. Sesso e morte al centro di una vicenda dal carattere fortemente grottesco composta da scenette che non compongono una storia ma delineano esclusivamente il carattere del protagonista: lo lasciano libero d'esprimere i suoi convincimenti e i suoi dubbi, lo propongono in qualità di osservato e osservatore, facendogli riflettere su quelle che sono probabilmente le ansie di Petri stesso, che filma (e scrive) senza preoccuparsi di dare vera organicità al suo lavoro. Per questo il film, oltre a disorientare, rischia di lasciare perplessi di fronte a quelli che appaiono talvolta come vaneggiamenti o frasi sconnesse; non solo da parte del protagonista ma anche degli altri personaggi, che intervengono a sigillare con sicumera concetti sui quali certo si potrebbe ragionare a lungo. Il cinema di denuncia tipico di Petri pare questa volta non puntare a un obiettivo preciso ma a una critica generale del sistema, a ciò che sottende ai nostri comportamenti, interrogandosi sui grandi quesiti cosmici senza avere la pretesa di dare alcuna risposta. Saltuariamente colpisce, più spesso si fa maniera e fa apparire i monologhi di Giannini sterili e senza sbocchi (come le ripetute considerazioni sull'uso della volgarità nel linguaggio). Un Bonacelli lunare come non mai accompagna il protagonista in una lenta progressione verso il grande punto di domanda che si sposa al film. Sicuramente non per tutti.
L’ultima opera di Petri sintetizza disordinatamente tematiche etico-politiche comuni ai decenni scorsi: crisi di coppia, nevrosi sessuale e urbana, strascichi di lotta di classe, assuefazione alla violenza indotta dagli insistenti reportage televisivi, una società sempre più malata e impenetrabile da individui spogliati di identità e raziocinio. Il personalissimo stile dell’autore – allucinato, paradossale, sarcastico – si accompagna alla recitazione sopra le righe adottata da Giannini e Bonacelli e ad una fotografia dall’acceso cromatismo.
Probabilmente è il film più da commedia di Elio Petri. In parte grottesco, dal punto di vista visivo: l'atmosfera lugubre, la monnezza sull'asfalto, sui prati, dappertutto, racconta di un sistema e di un mondo futuro ai limiti della sopravvivenza e ai margini della pazzia. L'amore poi non è più un trionfo fatto di spontaneità, ma soltanto una forma di autocompiacimento, a cui l'uomo non può rinunciare.
Impossibile non far paragoni con i precedenti lavori del bravo Elio Petri, che reputo mezzi capolavori. Qui il regista estremizza tutto, dai dialoghi alle scene, e certe volte cade nel patetico e annoia. Giannini è bravo, così come l'attore che interpreta l'amico paranoico. Comunque da vedere.
I protagonisti sono vittime di una società malata, costituita di violenza e paranoia. Non c'è più scandalo, tanto che alla minaccia di una bomba la gente va a giocare in giardino. Il sesso diviene un vizio e la pervesione trova la sua libertà in quell'ambiente impuro. Il protagonista ripete più volte di non aver visto il tramonto, simbolo di quanto la natura perda il suo splendore in un clima evoluto e progredito.
Ispira un sentimento di straniante tristezza l’ultimo film di Petri, il regista italiano che con più coscienza ha tentato di intersecare profondità psicanalitiche e analisi sociopolitica. Tristezza determinata da un incombente senso di morte che, sempre presente nell’opera dell’autore romano, qui diventa pervasiva mancanza di orientamento, impossibilità a trovare un senso non cinematografico ma addirittura umano. Il grottesco si tinge così di cupa amarezza e l’ansiogena performance di Giannini non aiuta. Sincero vuoto chissà... a rendere?
MEMORABILE: La bellezza di Angela Molina; La Colli che lavora all’uncinetto; I sindacalisti; Il seno della Clement che sfiora Giannini.
E il bello è che Petri ce l'aveva già detto nero su bianco qual era la differenza sostanziale fra uomo e donna, con la positività nettamente a favore di quest'ultima, ma più per demerito dell'uomo che per altro... E noi non l'abbiamo ancora capito dopo quattro decadi e l'avvicinarsi di stagioni calde e violente come quelle delineate nel film. Lo stesso Petri poi ci rivela anche a cosa mira e che cosa nasconde il frasario più volgare. Si può volere di più da un film? Io dico proprio di no, anzi, un buon bagno di umiltà ogni tanto giova e non poco...
