Seconda incursione cinematografica della banda Arbore dopo il controverso (ma a suo modo storico) IL PAP’OCCHIO. Arbore e Luciano De Crescenzo questa volta immaginano di ritrovare casualmente una sceneggiatura di Fellini (“Federico Fellini Sud Story”), caduta dalla finestra del Maestro proprio durante il loro passaggio. Caotico quanto e forse più del PAP’OCCHIO, il film è un susseguirsi di sketch improvvisati legati dal filo comune di un manager rozzo (Arbore) che accompagna prima a Napoli, poi a Milano e Roma, una giovane promessa della canzone partenopea (Pietra Montecorvino)....Leggi tutto Arbore parla in dialetto napoletano accentuato per tutto il film, si muove tra mille personaggi televisivi più o meno noti (riconoscere tutti è forse il gioco più divertente), interrompe di tanto in tanto la storia per permettere a Andy Luotto di tradurre in arabo maccheronico quanto raccontato fino a quel punto, inserisce personaggi di una volgarità assoluta (vedi tale Cloaca Massima, che in un ristorantaccio della Capitale mangia un piatto di spaghetti facendovi cadere dentro la sua forfora, schiacciandosi i brufoli, spalmando sul tavolo il sudore delle ascelle, togliendosi di tutto dalle orecchie e dai piedi, mettendosi le dita nel naso, ruttando e scorreggiando in quella che è forse la scena trash più “estrema” del nostro cinema). Ma al di là di alcuni episodi divertenti e di un Benigni (nel ruolo del cantante filoarabo chiamato sceicco beige) che si inventa un simpatico botta e risposta con Arbore, il film è proprio buttato lì ed esageratamente urlato, fitto di trovate non all'altezza. Dietro alla console di uno studio di registrazione di TeleOttaviano c'è un giovane Nino Frassica senza baffi. Almeno quaranta gli altri volti famosi in passerella. Fellini, per via della prima scena (non autorizzata) se la prese non poco.
Deludente. Eccessivo, gridato, talora pure fastidioso, si lascia guardare perché ogni tanto spunta un personaggio o arriva improvvisa una trovata che salva momentaneamente l'attenzione. Era lecito attendersi molto (ma molto!) di più. Non troppo simpatici, a dirla tutta, i due protagonisti.
Renzo Arbore ci aveva già provato qualche anno prima (era il 1980) con l'inguardabile Il Pap'occhio. E ci riprova (per l'ultima volta, per fortuna dello spettatore) con un film senza capo nè coda: composto caoticamente, male interpretato e -aggravante decisiva- incomprensibile. Non che un film debba, per forza di cose, avere significati o sensi altolocati, ma qui si prendono ampiamente le distanze da ogni minimo senso di tempo cinematografico e la sequela di gag, arruffate e malandate, annoia sino all'agognato finale.
MEMORABILE: La frase reiterata nel film: "c'è una nebbia che si taglia con il coltello"
Seconda incursione cinematografica da regista di Renzo Arbore (dopo Il pap'occhio), il film ha un'inizio folgorante e parecchio divertente, cui poi purtroppo non corrisponde uno svolgimento altrettanto valido. Il regista ripropone la struttura narrativa del primo film, ma lo svolgimento appare qui ancora più improvvisato e talora (volutamente?) senza capo nè coda, così da risultare francamente fastidioso, anche se in grado di strappare qualche risata.
La seconda regia di Arbore, salvo il curioso prologo con il nostro insieme a De Crescenzo su un auto cabriolet, si rivela ben presto per quello che è: un delirio organizzato senza alcun senso, con una teoria di sketch appiccicati con lo sputo. Assurdo quindi trovarvi un filo logico o un qualsivoglia motivo d'interesse, a parte l'esercizio di riconoscere di volta in volta i tantissimi volti noti che compaiono dal nulla e non si sa come finiscono dentro il film. A salvarlo dall'onta della monopalla c'è solo la simpatia degli interpreti. Sconsigliatissimo.
