E ormai da parecchio tempo che non riesco più a vedere un sequel almeno degno del suo predecessore, ma solo inutili ricalchi che cercano in tutti i modi di rovinare ciò che di buono era stato fatto con il primo capitolo (la lista sarebbe lunga).
Dal marasma dei seguiti "inutili" non si sottrae nemmeno
Cold Prey 2, che nonostante un buon incipit e due sequenze azzeccate (il ritrovamento di Jannicke che vaga in stato di trance sulla strada innevata, la scoperta dei corpi mezzi sepolti nel cratere ghiacciato) si barcamena tra intelaiature scoppiazzate a destra e a manca (
Halloween 2 di Rosenthal il nume tutelare, l'intro ospedaliero del quarto
Venerdì 13 con il risveglio di Jason, un pò di
Delitto al Central Hospital e addirittura i riverberi di
Aliens, con i poliziotti al posto dei marines), per poi sfociare, eccola quà. in tamarrate pseudoamericane in un ipertrofico finalone action, con tanto di picozze volanti al ralenti che manco
Matrix (ma perchè infilarci stè boiate?), per chiudere il tutto con la fucilata a bruciapelo e il proiettile in CG! e inutili parentesi patetiche (il bimbo ingessato).
Jannicke diventa ben presto una specie di Ripley (giusto per amplificarne il lato cafone) e il gore nel body count ne guadagna (dita tranciate a fucilate, sgozzamenti, estintori sbattuti violentemente sulla capoccia, qualche braccio amputato quà e là, perforazioni istantanee) ma si perde tutta la suggestione, il fascino e la tensione del primo capitolo, per addentrarsi in zona "sparatutto" ben più deleterea e fracassona.
Peccato, perchè l'inizio prometteva bene, perchè tecnicamente il film non fa una grinza e la Berdal è davvero brava, forse una delle più interessanti final girl mai apparse in uno slasher di inizio millenio.
Sviscerando il più possibile lo slasher d'oltreoceano, con tutti i suoi clichè (va da se' che il look norvegese non è poi molto dissimile da quello americano, come le loro canzonette così simili al country) si và dal poliziotto tonto, ad una specie di dottor Loomis dei fiordi che spiega le origini "non umane" del killer appena nato (spiegone che manda a farsi friggere il crudele flashback nel finale dl primo, come se ne si sentisse il bisogno di spiattellarlo), dalla classica addocciata, dall'irruzione della polizia, all'attacco in macchina stile il terzo
Venerdì 13, a Jannicke che diventa la nemesi del babau messneriano, fino a seguirlo nella sua tana (il motel abbandonato tra le nevi) e regolarne, una volta per tutte, i conti.
Il killer alpinista che viene fatto resuscitare a colpi di defribillatore (con disapprovazione della stessa Jannicke), il dubbio della scelta sulla picozza da usare per la mattanza (quella nuova o quella storica?) un pò come succedeva a Jason in
Jason X, indeciso se adoperare il nuovo machete cibernetico al posto di quello vintage, la possente figura del boogeyman montanaro, che con la sua picozza sembra più parente stretto del minatore ammazzacristiani di
San Valentino di sangue.
E così anche il nostro messnerone omicida , quì, perde di consistenza, scaltro e cupamente eremitico nel primo, immortale e completamente anonimo nel secondo, uguale a altri mille "uomini neri" nel panorama dello slasher.
Al contrario dell'attesa sottilmente tesa del predecessore, quì si arriva subito al sodo (forse troppo), mandando a remengo tutto quello che di buono aveva il primo
Cold Prey, dove Uthaug (quì produttore esecutivo) approfittava degli angusti e tetri spazi del motel per creare e costruire un'angoscia latente, per poi sfociare nel finale tra i ghiacci di notevole presa, sia visiva che slasheristica, al contraio di questo sequel, che butta tutto in caciara con cafonissimi stilemi action che nemmeno
Tomb Raider.
Curioso come ogni tipo di richiamo alla sessualità sia severamente bandito (se si esclude il poliziotto imbranato che si prende una collegiale scuffia per l'infermiera), e anche la violenza (seppur meno timida che nel capostipite) sia comunque frenata e fuori campo (esempio: estintore dato in testa alla povera vittima di turno, schizzo di sangue sulle pareti, stop, fine).
Resta la buona resa tecnica (spanne sopra a film di questo (de)genere e curiosamente, almeno fino a questo istante, primo e unico film del norvegese Stenberg, che , al di là della poco riuscita del film, il talento registico ce l'ha), l'ottima fotografia, un paio di momenti girati da Dio, l'interessante intro (che si ricollega direttamente alla fine del primo) e poco altro.
Anche questo, come d'altronde il suo predecessore, rimasto inedito da noi, e ottimo il dvd francese della
Studio Canal, anche se senza uno straccio di extra.