MEMORABILE: Il tramonto, inteso come una meraviglia che ormai, concentrati come siamo su tante elucubrazioni che son solo piccolezze, non riusciamo più a cogliere...
Ultima regia cinematografica per Elio Petri. Un film tutto suo, dove l'autore può così esprimere la sua visione pessimistica di una società (umanità) volta al cinismo, che ha paura dei pochi rimasti integri, che considera pazzi. Rimangono frammenti di sensibilità, rigurgiti d'amore che riaffiorano nonostante tutto, in memoria di legami sentimentali che non si riescono più a capire. Non tutto, finale compreso, risulta di facile comprensione, i rapporti d'amicizia, d'amore o semplicemente sessuali, virano al grottesco più cupo, senza speranza.
Un Petri stanco, deluso, probabilmente già minato dalla malattia, sprofonda in un pessimismo cosmico leopardiano affidando il suo testamento cinematografico a un'opera non priva di intuizioni felici ma complessivamente confusa e ridondante. La mano del regista è sempre solida ma si sente la mancanza di uno sceneggiatore come Ugo Pirro capace di dare solidità è un respiro unitario al tutto. Giannini è costantemente sopra le righe come Volontè, ma senza il suo carisma. Bravi Bonacelli, la Molina e la Clement. Davoli è solo una inutile macchietta.
MEMORABILE: Il trattato sulla masturbazione che Bonacelli si porta dietro nella clinica psichiatrica.
Nel suo ultimo, cupo, lavoro, Petri mostra un’umanità di individui ormai assuefatti alla violenza (ridotta a rumore di fondo) e al degrado (ormai elemento di arredo urbano), presi da problemi esistenziali cui non riescono a trovare una soluzione, anche per incapacità a relazionarsi davvero. Un’opera criptica, discontinua (ma in crescendo) la cui atmosfera apocalittica e allucinata esalta soprattutto le doti di Bonacelli, tra i migliori quando si tratta di dare vita a personaggi grotteschi.
MEMORABILE: Le strade e i parchi di Roma ridotti a immondezzai; Le considerazioni di Giannini su trivialità, anzianità e indennità; La busta “da non aprire”.
Cinico funzionario rivede un vecchio amico, che finirà ammazzato. Cronaca della decadenza della società secondo Petri, in un mondo senza speranza e pronto a buttare il tragico in tv. Sopportabile fin quando non diventa grottesco per l’interpretazione da manichino di Giannini e per le dinamiche amorose figlie degli anni 70. Forzature nelle ambientazioni sporche e nel linguaggio colorito. Davoli e Colli inutili, la Molina sembra troppo giovane per il ruolo.
Chissà, magari il grande Elio Petri avrebbe potuto regalarci altro come suo ultimo film, invece la morte lo coglie nel 1982 e questo diventa il suo testamento. È un film molto caotico, di cui si intravede un potenziale che resta sempre sulla carta, sommerso da una sceneggiatura ostica e confusa e dalla prova di Giancarlo Giannini nei soliti panni del personaggio un po' fumantino. La bravura di Elio Petri è riconoscibile ma il suo film non convince. Diverse le metafore interessanti del film, su tutte il tramonto. Ma manca l'arrosto.
L'ultimo Petri rinuncia a capire il mondo e disperde interrogativi scorbutici. Film frullato e molto "ferreriano" soprattutto nel tramonto del maschio, inutile a se stesso e alla specie. Giannini s'impegna ad assecondare per quanto può i desideri nichilisti del regista, il temperamento c'è. Angela Molina volutamente catatonica mentre Bonacelli morbido e pazzo appare quello più in carreggiata. Divertenti le acrobazie erotiche della Clément.
