Se Scamarcio fosse un terrorista moderno, che si muove nella nostra epoca tra cellulari e suv, il film ci guadagnerebbe in realismo. Ma siccome la storia riguarda un gruppo armato di sinistra (la “prima linea”, per l’appunto) dei Settanta, la poca aderenza dell’attore al personaggio salta all’occhio. Così come accade per la solitamente brava Mezzogiorno, la cui interpretazione è falsata da atteggiamenti poco spontanei che proprio non si addicono alla “ribelle” che interpreta. A uscirne penalizzata è quindi prima di tutto la credibilità, che in film del genere sta ovviamente alla base della riuscita. Il Sergio Segio tratteggiato da Scamarcio offre sempre la stessa espressione tormentata,...Leggi tutto da duro col broncio, da idealista convinto e disilluso. Ma è probabilmente deficitaria l’intera direzione del cast: De Maria sbaglia registro e quindi rari sono i momenti in cui si riesce ad essere davvero partecipi di una vicenda che non incalza mai, che si perde frammentandosi tra flashback e momenti storici piazzati in mezzo malamente giusto perché in altro modo era forse impossibile far percepire la giusta collocazione cronologica degli eventi. E questo nonostante una ricostruzione scenograficamente accurata, che preparava il terreno ideale su cui muoversi assieme a una scelta azzeccata delle location, in grado di dare buon respiro all’azione. Visivamente il film ha un suo indubbio fascino. E’ la costruzione a evidenziare le falle di un’opera modesta, caotica, velleitaria, che pare fermarsi quasi sempre in superficie nonostante cerchi in ogni modo di non farlo, come annegasse in quella mediocrità che tenta ad ogni costo di rifuggire. Se sulla carta l’idea di dare forma ai ricordi di Sergio Segio da lui stesso raccontati era vincente, dal’altra era necessaria una realizzazione meno canonica e più sentita, che non solo desse profondità al protagonista ma che fosse in grado di dare una forma percepibile all’organizzazione terroristica che dà il titolo al film senza limitarsi a citarne il nome e poco altro. E’ quasi un film “politico” realizzato come se fosse tutt’altro. Ci voleva una regia più solida, classica, erede degna di una tradizione cinematografica che in questo ambito ha saputo generare anche autentici capolavori.
De Maria è un regista noto soprattutto per le fiction realizzate con la Fininvest. In effetti si nota un taglio televisivo nel film. La Mezzogiorno non appare credibile nella parte della terrorista e Scamarcio, che personalmente disdegno, recita con il contagiri e sembra a comando. Si cerca un trascorso storico ma le intenzioni appaiono velleitarie.
Un racconto all'insegna dell'essenzialità e dei toni grigi. Grigi come le anime di quegli automi del terrore che vediamo agire in un lunghissimo flashback. Lo stile distaccato di De Maria vuole evitare qualsiasi presa di posizione su un periodo storico così delicato. È un film non banale ma che non rimarrà nella memoria nonostante le mille polemiche che lo hanno preceduto e la curiosa coproduzione dei Dardenne. Scamarcio è cementato nel suo personaggio, la Mezzogiorno con la sua aria cupa è azzeccata per il ruolo ma allo stesso tempo scontata.
MEMORABILE: Piero al terrorista: "Siete la prima linea di un corteo che non c'è".
Film che ricostruisce (più o meno fedelmente) la nascita e la sorte del gruppo rivoluzionario comunista “prima linea”, con l’epilogo della bomba a Rovigo. Il dovuto aspetto storiografico degli anni di piombo è infarcito (a mo' di documentario) da filmati RAI di quel tempo e di ricostruzioni con mezzi di trasporto d’epoca. Appare convincente l’accoppiata Scamarcio/Mezzogiorno, che al di là del bell’aspetto dimostra sempre più di saper recitare decentemente, cosa assai rara nel cinema italiano contemporaneo.
Film caratterizzato dalla classica lentezza delle pellicole nostrane; in questo caso però rende riflessiva l'atmosfera che è necessaria al contesto truce e triste di quel periodo nero della nostra storia. Uno Scamarcio credibile ma non sensazionale, senz'altro più credibile della Mezzogiorno, troppo costruita nel tentativo di rendersi dura e spietata. Definirei ottima la ricostruzione del periodo storico, che si attiene perfettamente al tempo senza spiacevoli sorprese (tipo un Bmw X5 parcheggiata su qualche sfondo).
