Insieme a DOGMAN esce anche la versione romana (quindi sulla carta più corretta) della celebre vicenda del canaro della Magliana, cogli anni cresciuta nel mito per via di quel finale grottesco e sanguinario che, se nel film di Garrone era in qualche modo stemperato da un approccio più "alto", qui viene riportato alla sua primordiale ferocia da un regista nato e noto come ottimo realizzatore di effetti speciali. Naturale quindi che il clou del film sia rappresentato dagli ultimi minuti, in cui la furia dell'uomo timido e sottomesso (ma molto meno che in DOGMAN) esplode lasciando spazio a una lunga...Leggi tutto teoria di torture rese graficamente da chi sa che lì può puntare al meglio in un'epoca in cui nel campo già si è osato senza limiti. Manca a Stivaletti la profondità di visione di Garrone, non può essere sostenuto dallo stesso straordinario lavoro sulla fotografia (che anzi qui è piatta e penalizzante) e sulle scenografie che hanno portato DOGMAN a raccogliere premi nel mondo, ma il suo canaro è più vicino alla realtà (difficile da immaginare a Castel Volturno) anche per via di una semplicità e immediatezza che si accosta subito al personaggio. Una storia cruda, un protagonista (De Filippis) decisamente più spregevole rispetto alla controparte garroniana, mite solo in apparenza, sicuramente meno abietto dell'amico/nemico Claudio (Olivari) con cui trascorre buona parte delle scene ma gran consumatore di cocaina e non certo galante con la moglie (Mondello). Sembra invece amare profondamente i cani di cui si occupa: li lava e li cura nel negozio risistemato proprio grazie a Claudio, con cui continuamente si scontra per i motivi più disparati e per ovvie colpe del carattere egocentrista e prepotente di quello. L'aver trasferito la vicenda dagli Anni Ottanta a oggi non pare in fondo aver cambiato troppi particolari nella storia e sicuramente è servito a risparmiare su un budget non certo ampio. Ed è un peccato che l'appeal un po' televisivo dovuto a una confezione modesta danneggi una storia che anche in questa versione meno ambiziosa dimostra di saper comunicare sentimenti forti, che esplodono nel finale delirante tramandato dalle cronache (ma che all'evidenza dei fatti sembra essersi svolto molto diversamente, come stabilì il processo). Ci sono la cocaina, la musica ad alto volume, le martellate e molto di più, in un finale che potremmo facilmente accostare a uno dei tanti torture-porn usciti in questi anni, ma anche un addio al mondo dolce, in controtendenza. La figura di Pietro De Negri (che diventa - nell'interpretazione di De Filippis - Fabio De Nardis) emerge con chiarezza nelle sue sfumature psicologiche e disegna bene il carattere del protagonista, pur all'interno di uno schematismo generale piuttosto puerile che d'altronde non è difficile associare ai veri criminali di allora. Piccola parte per Luis Molteni nel ruolo del cassamortaro.
Exploitation a tempo di record, proprio come si faceva nei bis di un tempo: il Canaro di Stivaletti è quello più ovvio (anche nella simbologia canina) che però offre al morboso ciò che Garrone non manteneva, ripristinando contorni realistici (che tuttavia non sono neanche qui quelli della Magliana anni '80) e rimettendo al centro gli ingredienti che fecero la mitologia della cronaca (la cocaina come miccia, la tortura splatter come detonazione) e che in Dogman diventavano quasi secondari. Eccessivo, sguaiato, ma per certi versi necessario.
Versione coatta di Dogman. I personaggi sembrano più una sarabanda di freaks, tutti talmente sopra le righe e continuamente ammiccanti da risultare poco credibili. Lo stile di ripresa si adatta più a uno sceneggiato televisivo. La trasformazione del protagonista sembra saccheggiare la filmografia sui licantropi ma risulta quasi patetica. La virata splatter finale è talmente forzata che pare voglia mettere una pezza alla mediocrità generale ma conferma l'impressione da pessimo B-movie.
Decisamente più vicino alla realtà del suo simile, uscito quasi in contemporanea. Forse proprio per questo più apprezzabile, nonostante alcuni limiti dovuti sicuramente a un budget neanche lontanamente vicino a quello di Garrone. Come è giusto che sia siamo a Roma, anche se ai giorni nostri e manca quindi quell'atmosfera tipica della Magliana anni 80, ma si sarebbe incappati nel rischio di assomigliare troppo a Romanzo criminale. Stivaletti è maestro degli effetti e dopo una parte lenta ma buona, esplode in un bagno di sangue clamoroso. Bravo.
MEMORABILE: La recitazione di De Filippis, bravo con le due sfaccettature del suo personaggio; L'attenzione al ruolo dei cani nel mondo del protagonista.
Non è da queste parti che deve passare il cinema che cerca strade ambiziose o comunque che superino il didascalismo di fondo. Va detto che qualche pillola la regala e che De Filippis fa il suo sporco lavoro. Più pupazzeschi Olivari e il commissario che, insieme a una regia e fotografia poco speciali (in certi frangenti da tv libera) decretano il pendere dell'opera verso la dimenticabilità. Coevo di Dogman ma ogni confronto risulta inopportuno, anche se estremizzando può essere visto come complementare.