Permeato da un'opprimente sensazione di cupo e rassegnato livore, il testamento registico di Petri è, per certi versi, il suo film più destrutturato e allucinato, una farsa disillusa sull'incomunicabilità dalle tonalità quasi ferreriane ritagliata fra torri di schermi televisivi che snocciolano da mane a sera lutti e attentati, ambienti sporchi e degradati, frammenti di sensibilità occultate da assalti coprolalici e l'implacabile occhio della morte (immaginata o reale) che getta ovunque la sua ombra lunga. Decisamente non per tutti. Buona anche la colonna sonora di Morricone.
MEMORABILE: L'adozione della coprolalia come scudo performativo verso il mondo esterno; Testa bassa e pedalare; Il tramonto; L'angosciante finale.
Petri si inserisce in quel mini-filone di commedie grottesche e nerissime (citiamo Il Belpaese tra i titoli più rappresentativi) che, a fine anni '70, mostrava un'Italia da Inferno dantesco tra terrorismo, droga e paranoie. Il soggetto è qui particolarmente contorto, ma chi riuscirà a entrare nel mood schizofrenico del film e del suo protagonista (Giannini sta perfettamente al gioco) potrà godere di una notevole ricchezza d'idee e di una sceneggiatura che tenta un inedito approccio quasi filosofico al turpiloquio. Faticoso e discontinuo ma a suo modo interessante.
MEMORABILE: Colpiscono, in quanto inaspettati, i frammenti hard di coeve produzioni estere che scorrono sui piccoli schermi di Giannini.
In una città ingombra di rifiuti un dirigente tv guarda i telegiornali che parlano di attentati, litiga con la moglie, cerca di sedurre colleghe, incontra un vecchio amico convinto di qualcuno voglia ucciderlo... L'ultimo film di Petri è un apologo pessimista che, a differenza del precedente, sembra più esistenziale che politico: il protagonista senza nome interpretato nevroticamente da Giannini parla in continuazione ma parla soprattutto a se stesso ed anche i personaggi che lo circondano sembrano quasi le proiezioni di frustrazioni, desideri e paure personali. Troppo criptico.
Incredibile manifesto nichilista d'un Petri oramai giunto a uno dei suoi ultimi capolavori, qui dedito alla raffigurazione di un disturbante, inquietante, smanioso e asfissiante quadro dell'Italia immersa nella cupezza degli anni di piombo che vengono messi in scena nella maniera più verosimile e feroce e, caratteristica fondamentale, con un rigore stilistico e alcune inquadrature di un'introvabile modernità. Per certi versi ci riporta al Borghese e al Giocattolo, ma sia Monicelli sia Montaldo mostrano ancora asperità tutte italiane che qui, invece, scompaiono del tutto. Imperdibile.
MEMORABILE: L'interpretazione di Giannini; L'omicidio dell'amico Gualtiero; Le figure femminili ed il sesso; I costanti spot di cronaca nera; L'inapribile finale.
Rabbioso e straniante racconto in cui viene descritta una società ormai allo sbando, in cui si è perso ogni valore e qualsiasi punto di riferimento. Petri si concentra quasi esclusivamente sul personaggio interpretato da Giannini, un uomo svuotato e alienato dalla realtà che lo circonda, fuori controllo. Malgrado le buone premesse, parliamo di un’opera molto ostica e di non facile fruizione; l’impressione che l’autore abbia calcato la mano, perdendo di vista un filo conduttore, diventa un’ipotesi concreta nell’immediato. Oltre le buone intenzioni, non resta molto in mano.
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CuriositàZender • 11/08/13 18:25 Capo scrivano - 48959 interventi
Dalla collezione "Sorprese d'epoca Zender" il flano del film, con improbabile accostamento ad Allen:
Lo stile moderno del palazzo di questo film, con cemento a vista e balconi aggettanti, rievoca immediatamente l’abitazione del commissario Volonté nell’Indagine…. Come negare infatti la somiglianza del salone con ampie vetrate, terrazzo ed affaccio sul verde nelle due pellicole di Petri?
Nel telegramma che Bonacelli invia a Giannini, oltre al refuso che trasforma "ansiosamente" in "anziosamente", è possibile leggere che la clinica "Salus Tua" ha l'indirizzo in via Coccia di morto 3115. Ascoltando tuttavia la voce fuori campo (di Bonacelli stesso) si può udire come l'indirizzo diventi via Guattani 85.