MEMORABILE: Arbore e De Crescenzo fermi al semaforo...
Dopo il Pap'occhio Arbore riprova a sperimentare nel cinema. Questa volta con l'ausilio di De Crescenzo. Ma il risultato è ugualmente scadente. Sceneggiatura ancora una volta completamente inesistente e largo spazio alla demenzialità allo stato puro. Qualche caratterizzazione passata alla storia come "l'uomo cloaca" o "il manager", con incursioni di volti noti assolutamente inimmaginabili. Ma il tutto risulta sempre estemporaneo se non completamente avulso alla struttura narrativa. Macchie di colore buttate a casaccio. Se ne può fare a meno!
Per quanto squinternato nella storia (si tratta più che altro di sketch legati tra loro da un debole filo conduttore) il secondo film di Arbore è sicuramente divertente. Pieno di camei illustri (ci sono Proietti, Troisi, Banfi, Frassica...) e di scenette simpatiche, il film è tenuto in piedi soprattutto da Benigni nel ruolo dello sceicco che diventa proprio irresistibile quando canta "Il pillolo". Da vedere.
Il classico minestrone poco riuscito, con pizzichi di Luotto (l'arabo), manciate di Benigni, che dà il meglio di sè quando dice ad Arbore come dovrebbe essere un manager (il contrario di lui; qualsiasi cosa faccia o dica, il vero manager fa l'opposto) e camei di altri volti noti, come Proietti che parla un linguaggio incomprensibile. Si sorride poco e si sbuffa parecchio, cosa che in un film comico-demenziale non dovrebbe accadere. Mediocre, con pochi momenti riusciti (e anche quelli non sono certo eccelsi).
MEMORABILE: Arbore, manager dell'Organizzazione Caporetto-Grandi Successi; La nebbia della madonna che si taglia con il coltello; "Piacere, Cloaca Massimo".
La banda di Arbore torna alla carica per sbeffeggiare il mondo del cinema, la Rai e Sanremo, ma tutto quello che sa proporre è un’accozzaglia di sketch zuppi di volgarità – insostenibile il numero di “Cloaca Massimo” nell’osteria romana: altro che Metz! –, luoghi comuni e maccheroniche parodie, con l’assurda pretesa di appellarsi a Fellini (pure lui messo alla gogna) come nume tutelare. Avendo notizia degli interventi di Benigni e della chilometrica sfilata di personaggi famosi (da Gazzelloni a Costanzo), ci si può anche arrischiare a dargli un'occhiata.
MEMORABILE: L’unico momento spassoso: Benigni che, dopo essersi esibito in “Arabian sound”, spiega ad Arbore i requisiti del vero manager.
Sorvolando sulla trama e su come sia stata montata, F.F.S.S. potrebbe essere quasi considerata un'allegoria storica. Tutto è inverosimilmente vero; dalla descrizione dei meccanismi Rai in mano ai socialisti alle rappresentazioni di Napoli, Milano e Roma. Il cast è un mirabile carrozzone improvvisato, ma non senza artisti d'eccellenza. La passione di Arbore per il kitsch fa di questo film un siparietto divertito e divertente con sketch che, presi singolarmente, sono un cult.
Squinternata e caotica commedia diretta e interpretata da Renzo Arbore con una caterva di volti televisivi e molti personaggi che all'epoca facevano parte dei programmi dello stesso Arbore. Risate scarsissime per un prodotto che in tutta onestà è di una piattezza unica. Peccato perché l'idea di partenza era accattivante. Da ricordare per alcuni camei di persone come Gianni Minà, Pippo Baudo e Maria Giovanna Elmi e per la bravura di Pietra Montecorvino.