MEMORABILE: Il calcio alla cagnolina, momento veramente basso del film.
Stivaletti gira il suo "Dogman" rappresentando la sua versione del canaro, non lesinando in violenza e in effetti gore alquanto truculenti. Non poteva essere altrimenti, perché il regista mette tutte le proprie qualità da notevole artigiano in una pellicola sentita, con picchi di notevole visceralità. Peccato che la fotografia di stampo televisivo annacqui le potenzialità della regia, che offre almeno un paio di sequenze ragguardevoli, soprattutto nel finale. Dell'Acqua e Radice sono comprimari di lusso e fanno tornare in mente il cinema-bis che fu.
MEMORABILE: Le continue vessazioni subite dal canaro; La rimozione del microchip; La sanguinosa vendetta.
Con la foga picchiatrice di uno scalpellatore miope, il sempre debordante Stivaletti incide sulla pietra consunta del Mandrione una riscrittura intrucidìta e suburrizzata dei sordidi eventi dell'88, saccagnando di calci e pugni la cronaca nera sino a sforare senza controllo nella carnezzeria horrorista. Tutto il marcio minuto per minuto, scandito dal gigionismo imbruttito di due facce patibolari intente a battersi il petto gorillescamente con somma trucibalderìa. Come spesso accade però, l'autore evita di fermarsi allo stop del "deppiù", violando in malafede il codice del buonsenso espositivo.
MEMORABILE: L'esageratissima sagra finale di brutture, sevizie, mutilazioni e craniotomìe sadicamente inflitte al tamarrone Claudio...
Rispetto al Dogman di Garrone, questa rilettura exploitativa e improntata sul crime/horror (grandiosa l'esplosione gore del finale) della nota vicenda è graficamente più esplicita ma paradossalmente meno agghiacciante. Per essere un prodotto indie non è fatto male: Stivaletti dimostra di essere registicamente maturato, il cast (chi più chi meno) se la cava. Ma sembra tutto molto finto, lontano, indiretto. Inoltre, fra qualche ingenuità e qualche caduta di ritmo, la durata di due ore è eccessiva. Si lascia guardare, ma va preso per ciò che è.
MEMORABILE: Il canaro affetto da idrofobia; Le foto di Argento, Cozzi e company nel distretto di polizia; I combattimenti canini; Il violentissimo finale.
A trent'anni dal fattaccio di cronaca del "canaro" della Magliana, ecco la versione dal budget minore rispetto al ben più celebre Dogman (uscito pressoché in contemporanea). L'opera dell'effettista prestato alla regia Sergio Stivaletti (il mestiere si rileverà particolarmente nei frangenti splatter), malgrado lo povertà di mezzi riesce a essere convincente spostando la cronaca ai giorni nostri con la medesima efficacia. Le prove attoriali, visto l'ampio uso delle caratterizzazioni locali, risultano di buon livello.
La drammatica vicenda del "canaro" ricostruita, con qualche licenza, in una pellicola che si muove con perfetto equilibrismo fra generi diversi: in un solo film ci sono il cinema d'inchiesta e di denuncia sociale, il thriller e persino l'horror. Lo splatter tocca vette estreme, forse sgradevoli per molti, ma non sembra qui del tutto fuori luogo: la storia originale era talmente sconvolgente da non poter essere resa in altro modo, se si ambiva a una narrazione realistica, accentuata ulteriormente da un'ambientazione in una degradata periferia.
Una tacitamente accettata tradizione di genere lo vuole rude e sgraziato: previsione rispettata. Quello che forse non ci si attende è la relativa verosimiglianza della costruzione narrativa, assai meno raffazzonata di quanto si sarebbe portati a pensare a un primo approccio. Buoni i protagonisti (criptico De Filippis, sanguigno e pirotecnico Olivari, discreta ma funzionale la Mondello). Imparagonabile con Garrone, nel senso che nessun paragone è possibile quando non si danno elementi comuni di comparazione. Fedele alla leggenda il finale sanguinolento.
MEMORABILE: Lo stupro e l'uccisione della cagnetta del canaro, proverbiale goccia che fa traboccare il vaso.
Versione brutta, sporca e cattiva di Dogman, più diluita ma anche più incisiva e meno manichea, basata sul solito non memorabile soggetto e appiattita da una confezione non eccellente. Si evitano le cadute nel trash ma non quelle nell'esagerazione, con un finalone i cui trionfali effetti splatter, di per sé godibili e piuttosto ben realizzati, rischiano di far precipitare nel grottesco la tanto attesa catarsi. Bravo De Filippis, Olivari odioso il giusto ma a rischio parodia involontaria. Non così inferiore al sopravvalutato film di Garrone.
Lo stesso atroce fatto di cronaca ma un film assai diverso da quello quasi contemporaneo di Garrone, più aderente alla realtà per quanto riguarda l'ambientazione borgatara, meno nella ricostruzione del delitto che si ispira piuttosto alla visione distorta ed allucinata data allora dall'omicida e ripresa dai giornali. Rispetto alla coppia Fonte/Pesce, qui il rapporto è più sfumato: De Filippis è meno vittima, Olivari meno opaco. Una ambiguità intrigante sostenuta da due bravi attori che avrebbe essere approfondita omettendo gli intermezzi polizieschi piuttosto goffi. Buono a metà.