La storia di Sergio Segio e Susanna Ronconi, fondatori ed attivisti del movimento terroristico di Prima Linea, raccontati in un film di Renato De Maria, liberamente tratto da un libro del protagonista della storia. Il film si caratterizza per una pregevole ricostruzione ambientale, molto precisa e curata e per una buona interpretazione dei due protagonisti. Purtroppo la sceneggiatura non approfondisce molto le motivazioni dei personaggi e dà alla storia una certa patina di quasi romanticismo che purtroppo stona con la lugubre realtà dei fatti.
Tratto dall’autobiografia “Miccia corta” di Sergio Segio, affronta marginalmente gli eventi storici – documentati da filmati di repertorio - senza il sostegno di una rigorosa ricostruzione degli ambienti economici e sociali per abbandonarsi ad una superficiale rassegna dei molteplici stati d’animo dei terroristi nella loro vita privata, con frequente rischio di caduta in un sentimentalismo da fiction. Scamarcio irrigidito in un ruolo troppo grande per lui, la Mezzogiorno trattenuta nell’esternare il potenziale drammatico da lei dimostrato in altre occasioni.
Troppo televisivo (d'altronde il regista viene dalla fiction) questo film sul gruppo
terroristico rosso. Funziona sul piano dell'intrattenimento, ha il merito di non caricare di "fascino" ambiguo e di romanticismo le figure dei terroristi ma pecca nel
non riuscire ad approfondire le "ragioni" dei terroristi. Alla fine ne viene fuori un film abbastanza scialbo e superficiale. Accettabile la prova di Scamarcio mentre la Mezzogiorno non è credibile nel ruolo dell'idealista sanguinaria.
I terroristi del film sono in "prima linea" nell'attuare i loro scellerati propositi (credendo di essere nel giusto, anche se i dubbi poi affiorano) ma anche nel pagarne le conseguenze. Ottima la ricostruzione degli ambienti e la struttura temporale a flashback, però si sceglie di tratteggiare i tanti temi a pennellate invece di concentrarsi su qualcosa in particolare. Risultato: i personaggi mancano di spessore e il film risulta troppo freddo, non riuscendo ad assumere un significato più vasto.
Classico compromesso italiano: la nebbia e le barbe sono patinate quanto le abbronzature dei cinepanettoni. Che si tratti di una lezioncina (poco esaustiva) di storia destinata a un pubblico di giovani è evidente. Non disprezzo Scamarcio tout-court, ma la sua odissea terroristica di Mio fratello è figlio unico era di ben altro spessore. "La mia responsabilità è giudiziaria, morale e politica: me le assumo tutte e tre", dichiara il protagonista guardando in camera; ci sarebbe da aggiungere quella cinematografica...
MEMORABILE: Il citato monologo di Scamarcio con lo sguardo in camera.
In questa pellicola viene ripercorsa un pezzo della storia dell'organizzazione armata Prima Linea. Il film tutto sommata è buono, testimonianza di un passato burrascoso ma sul quale occorre sempre tentare di fare luce. Buona l'interpretazione del cast.
Fa impressione questa Prima Linea vista dall'ottica del terrorista, disilluso sì ma pur sempre bel tenebroso idealista tutto d'un pezzo, che ama la sua bella tenebrosa e soffre pensando ai morti che causa. Qui i terroristi sono eroi, sia pure in negativo, ma pur sempre eroi tragici e inossidabili, sospesi in una situazione decontestualizzata (a parte oggetti e costumi): demoni di un fato ineluttabile. Buona la scelta di tenere la voce bassa, quasi funebre, perché in fin dei conti si racconta il funerale di un'utopia criminale. Ma non basta.
Un film sbagliato: non certo nelle intenzioni perché, nonostante le polemiche e le ferite che riapre, si tratta di un periodo della nostra Storia da sondare ancora profondamente (anche dal punto di vista cinematografico), quanto ahimè nei risultati: lento, farraginoso, con personaggi unidimensionali, monolitici (la Mezzogiorno una volta tanto peggio di Scamarcio ma insomma...) e un andamento piatto, monocorde. Uno di quei classici film italiani in cui per il rispetto di tutti (chi poi?) si finisce per peccare di ignavia. È cinema: coraggio!
