Del Toro degli amati mostri (tutta la prima parte al freakshow dove si svelano trucchi e farloccate tra aborti sotto spirito, donne ragno, uomini bestia in una via di mezzo che sta tra
Lynch,
Jodo,
Browning e
Hooper) che si destreggia meravigliosamente tra magnifiche scenografie (gli interni barocchi degli studi e degli appartamenti, la macchina da presa che si muove sinuosa tra le tende del Luna Park), impeccabili ricostruzioni d'epoca (la New York, sotto la neve, del 1942), un incipit straordinario (l'occultamento della salma nel pavimento, la casa nella prateria data alle fiamme) e un giocare al rimpiattino tra la favola dark, l'affetto per i freak e gli stilemi del noir anni 40 (la cinica e glaciale, quanto diabolica, femme fatale della Blanchett, con una vistosa cicatrice a deturparle il corpo, come la donna senza la gamba de
La spina del diavolo).
Le seduzioni, il lato prettamente feticistico del regista messicano (la Zeena di Toni Colette che gioca sensualmente con le ciabattine, il close up sulle eleganti decollete della Blanchett), gli inganni, i raggiri, le
apparizioni fantasmatiche ingannevoli, i flashback di padri morenti ridotti allo stato larvale (
Ti ho sempre...odiato), i giardini labirintici innevati e l'esplosione improvvisa di una violenza scorsesiana tra pestaggi, facce massacrate, schegge di vetro degli occhiali frantumati rimasti nelle nocche insanguinate, orecchie ridotte ad un colabrodo, un'improvviso e destabilizzante omicidio/suicidio coniugale, fino ad un finale beffardo e crudele che riporta il protagonista a rifugiarsi nel Carnival che le aveva dato il potere dell'affabulazione.
La durata di 150 minuti non pesa (anche se andavano sfrangiate alcune parti di dialogo tra la Blanchett e Cooper) e del Toro omaggia , con il suo stile inconfondibile, il genere classico del cinema per eccellenza, il noir della
Fiamma del peccato, non dimenticando la sua passione per i "diversi" e per la bellezza della mostruosità (i titoli di coda sul feto deforme, ingigantito, di Enok).
Dafoe gigioneggia, la Mara è dolcissima, Perlman un
Hellboy stanco e senza trucco e la fiera delle illusioni deltoriane passa dalle "meraviglie" circensi al cinismo e all'avidità delle ambizioni e degli imbrogli, che si pagano a caro prezzo.
Dispensa suggestione fiabesco/oscura l'incantevile fotografia del fido Dan Laustsen.
Amapola