E’ ambientato nella Los Angeles del 1941, ma per quanto riguarda i riferimenti potrebbe essere trasportato al giorno d'oggi senza quasi un cambiamento. I poco giustificati successi conseguiti a Cannes (miglior film, regia e attore protagonista) sono la testimonianza di un lavoro formalmente molto ricercato, che il regista Joel Coen gode nel caratterizzare secondo il proprio gusto quanto più possibile, ma a ben vedere ci si accorge di aver a che fare con uno sterile esercizio di stile, autocompiacente e privo di qualsiasi capacità di coinvolgere. Non per la storia, tutto sommato interessante (almeno sulla carta), quanto piuttosto per l'impostazione dispersiva della regia,...Leggi tutto mai in grado di spingere laddove è necessario: John Turturro è indubbiamente un grande attore, perché confinarlo nel ruolo di un uomo che solo a fatica interviene facendo sentire la sua presenza nel film? Tutto gli passa accanto lasciandolo allibito (il che è in contrasto col carattere sanguigno del suo personaggio), subisce gli eventi senza mai sapere come comportarsi. Si stabilisce in un fatiscente albergo di L.A. (il portiere, ma si vede solo in un paio di occasioni, è Steve Buscemi) richiamato dalle sirene di Hollywood dopo un grande successo... di critica a Broadway. La prima sceneggiatura affidatagli è per un B-movie sul wrestling e la crisi creativa già si apre, mentre il vicino di camera (l’ingombrante e straripante John Goodman) prende a ossessionarlo. Un finale inutilmente thrilling rovina definitivamente il film. Peccato, perché in alcune scene la forza dei Coen è evidente. Marcel M.J. Davinotti jr. Chiudi
Trionfatore a Cannes, a mio giudizio è un film troppo sopravvalutato dalla critica. Indubbiamente è girato bene e riesce a sorprendere cambiando più volte registro: si parte dalla commedia e si arriva alla tragedia passando per il grottesco, ma non appare quel capolavoro descritto da alcuni recensori, risultando eccesivamente pesante nel suo evolversi. Si segnnalano comunque le ottime prove di John Turturro e John Goodman. I Coen comunque si confermano narratori mai banali.
A mio giudizio il meno riuscito dei film dei fratelli Coen: non è pessimo, né mal girato, tutt'altro; quanto, a tratti, tedioso e presuntuoso. La trama ruota attorno ad un Turturro in gran forma che impersona un personaggio piatto e senza verve (o meglio questo emana). Al suo fianco un sempre notevole Goodman. La fotografia ed i dialoghi sono al solito molto buoni. Consigliarlo? Direi di no. Vuoi per un'eccessiva lunghezza vuoi per una non certo entusiasmante storia.
Ricognizione negli inferi della creatività e, insieme, satira sull’industria castratrice di Hollywood, il film dei Coen si tiene a calcolata distanza dalle definizioni e cerca piuttosto di rappresentare i processi produttivi definendone - e infittendone - il mistero. Oggi appare stilisticamente meno ibrido e manierato di quanto non risultò allora, a dimostrazione di come le contaminazioni di genere iniziate dai due autori siano state ormai largamente metabolizzate. Insinuante e inquieto nello svolgimento, ha un finale un po’ troppo addensato e isterico, ma comunque significativo. Consigliato.
Quello di Fink, impegnato a scrivere un soggetto, è un viaggio nel lato indicibile e rimosso dell'atto creativo, qui immerso tra produttori chiassosi, scrittori famosi e perdenti, una donna squartata e un vicino serial killer. In un crescendo iperbolico nel quale si avviluppa straniata (o complice? o demiurgica?) la fragilità del protagonista (uno stralunato Turturro), il film non giunge ad alcuna rivelazione, ma solo a intuizioni enigmatiche, come nello strano finale. Tuttavia l'opera non ha e non dà emozioni, ma rimane un freddo esercizio.
Opera del tutto particolare, istrionica. Alle maniere di un film autoriale, aggiunge la capacità di spostarsi da un genere all'altro con discreta naturalezza, mantenendo un senso ironico di fondo che, dapprima si intravede tra le maglie di un avvio lento, poi diventa dirompente sul volto di alcuni personaggi (Goodman, Lerner, Shalhoub sopra a tutti). Ancora una volta, al protagonista (un Turturro con il giusto piglio, o mancato tale) tocca il ruolo dello sguardo che si fa via via più abbacinato dinanzi al grottesco del reale (l'opposto del reale dei suoi drammi), nel vortice del quale si trova risucchiato.
