Tentativo maldestro di Ozpetek di allontanarsi dal suo cinema per scavare nelle pieghe del malessere, in modo anche meno coerente del precedente Cuore Sacro. Per raccontare le derivazioni della passione e della violenza sceglie la struttura corale, ma la riempie di personaggi anonimi, situazioni banali, discorsi vuoti, sacrificando così il nucleo principale. Lo stile si affina, ma sembra vagare nel buio e s'illumina solo quando s'allontana dalla scrittura e dalla parola. Attori inadeguati, tranne un convincente Mastandrea.
Ozpetek è indubbiamente un grande regista, dotato di una immensa capacità di tradurre in scene di grande intensità la storia tratta dal romanzo omonimo. Purtroppo la storia alla base è insignificante, banale, trita. Una sorta di pulp metropolitano all'italiana, e gli esiti sono deludenti. La pellicola risulta pesante e Ferzan si prende troppo sul serio, adottando un timbro troppo drammatico e a tratti moraleggiante (macchiettistici alcuni personaggi, come l'onorevole). Poco credibile l'età dei personaggi: Grimaudo, Ferrari e Mastandrea.
MEMORABILE: In negativo: la scena del graffito in onore della Grimaudo e lo sfogo del figlio con l'onorevole in campagna elettorale... assolutamente out.
Mediocre trasposizione cinematografica del bel libro di Melania Mazzucco. Il pur bravo Ferzan Ozpetek si limita ad una didascalica riproposizione della vicenda e non si sforza più di tanto di caratterizzare adeguatamente i personaggi che nel libro presentano ben altro spessore, snaturando tra l'altro la vicenda in alcuni punti. Il cast, tranne forse il protagonista maschile Valerio Mastandrea appare assolutamente inadeguato. Occasione perduta.
Dramma più nero del solito, per Ozpetek, con un Mastandrea a suo agio in un ruolo insolito. La locandina esprime bene il contrasto con il tema portante; la storia è semplice e verte sulla legge del contrappasso (qui in chiave terrena): ciascuno dei personaggi andrà a pagare caro il proprio difetto/vizio (o segno distintivo). Forse è proprio nella sua semplice banalità, che il film presta il fianco; ma la messa in scena, come al solito, è pregna di delicatezza e sensibilità. E la Ferrari centrata nel raffigurare il dramma addosso a una donna superficiale. Certo, se penso alla Angiolini di Saturno contro...
MEMORABILE: Su tutti il silenzio nello scambio di sguardi tra Mastandrea e la Ferrari.
In rigorosa successione è il migliore della trilogia introspettiva. Ozpetek lavora ad alto livello sugli attori e con la macchina da presa. I due piani sequenza agli estremi del film valgono già tutti gli otto euro e i delicati primi piani sulla bimba di Tutta la vita davanti toccano in profondità! Esiste tuttavia confusione. La storia tra il figlio e la donna dell'onorevole è un "filler". Situazioni marginali allontanano dal cuore della pellicola. L'omosessualità è più presente di quello che sembra (Ferrari-Guerritore). Notevole Mastandrea.
Si è rivelato il solito polpettone alla Ozpetek, pur trattando un tema estremamente delicato. Primi piani sparati nel tentativo di aumentare la drammaticità, senza rinunciare ad una fiacca introspezione di un carrozzone di personaggi scollegati tra loro, messi lì per cercare di dare tensione narrativa, ma che però alla fine riescono solo a mostrare il solito piattume dei problemi sentimentali di fighetti romani. Tanto basta per gettare lo spettatore in un limbo nell'attesa del prevedibile, drammatico epilogo. Maddechè???
MEMORABILE: La festa di compleanno volutamente interrazziale.
Drammone con qualche punta tragica, buono dal punto di vista tecnico ma abbastanza inconsistente a livello di sceneggiatura, con trama esile e personaggi stereotipati. Finale compiaciuto e ricattatorio, stucchevoli o inutili alcune sequenze. Curioso il ritratto di un'Italia decisamente multietnica e il rapporto tra la protagonista e l'insegnante. Cast mediamente di buon livello e passabile la colonna sonora. Sufficienza raggiunta a stento.
Davvero osceno. Mi è piaciuta solo la carrelata iniziale, che indaga nella silenziosa-apparente-serenità di una famiglia assopita come un'Horror Old-school. Poi il nulla, una serie incessante di ovvietà e di luoghi comuni da far rabbrividire (si veda la scena della violenza fra i canneti del Tevere, che dovrebbe essere drammatica invece scatena l'ilarità dello spettatore). Inadatti gli spunti comici (quasi tutti delegati alla Sandrelli, come l'aneddoto del camionista omosessuale). Non sono un fan di Ozpetek ma neanche lo ricordavo così scarso. Malfatto. *.
Un film che non doveva essere realizzato; forse il libro da cui è tratto è anche interessante e la storia deve aver intrigato Ozpetek, ma neppure le immagini sul grande schermo hanno reso godibile il soggetto. Doveva restare un libro. Il risultato conferma un lungometraggio estremamente letterario e l'unica cosa che salvo è la Ferrari.