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Da quello che posso capire dal post, non credo tu stimi tanto Benigni...
Allora cerco di rispondere brevemente tanto per non sottrarmi, poi se volete chiudiamola e cancelliamo pure:
Benigni lo preferisco in altre vesti (televisive, teatrali) mentre non ho mai apprezzato il suo specifico cinematografico. Ma non è questo il punto:
un utilizzo di Benigni in versione drammatica sarebbe la classica operazione di decontestualizzazione, che di solito riescono a metà.
Pupi Avati è uno specialista in questo: ma in fondo gli riuscì solo la prima volta, con Abatantuono; dopo (con Boldi, De Sica, Greggio) è andata maluccio.
DiscussioneRaremirko • 8/07/19 22:57 Call center Davinotti - 3862 interventi
Il Dandi ebbe a dire: Raremirko ebbe a dire:
Da quello che posso capire dal post, non credo tu stimi tanto Benigni...
Allora cerco di rispondere brevemente tanto per non sottrarmi, poi se volete chiudiamola e cancelliamo pure:
Benigni lo preferisco in altre vesti (televisive, teatrali) mentre non ho mai apprezzato il suo specifico cinematografico. Ma non è questo il punto:
un utilizzo di Benigni in versione drammatica sarebbe la classica operazione di decontestualizzazione, che di solito riescono a metà.
Pupi Avati è uno specialista in questo: ma in fondo gli riuscì solo la prima volta, con Abatantuono; dopo (con Boldi, De Sica, Greggio) è andata maluccio.
Ja, ja, ja; Benigni si può vedere semidrammatico già ne La vita è bella, ad ogni modo.
Bubobubo ebbe a commentare: Quello che forse non ci si attende è la relativa verosimiglianza della costruzione narrativa [...] Fedele il finale sanguinolento.
Chiedo scusa ma per dovere di cronaca il finale è fedele casomai alla leggenda, ma non alla verità né storica né giudiziaria.
Riporto da wikipedia:
La ricostruzione del De Negri fu smentita dai riscontri oggettivi e dall'autopsia. (...) La morte era dovuta a una decina di martellate che avevano provocato l’emorragia cerebrale e la morte nell'arco di quaranta minuti.
La perizia medico-legale dell'Arcudi stabilì che la maggior parte delle violenze furono solo ideate - nel delirio della droga e nel desiderio di vendetta - ma non realizzate. Tutto finì in poco più di mezz'ora e Ricci morì per le ferite alla testa. Nessuna tortura gli fu inflitta da vivo, nessuna cauterizzazione, nessuno shampoo fu mai usato e mai Ricci entrò nella gabbia, della quale non fu trovata traccia.
DiscussioneBubobubo • 18/08/19 21:49 Archivista in seconda - 271 interventi
Il Dandi ebbe a dire: Bubobubo ebbe a commentare: Quello che forse non ci si attende è la relativa verosimiglianza della costruzione narrativa [...] Fedele il finale sanguinolento.
Chiedo scusa ma per dovere di cronaca il finale è fedele casomai alla leggenda, ma non alla verità né storica né giudiziaria.
Riporto da wikipedia:
La ricostruzione del De Negri fu smentita dai riscontri oggettivi e dall'autopsia. (...) La morte era dovuta a una decina di martellate che avevano provocato l’emorragia cerebrale e la morte nell'arco di quaranta minuti.
La perizia medico-legale dell'Arcudi stabilì che la maggior parte delle violenze furono solo ideate - nel delirio della droga e nel desiderio di vendetta - ma non realizzate. Tutto finì in poco più di mezz'ora e Ricci morì per le ferite alla testa. Nessuna tortura gli fu inflitta da vivo, nessuna cauterizzazione, nessuno shampoo fu mai usato e mai Ricci entrò nella gabbia, della quale non fu trovata traccia.
Hai perfettamente ragione, ma nelle poche battute concesse non potevo andare troppo di fino.
infatti la parte finale del suo commento non corrrisponde al vero..... va almeno modificata o coretta; ne girano di leggende metropolitane senza senso sul Canaro.....
Concordo con entrambi e assicuro che odierei passare per il seccatore che costringe un altro utente a cambiare le sue parole.
DiscussioneZender • 19/08/19 22:05 Capo scrivano - 47698 interventi
Ma no, perché seccatore, bisogna anche imparare ad ascoltare. Mica hai detto che commento infame o cose del genere. Bubo ha corretto bene e il commento ci ha guadagnato senza dubbio.
DiscussioneBubobubo • 20/08/19 14:12 Archivista in seconda - 271 interventi
Zender ebbe a dire: Ma no, perché seccatore, bisogna anche imparare ad ascoltare. Mica hai detto che commento infame o cose del genere. Bubo ha corretto bene e il commento ci ha guadagnato senza dubbio.
Assolutamente, nessuna seccatura, anzi, hai fatto bene a sottolineare!