MEMORABILE: "Guardatemi! Vi mostrerò la vita della mente!".
Il finale.
Quarto film dei fratelli Coen, è anche uno dei meno riusciti (nonchè il più sopravvalutato). Se da un lato colpisce la loro indubbia capacità di cambiare registro narrativo (dalla commedia, al dramma e infine al grottesco) dall'altro sembra che i die registi (ed autori) non riescano ad andare al di là dell'esercizio di stile nonostante la buona e professionale confezione e l'impegno degli attori.
Un'incredibile discesa negli inferi della mente dell'artista, in cui la consistenza della storia (dove trova spazio anche un certo sarcasmo nei confronti del sistema hollywoodiano) viene sacrificata in favore di efficaci squarci onirici dal retrogusto kafkiano. L'enigmatico finale si presta a diverse chiavi di lettura. Molto bravo John Turturro, ma il luciferino John Goodman non è da meno.
La quasi totale assenza di fruibilità dell'opera ha spinto molti a criticarne il contenuto che invece merita per la forte riflessione che innesca nello spettatore: i Coen, con il proprio stile in bilico fra il grottesco e il surreale, giocano con il simbolismo fornendo allegorie esistenziali pregne di aulico significato. Finale aperto, intriso di lirismo emozionante.
Un'ennesima stupenda sceneggiatura dei fratelli Coen che stravolge le aspettative iniziali andando a parare in un punto lontanissimo dell'incipt. Il film è basato sulla rappresentazione della doppia faccia di un essere umano: tutti i personaggi hanno una facciata ma ne nascondono un altra. Lo stesso Barton Fink, inizialmente sicuro di sé, avrà i nervi sottoposti a dure prove, con conseguente decadimento e annullamento del suo essere. Favoloso, con una fotografia meravigliosa.
MEMORABILE: La zanzara sulla spalla della donna; Il fuoco in corridoio; Il cambiamento del produttore/colonnello.
Girato con grande maestria per carità (i Coen ci sanno fare) e pure confezionato alla grande (notevoli le ricostruzioni d'epoca), ma la sceneggiatura non convince e non dice nulla di nuovo. Non è tanto un problema di noia (presente almeno un po', specie nella prima parte) quanto di strade battute che risultano a dir poco convenzionali. Se voleva essere un satira di un certo mondo intellettuale e hollywoodiano centra poche volte il bersaglio, altrimenti non si sa cosa volessero i due fratelli. Ingiustificato il cambio di genere nel finale, così come sproporzionata la pioggia di premi a Cannes.
I Coen in questo lavoro si distinguono per spiazzare le aspettative. Dopo un avvio nei loro stilemi, la virata sul noir mischia le carte (nel complesso è la parte migliore) e ravviva un inizio compassato al limite del piatto. Anche il finale denota una felice intuizione. Certamente la regia è puntuale e positiva, come la fotografia curata. Comunque il difetto di non creare empatia col protagonista pregiudica il giudizio complessivo.
Se dovessi definire questo film con un colore direi che è marron. Un marron scuro, appiccicoso e sudaticcio, destinato al nero dello scarico di un lavandino, che torna poi rosso infuocato, per spegnersi infine finalmente in un azzurro marino. Finalmente perché non è la solita visione di un film dei Coen, che entusiasma e fila come un treno senza attimi di stanca; al contrario è estremamente faticosa, vuoi per un ritmo che, come il romanzo, non prende mai il via, vuoi per la sconosciuta farcitura di concetti cerebrali che forse solo i Coen conoscono.
Opera quasi sperimentale dei Coen - filone che in seguito batteranno sempre di più - nella quale i pochi personaggi presenti danno vita a una storia straniante e a tratti surreale con qualche punta inquietante. Turturro è perfetto nel ruolo dello sceneggiatore in crisi creativa mentre attorno a lui ruotano persone che paiono macchiette ma che in realtà nascondono qualcosa di più, specie il vicino di stanza interpretato da un John Goodman in grande spolvero. Un ottimo prodotto.