Pellicola che presenta un dramma familiare: partendo da un avvenimento che non promette niente di buono, si fa marcia indietro ripercorrendo dal principio un'intera giornata che appunto viene definita "perfetta". Sicuramente non un capolavoro, ma guardabile.
La scrittrice non è stata contenta; capita spesso anche a torto ma immagino che il romanzo non possa essere peggio di questa sciacquettata ambientata nell'arcadia ozpetekiana. Cinema piccoloborghese che si prende sul serio ma vale quanto una fiction domenicale. Attori afasici, ambienti da Oviesse; un'idea di cinema alto con tutte le prevedibilità del caso (tragedie, occhi sgranati, respirazione ansiogena). È la realtà questa storia di un poliziotto parricida? Allora anche "Un caso di coscienza", la fiction con Somma. Superiore solo all'orrido Cuore Sacro.
Ozpetek tenta di trasporre cinematograficamente un libro interessante e le premesse sarebbero pure buone (vedi il cast, la sua nota professionalità), però il risultato è assai piatto; pur muovendosi nella "sua" Roma, il film non decolla proprio, seppure, ripeto, le condizioni per fare qualcosa di bello c'erano tutte. Piacevoli tecnicamente le prove attoriali di tutti, interesante il ruolo della Guerritore (assente nel libro, meritava migliore approfondimento); piatto ed incompiuto, si guarda, certo, ma non è gran cinema.
Da alcune deflagrazioni provenienti da un'abitazione, il regista torna a ritroso narrando le vicende di alcuni personaggi alle prese con problematiche di diverso impatto. Un discreto film corale che mostra incomunicabilità e freddezza nei rapporti umani ed al tempo stesso colpisce con un duro quanto scontato finale, anche se lievemente speranzoso. Buono il cast con un cinico ed egoista Mastandrea ed un'affranta ed espressiva Ferrari.
Una tragedia-madre che fa da pistillo, petali di tragedie minori che fanno da corolla: un perfetto fiore della Passione, peccato sia un fiore di plastica. Manca, al film, il senso di un rigoroso, tragico fatalismo, si cerca di scavare nei protagonisti e si trova solo quella banalità che, allora, era meglio lasciare semplicemente immaginare, con i personaggi secondari va peggio, alcuni siparietti (come quello della lavanderia) sono inutili, la love story della Grimaudo è narrata con pessimo gusto. Non conosco il libro, ma il film è patetico.
MEMORABILE: Il frammento che meno mi è dispiaciuto è il personaggio di Mara, delicata e silenziosa.
Per narrare le 24 ore antecedenti ad una tragedia familiare Ozpetek si avvale di un cast notevole e di un valido materiale di partenza, ma il risultato è deludente. Vorrebbe far scaturire l'ansia dal realismo, ma il problema è che questo film di realistico ha ben poco: le ambientazioni sembrano di plastica, molti dialoghi e personaggi risultano pomposi e forzati, alcune scene (la violenza nel canneto) sfociano nel ridicolo. Pochi gli elementi validi: la carrellata iniziale e il personaggio di Mara, degno di maggior rilievo.
MEMORABILE: La carrellata iniziale; la passeggiata della protagonista mentre si consuma la tragedia.
Non mi aspettavo un film così brutto da Ozpetek, eppure è davvero così: storie drammatiche intrecciate di una banalità sconfortante, un'atmosfera rarefatta che si rispecchia anche in tutte le interpretazioni degli attori, tutti sottotono o fuori parte (in particolare un imbarazzante Mastandrea) esclusa la Sandrelli, capace di dire tutto con un'espressione. Finale super telefonato, sottotrame che non portano a nulla (la Finocchiaro cosa c'entra?) e una colonna sonora buona ma che si abbina malamente alle immagini. Evitatelo.
Cronaca di una giornata di straordinaria follia con protagonisti sfigatissimi. Dotato di un cast d’eccellenza sul quale spiccano le interpretazioni della Ferrari e di Mastrandrea, il film risulta leggermente forzato sulla coincidenza delle negatività, ma ispirato nella rappresentazione di una Roma cupa e pericolosa anche in pieno giorno (vedi la scena del tentato stupro tra le canne del Lungotevere).
Straordinario come Ozpetek sia riuscito a usare diverse doti registiche, un soggetto con potenzialità, un valido cast (non tutti a dire il vero) per ottenere un pessimo risultato. Si intravvedono le intenzioni della sceneggiatura di rendere interessanti le storie (perché di più storie si tratta), con un montaggio che passa da momenti di tensione a contemporaneità più leggere, volte a un ottimismo che sembra una irraggiungibile chimera, ma forse è troppa la carne al fuoco da controllare; qualcosa rimane crudo, altro si brucia, niente si salva.
Ferzan Ozpetek, nonostante un ottimo cast, confeziona un film tratto dal libro di Melania Mazzucco che non coinvolge più di tanto e rischia spesso di cadere nella noia. Gli attori comunque ce la mettono tutta per rendere il meno indolore possibile un prodotto che funziona solo a fasi alterne.