Arbore versus Fellini: ecco Benigni sull'altalena come Sordi ne Lo sceicco bianco, il girotondo alla Otto e mezzo, le nebbie prese da Amarcord. Efficace l'operazione demolitrice dissacratoria, ispirata a Signori e signore buonanotte, con la latrina leitmotiv che trascina nel gorgo delle volgarità e dei favoritismi politica, istituzioni e tv: ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti qui non è per niente casuale ed è anzi sarcasticamente voluto. Notevole l'autoironia sui cliché di Napoli; Arbore, prendendosi in giro, dà voce al riscatto del Sud.
MEMORABILE: La RAI toilette; Il capezzolometro; Le spiegazioni in arabo del film, profezia dell'assimilazione in Italia dell'Islam; L'apparizione della Loren.
Puro stile Arbore! Questa seconda fatica cinematografica dell'artista pugliese riprende i temi dell'esordio con una trama più robusta ma senza l'effetto sorpresa. Il film è una sorta di omaggio all'avanspettacolo (di cui patisce il ritmo altalenante), fra citazioni colte e divertimento popolare, con una lunga teoria di nomi notissimi della cultura e dello spettacolo che ne avallano lo spirito goliardico. Belle prove di Benigni e Proietti, mezzi tecnici un po' arrangiati. La colonna sonora è devastante in tutti i sensi. Un mio cult personale.
MEMORABILE: Il dialogo in finto napoletano fra il romano Proietti, il barese Cassio e il foggiano Arbore; Le scritte nei bagni; Le battute sui napoletani; Sud.
Folle, curioso ma non eccezionale; molto inferiore al cult il Il pap'occhio. Qui lo strumento linguistico del collage non funziona, non è sostenuto da una solida ispirazione e l'insieme si riduce a un ambaradan improvvisato (discutibilmente) tra amici, tirato via. Ovviamente non tutto è da buttare e anzi qualche passaggio è divertente, addirittura riuscito nella sua scalcagnatezza; lo sbucare di qualche simpatico personaggio espressivo contribuisce a salvare la baracca dalla condanna al monopallino.
Indigeribile pasticcio. Un elenco di sketch inseriti a casaccio (forse due o tre fanno ridere), una sfilza di camei interessanti ma che certo non possono salvare una pellicola che inizia male e finisce peggio. In alcuni momenti si vuole fare comicità intelligente, salvo poi uscirsene con scene che sarebbero state troppo anche in un film di Bombolo (vedi Cloaca Massimo). Confusione in tutto e per tutto. Si salva solo Roberto Benigni. E dura pure quasi due ore!
Seconda e ultima regia cinematografica di Renzo Arbore, che riunisce la "truppa" e parte degli stilemi folcloristico/surreali de Il pap'occhio per una vicenda come al solito sconclusionata, atta solo a dar voce all'umorismo che ha reso celebre il regista e i "suoi" attori. Il film è ben poca cosa: come Il pap'occhio alterna momenti dilettevoli ad altri di stanca con una comicità che all'epoca funzionava per novità e oggi non più (come i celebri programmi tv di Arbore Anni '80, a dire il vero). Solo per appassionati.
Seconda puntata di Arbore alla regia con un film che viene di solito letto come una parodia del mondo televisivo quando è soprattutto un rovesciamento dei moduli e degli stilemi che Fellini mette nei suoi film. Gli sketch dei quali l'opera è composta si susseguono con ritmo scoppiettante e le trovate sono talmente tante da perdersi. Nel complesso un lavoro divertente che cresce con il passare degli anni.
Una sceneggiatura caduta dal cielo (ovvero volata fuori dall'appartamento di un finto Fellini) è il pretesto per mettere in scena una storia senza capo né coda attorno a un Arbore "manager" finto napoletano che raccoglie attorno a sé una miriade di personaggi notissimi o quasi sconosciuti dello spettacolo e della TV. Basato sulla verve improvvisativa tipica dello showman, la commedia inanella una serie di sketch raramente simpatici e talvolta di cattivo gusto (la bettola romana), ma la presenza di Benigni e di qualche altro simpatico cameo riesce a renderla quasi apprezzabile.