Ricalca quella vera di William Faulkner questa storia che vede un commediografo fresco del successo a Broadway naufragare a Hollywood in un hotel fatiscente e labirintico dopo aver incautamente firmato un contratto con un produttore/diavolo. Per sua (e nostra) fortuna c'è un serial killer in circolazione... Una commedia grottesca intinta di nero di gran classe e stralunata comicità, con tanti personaggi indimenticabili interpretati da un cast perfetto nei rispettivi ruoli, i cui pochi cedimenti a livello di tenuta nella parte centrale sono ampiamente riscattati dall'epilogo fiammeggiante.
MEMORABILE: L'arrivo in hotel; La mosca; Le scene a bordo piscina a casa del produttore; Fuoco e fiamme
Non uno dei migliori prodotti coeniani. Trattasi infatti di uno di quei film in cui l'autocompiacimento e i giochi intellettuali e filmici prendono il sopravvento e portano a risultati piuttosto noiosi e in conclusione stucchevoli (vedi Mister Hula Hoop, ma secondo me anche Il grande Lebowski). Turturro è bravo ma sono più divertenti Goodman e Lerner (e la Davis). Qualche sprazzo spassoso ma rimane un'impressione di freddezza. Sicuramente esagerata la messe di premi.
Commedia grottesca ma che trasuda anche amarezza, unendo sapientemente un po' di critica alla Hollywood classica e un pizzico di thriller. La sceneggiatura a tratti però si fa tediosa, così che il vero valore che emerge sono le ottime prove di Turturro e Goodman, perfetti insieme e credibilissimi anche nei momenti più sopra le righe. Bella l'ambientazione d'epoca, buone le musiche. Nel complesso, da vedere almeno una volta.
Meritevole di visione, quest'opera dei Coen pone l'obiettivo sullo stato d'animo di uno scrittore ridotto a dover sceneggiare un film su un wrestler di serie B e alle prese con un vicino di camera d'albergo che tanto normale non sembra. Sembra partire come una commedia tipica, ma nel corso del tempo il mistero attorno ai personaggi si fa più fitto e rende la scrittura più interessante. È proprio lo sviluppo dei personaggi il punto di forza maggiore del film, non un capolavoro ma godibile e interessante.
Barton Fink, come e più di Fargo, sfugge alle definizioni: inizia come una commedia, evolve verso il noir, diviene drammatico, grottesco e ogni volta che credi di afferrarlo cambia direzione, sempre sospeso fra il reale e l'onirico. La trasformazione di Goodman (quasi un demone nel finale) è la più impressionante ma non c'è personaggio in questo film che si riveli per ciò che inizialmente sembrava. Esteticamente ineccepibile, è il primo vero capolavoro dei Coen, che torneranno a raccontare Hollywood nel 2016 con risultati più modesti. Grandioso.
MEMORABILE: La carta da parati che si stacca; L'incendio.
Impossibile non riconoscere la qualità del lavoro dei Coen. Stessa cosa dicasi per Turturro e Goodman, le cui interpretazioni valgono da sole il prezzo del biglietto. Eppure qualcosa non torna, in quanto per un minutaggio non indifferente il film non riesce a coinvolgere come dovrebbe e la figura stessa di Fink, seppur ben caratterizzata, non suscita alcuna empatia né particolari fremiti. Solo nell’ultima parte riesce a imboccare la strada giusta, spingendo lo spettatore ai confini del noir. Un po’ tardi per risollevare le sorti.
La crisi esistenziale e creativa di uno sceneggiatore si unisce ad una durissima critica verso il sistema produttivo portato avanti dalle major hollywoodiane, che prima incoraggiano e poi ingabbiano l'autore. L'atmosfera surreale cala perfettamente lo spettatore in una vicenda che alterna momenti comici ad altri cupissimi, al limite del thriller e dell'horror onirico, e che affascina e inquieta allo stesso modo. Impossibile non trovare rimandi a L'inquilino del terzo piano (non a caso sarà Polanski a premiare il film con la palma d'oro a Cannes) e al cinema di Fellini e Lynch.
MEMORABILE: Il risveglio con sorpresa; L'inquadratura finale.
Joel Coen HA DIRETTO ANCHE...
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