Stile troppo televisivo, ambientazioni fredde e plumbee, una sorta di pessimismo che grava sui protagonisti dall'inizio alla fine e, come al solito, un audio pessimo come nella maggior parte di certe produzioni italiane. È tutto qui questo film evocativo degli anni di piombo che disegna dalle prime battute della sceneggiatura un destino ineluttabile. Necessario il clima pesante? Forse, ma questo è comunque un film non un testo politico-revisionista o, peggio, un processo nel processo. Male la regia e in generale tutta la prova del cast.
Molte sono le cose buone della pellicola: la scelta di ridurre il campo della vicenda fa sì che allo stile Dardenne si aggiungano cuore e sentimento, così come l'avvicinarsi al carcere è un montare crescente di tensione e furia, al quale il canto a squarciagola delle detenute restituisce una poesia impossibile. Certo, rendere la confessione di Sergio il pretesto per un flashback nel flashback ingorga la fluidità del film, fa perdere il peso delle parole, mette in difficoltà un attore che per una volta riesce ad essere corpo cinematografico.
Un film coraggioso con efficaci ricostruzioni ambientali (mi ha colpito la figurina di un calciatore attaccata dentro la vecchia cabina telefonica), però Scamarcio è troppo cupo: mi sembra poco credibile che, almeno prima della scelta della clandestinità, non ostentasse un più acceso entusiasmo ideologico. I personaggi sono dipinti per quello che sono, senza presa di parte, evidenziando sia i travagli interiori, sia il progressivo distacco dalla realtà.
MEMORABILE: Ma non lo vedi? Siete la prima linea di un corteo che non esiste!; Normale, quando vincerà la rivoluzione, sarà una parola da abolire.
Sono da sempre interessato a tutto ciò che riguarda gli anni di piombo ma la superficialità con cui il regista tratta una vicenda atroce e dolorosa come "Prima Linea" riducendola a una storiella d'amore tra due dei protagonisti grida vendetta. Tra l'altro Scamarcio non è per niente credibile e finisce per diventare noioso così come la Mezzogiorno, che cerca di metterla sulla recitazione profonda ma dopo un po' diventa stucchevole. I dialoghi tutti sussurrati, poi, finiscono col risultare non coerenti e quasi ridicoli. Discreta l'ambientazione.
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Il Dandi ebbe a dire nel commento: "La mia responsabilità è giudiziaria, morale e politica: me le assumo tutte e tre", dichiara il protagonista guardando in camera; ci sarebbe da aggiungere quella cinematografica..."
Beh, come donzella a me Scamarcio piace, ma qui direi che scattano dovuti i fatidici 92 minuti di applausi!
Beh grazie! A meno che il tuo applauso non fosse per il monologo di Riccardin dal ciuffo (come lo chiamo io):p
Comunque scherzi a parte, come ho detto nel commento nemmeno io disprezzo Scamarcio a priori. Qui non era troppo in parte e ha fatto quel che poteva, ma la resposabilità cinematografica stavolta non è imputabile a lui.
Gugly ebbe a dire: Scamarcio deve ancora crescere.
Però è carino :-p
Non lo nego... pure la Mezzogiorno è carina, anche la Puccini, sua partner in Colpo d'occhio, è bellissima se è per questo, ma un attore che non buca lo schermo può perfino farti dimenticare la sua bellezza... aspetta che esca il mio commento al film di Rubini ;)
Attendo con ansia...p.s. mio fratello lo chiama lo Scamorzo (sarà mica un pochino invidioso? Nooooo....)
DiscussioneRaremirko • 24/06/14 01:42 Call center Davinotti - 3862 interventi
Il Dandi ebbe a dire: Gugly ebbe a dire: Scamarcio deve ancora crescere.
Però è carino :-p
Non lo nego... pure la Mezzogiorno è carina, anche la Puccini, sua partner in Colpo d'occhio, è bellissima se è per questo, ma un attore che non buca lo schermo può perfino farti dimenticare la sua bellezza... aspetta che esca il mio commento al film di Rubini ;)