Una cantante napoletana cerca di sfondare nel mondo dello spettacolo. Commedia strampalata della banda Arbore che, “rubando” una sceneggiatura a Fellini, inscena varie amenità (i politici attaccati alla poltrona in primis). Numerose le comparsate, alcune di valore (Proietti su tutti, ma anche Guttuso, Troisi e Gazzelloni). La Montecorvino fa quel che può come recitazione, ma sul palco ha comunque un’indubbia presenza scenica. Divertente la parentesi a Sanremo, approfittando di vere riprese. Accorata la canzone “Sud”.
MEMORABILE: Lo sceicco Benigni; Proietti che parla napoletano; “Tiene un’ugola tanta”; Il pillolo.
Il film ha un inizio piuttosto originale: Arbore e De Crescenzo sono consapevoli di non avere più idee per poter realizzare un nuovo film, finché non si alza un gran vento che fa arrivare vicino a loro una sceneggiatura di Fellini, caduta proprio da una finestra dove abita il maestro. Di negativo c'è che di idee Arbore proprio non ne ha davvero, per cui è tutto un susseguirsi di gag penose che non fanno minimamente ridere e il tutto si risolve in una passarella di uomini di spettacolo probabilmente amici di Arbore che nulla apportano alla riuscita del film.
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DiscussioneRaremirko • 13/12/14 23:33 Call center Davinotti - 3863 interventi
Il film sarà meno bello de Il pap'occhio, ma vedere Arbore che fa il napoletano è impagabile.
Comunque certi camei indicati nei credits finali (Lino Banfi, Vasco Rossi, ecc.) proprio non li ho visti.
DiscussioneZender • 14/12/14 07:51 Capo scrivano - 48336 interventi
Magari son scene tagliate nel montaggio finale...
DiscussioneRaremirko • 14/12/14 23:53 Call center Davinotti - 3863 interventi
Zender ebbe a dire: Magari son scene tagliate nel montaggio finale...
si, vero, non ci avevo pensato
CuriositàNeapolis • 14/01/15 16:14 Call center Davinotti - 3190 interventi
Cameo del pittore Renato Guttuso nel ruolo di un Madonnaro:
Dalla Prestigiosa collezione cartacea Markus, il n.46 di TV SORRISI E CANZONI del 17 novembre 1985 con il flanetto del film in oggetto andato in onda in prima tv su Italia 1 il 21 novembre 1985:
CuriositàZender • 24/07/16 13:15 Capo scrivano - 48336 interventi
Dalla collezione "Sorprese d'epoca Zender" il flano del film:
Non so perché nonostante conosca a memoria il finto sketch di Marenco con la Panda non posso fare a meno di ridere come se non l'avessi mai visto prima. Personalmente lo trovo geniale, ma penso che non funzionerebbe mai così bene senza Marenco.
DiscussioneRaremirko • 24/07/17 00:25 Call center Davinotti - 3863 interventi
Pessoa ebbe a dire: Non so perché nonostante conosca a memoria il finto sketch di Marenco con la Panda non posso fare a meno di ridere come se non l'avessi mai visto prima. Personalmente lo trovo geniale, ma penso che non funzionerebbe mai così bene senza Marenco.
Ripeto, a me colpì particolarmente l'autoironia di Arbore.
DiscussioneZender • 24/07/17 08:02 Capo scrivano - 48336 interventi
Pessoa ebbe a dire: Non so perché nonostante conosca a memoria il finto sketch di Marenco con la Panda non posso fare a meno di ridere come se non l'avessi mai visto prima. Personalmente lo trovo geniale, ma penso che non funzionerebbe mai così bene senza Marenco. Nel particolare non lo ricordo ma son certo che sia così. Marenco ha uno stile suo talmnente fuori dagli schemi che càpita anche a me di ridere al solo pensiero di certe sue scene.