In Falstaff c'è molto di Welles. Entrambi rifiutati (dalla Storia o da Hollywood poco cambia), superati, sconfitti ma indomiti, mai sottomessi. Entrambi costretti a fare i conti con la vecchiaia e con la morte, ma energici, vitali, dolcemente dissoluti. Capaci soprattutto, come tutti i grandi attori, di capire quando è la volta di uscir di scena, quando il proprio ruolo ormai non ha più senso di esistere. Il film è anche un monumento alla messinscena, barocca, traboccante, solenne come non mai. E un compendio di straordinarie prove d'attore.
MEMORABILE: Una per tutte: la sequenza della battaglia, ovvero le arti della regia, della fotografia e del montaggio portate al parossismo.
Difficile giudicare le opere di Shakespeare portate sullo schermo: il loro linguaggio antico e verboso è fatto per essere recitato nello spazio ristretto di un teatro. Malgrado questo la messa in scena è ottima e il film pieno di azione. Welles nella parte del grasso Falstaff non poteva essere migliore, la fotografia e le inquadrature ricordano i film di Ejsenstein e le location, seppur dell'Europa meridionale, ricostruiscono un'Inghilterra antica, grezza e selvaggia; anche negli interni dalle mura grezze e le soffitte in legno.
Con una "sceneggiatura di Shakespeare" (Welles dixit, avendo copiaincollato da varie opere ma senza aggiungere) è più facile indovinare il film, ma ci vuole arte nella messinscena. E qui ce n'è a iosa, al servizio delle parole del Bardo e di grandissimi attori (da vedere in originale per gustare fra l'altro l'imitazione di Gielgud fatta da Welles nella scena della finta commedia). Straordinaria poi la scena della battaglia, degna di Kurosawa. Quanto poi al vasto Sir John, beh per Welles era persino banale dire "Falstaff c'est moi". Superlativo.
Ispirandosi a Shakespeare e cucendo il film attorno alla figura di Falstaff, Welles racconta lo scontro tra libertà -anarchia e regola-ragion di stato e lo fa a suo modo: con uno stile sobrio ma allo stesso tempo visivamente magniloquente, stupendo così lo spettatore ad ogni visione. Le scene di battaglia sono splendide e conservano ancora oggi una potenza notevole. La fotografia chiaroscurale è da urlo. Cast tutto superbo (in originale, off course!), ma la presenza scenica di Orson è immensa e praticamente indimenticabile.
MEMORABILE: Le scene belliche: un prodigio di tecnica ed estetica.
Appoggiandosi a opere di William Shakespeare e di Raphael Holinshed, Orson Welles costruisce un altro dei suoi troneggianti e titanici personaggi in un film che riflette sulla disputa del potere, sul suo categorico totalitarismo e sull'ingratitudine umana. Falstaff, amabile sbruffone, cercherà umanità nel potere e verrà disconosciuto, scacciato malamente (c'è molto di autobiografico in questa pellicola). Il penultimo capolavoro di un uomo, un artista ormai deluso, solitario e sul viale del tramonto. Eccezionale la sequenza della battaglia.
"The magician" centra ancora l'impresa di offrire una lettura sorprendente di Shakespeare, a cominciare dalla titanica scelta di interpolarne alcuni drammi per formulare un composito quadro di coerenza espressiva e potenza drammaturgica. A colpire, rispetto alla promiscuità visiva di Othello e alla "barbarica" messinscena di Macbeth, è l'attenzione alla parola del Bardo, alla sua tracotante forza ma soprattutto alla sua duplicità capace di declinare il comico come il tragico. Orson trova in Falstaff un veicolo formidabile per il suo inquieto disincanto.
MEMORABILE: La scena della battaglia con le apparizioni del pavido Falstaff in armatura; Mastro Shallow: "Quante ne abbiamo viste"; Enrico V rinnega Falstaff.
Sontuosa messa in scena e interpretazione personale per Welles, che si ispira a Shakespeare per realizzare un'opera esemplare, che tratta di personaggi ambigui, spiritosi e in lotta con la propria personalità. Le scene di battaglia sono ancora oggi di valore e rappresentano vette di cinema altissime, così come la stupenda fotografia che fa da contorno ad ambientazioni medievali e regali di pregevole fattura. Ottimo anche il resto del cast, tra cui spiccano la Moreau e il bravo Gielgud. Un magnifico Welles in parte forse come non mai.
Mirabile scommessa: taglia e cuci di quattro opere del Bardo per crearne una quinta che avrebbe potuto ben essere scritta, dato che la carica drammatica di Falstaff non è inferiore alla sua mole: beone, millantatore e truffaldino. somma di difetti e debolezze, è il peggior compagno di avventure per un erede al trono eppure è forse proprio la sua umanità contagiosa che lo farà diventare in seguito degno della corona. Regia grandiosa che tocca il suo culmine nelle stupende sequenze della battaglia di Shrewsbury, interpretazioni impeccabili del cast con Welles monumentale: capolavoro.
Il film sarebbe da rinominare “Il Falstaff di Welles”, data la sua impronta a mo' di testamento spirituale. Sceneggiatura che riunisce varie opere e rende digeribile la vicenda storica con una misurata dose di ironia. Welles si cuce addosso il personaggio del protagonista e gira con idee registiche a profusione; la battaglia è pari al cinema di Kurosawa, anche se le piccole accelerazioni sono un peccato veniale. Di impatto i primi piani in stile Bergman e i monologhi di Gielgud. La Moreau sembra la Maddalena del Cristo e Walter Chiari si ritaglia un piccolo spazio.
MEMORABILE: La morte di Enrico IV; La lezione di Enrico V a Falstaff; La bara trainata.
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Non ho capito bene: se devo preferire mettere il link di sw alle foto prese dal web?
Quelle mi sembrano molto belle delle mura di Avila: una con la neve e l'altra con la brina.
DiscussioneZender • 17/02/11 18:28 Capo scrivano - 48439 interventi
E' una questione di diritti, soprattutto quando si tratta di foto "artistiche", per l'appunto. Vanno sempre trovate foto più anonime possibili e sw in questo è il re. In ogni caso va sempre specificato il sito da cui le si prende, scrivere da web è come non scrivere nulla.
DiscussioneRaremirko • 16/07/19 23:26 Call center Davinotti - 3863 interventi
Welles si riconferma la mente più geniale di tutta la storia del cinema; la sua è una di quelle filmografie che spiazza, toglie il fiato.
Falstaff non è una visione facilissima ma tutto, peraltro girato con pochi mezzi, è ammaliante, millimetrico, perfetto.
Ancora una volta il nostro dimostra abilità nel trasformismo (in ogni film Orson è una persona diversa) e Shakespeare, sempre arduo da tradurre in immagini, non poteva avere sorte migliore.
Welles doveva essere immortale, per fortuna almeno ci son rimasti i suoi film.