Purtroppo di perfetto c'è ben poco: solo Mastrandrea. Tutto il resto è eccessivamente cupo, tetro e tragico, seppure inconsistente e banalotto (due ex legati indissolubilmente da un rapporto di amore/odio). Mi spiace dover criticare negativamente Ozpetek, uno dei miei registi preferiti, ma qui persino il dramma finale sembra forzato (oltre all'interpretazione mono tono della Ferrari).
Ozpetek trae ispirazione dalla letteratura sulla cronaca contemporanea proponendo una storia drammatica nel tentativo di descriverne le ragioni interne. Discontinuo il risultato, con alcune parti a livello d'una fiction televisiva (piatte, grigie9 e altre dove il dialoghi si accendono di sottintesi poetici, particolarmente verso il suo epilogo. Bravi tutti, soprattutto Monica Guerritore e quei suoi sguardi che dicono tutto e oltre.
Ultime 24 ore per un gruppo familiare. Ozpetek la mette principalmente sul noir e le fasi di stalkeraggio riescono ad avere un certo pathos. Purtroppo spesso cade nel melò (il figlio del deputato) o propone sottotrame inesistenti (lo stesso deputato). Nel cast la Ferrari mostra cuore di mamma, Mastandrea sembra solo immaturo, la Sandrelli stempera. Chiusura senza grosse sorprese.
MEMORABILE: Il bambino che canta Irene Grandi; La tanica di benzina in macchina; Il pugno alla Ferrari in macchina.
Ozpetek abbandona le tematiche a lui care per mettere in scena questo dramma purtroppo fin troppo comune. Il cambiamento ahinoi non porta con sé il solito sentimento che accompagna le sue pellicole finendo per apparire troppo didascalico nonostante un cast di valore. I luoghi comuni la fanno da padrone e le sottotrame appaiono piuttosto scollegate (su tutti quella con la Finocchiaro), ma anche le vicissitudini dei Fioravanti. Non si può definire brutto ma sembra più un'occasione mancata che altro.
Ferzan Ozpetek si lancia nell'adattamento del romanzo di Melania Mazzucco, portando sul grande schermo diverse storie difficili e dolorose. Se la parte riguardante Mastandrea e la Ferrari coinvolge moltissimo, le altre storie che vi ruotano attorno sono incompiute. Alcuni personaggi sono assolutamente indecifrabili e la loro funzione è poco comprensibile nello sviluppo della vicenda (su tutte Monica Guerritore e Angela Finocchiaro). Peccato perché le prove di Mastandrea e della Sandrelli sono come al solito magistrali. Considerata la bontà del soggetto si doveva fare di più.
Protagonisti di varia estrazione sociale, drammi personali di differente natura, storie diverse che andranno a intrecciarsi fra loro nell'arco di una giornata: tanti episodi e poco tempo per raccontarli. Il risultato è un mélo superficiale e pretenzioso, affettato e inefficace: la sovrapposizione di subplot atrofizza il pathos generale, mettendo in luce la banalità dei dialoghi e delle singole vicende narrate, con sconfinamenti nel comico involontario (l'inquietante mega-murale che il figlio dell'onorevole dedica alla giovane matrigna). Neppure il tragico epilogo colpisce nel segno.
MEMORABILE: La Ferrari viene licenziata; Mastandrea stupra l'ex-moglie in un cespuglio sputazzandole in faccia; Il menù in loop del DVD de La marcia dei pinguini.
Tratto dall'omonimo romanzo di Melania Mazzucco. Storia nella quale si mescolano amore e tragedia. Mediocre. C'è poco coinvolgimento. I personaggi risultano stereotipati e degni di poco interesse. Ovviamente il punto focale è il momento tragico nel finale, che riesce a rendere il tutto meno soporifero. Brava Isabella Ferrari. Mastandrea imperfetto del ruolo.
Assieme al più tardo I nostri ragazzi, forse il film italiano potenzialmente più angosciante e proditorio sulla complessità morbosa che si cela dietro l'edulcorata visione della famiglia e delle relazioni che detta. L'errore, ma a suo modo anche la disturbante incongruenza, è che a filmare questa resa dei conti sia Ozpetek, col suo affidarsi sì allo script analitico di Petraglia (e al libro feroce della Mazzucco) senza però liberarsi di quei vezzi che lo rendono in qualche modo riconosciuto e riconoscibile (il divagare, lo stile di ripresa, il melò). Imperfetto ma qualcosa deposita.
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DiscussioneRaremirko • 6/04/21 22:37 Call center Davinotti - 3863 interventi
Film per certi versi incompiuto, almeno riguardo a potenzialità espresse (ma magari il libro della Mazzucco non era così facile da porre in immagini); buon cast (la Ferrari è come al solito sensuale, convincente Mastandrea), temi importanti ma la commistione thriller (un pò accennata) e dramma (per lo più presente) non è riuscita molto bene.
Comunque di sicuro sottovalutato e, come già detto, già sulla carta un soggetto difficile/impegnativo.
Prende, interessa, finisce ma, poi, lascia un senso di incompiuto.