Siamo nella "settimana di Passione del novecentoventiseiesimo anno dalla nascita del Cristo", in un'epoca medioevale poco affrontata dal cinema che Pupi Avati decide di mettere in scena attraverso un'opera corale. E' un tempo in cui il senso del sacro impregna l'azione del popolano come del signore e la presenza di Dio come entità superiore tutto sovrasta e domina, nonostante ancora sia ben radicata nell'animo umano una ferinità retaggio d'un passato selvaggio. Scegliendo personaggi diversi, di differente estrazione sociale, età e ambizioni, Avati cerca di coprire quanto più possibile lo spettro delle emozioni per restituirci un quadro che...Leggi tutto possa avicinarci a un'era che ci appare lontanissima, in cui il rapporto con una natura non ancora schiacciata dall'avanzare inarrestabile del progresso concede aperture paesaggistiche talvolta meravigliose. Siamo in una terra imprecisata del Centro Italia, descritta a lungo nei suoi confini secondo una geografia che pare oggi quasi inafferrabile, e una ingombrante voce fuori campo non perde occasione per accompagnare puntigliosamente l'azione portando il film a confondersi a tratti con il documentario, come se unico interesse di Avati fosse quello di dare forma e vivace immagine alle testimonianze del tempo pervenuteci. Quindi grande cura nelle scenografie, nei costumi e nei temi che vengono portati avanti attraverso personaggi che diventano di fatto veicoli per la semplice trasmissione di concetti, tradizioni e usanze, senza che in essi si riesca quasi mai a percepire il vero sentimento. E questo nonostante si indugi molto sugli sguardi, se ne soppesino le parole. Di tutti forse le figure più azzeccate e che più facilmente restano impresse sono quelle del boia e del suo giovane assistente che deve apprendere il mestiere. Più forzatamente melodrammatica quella dell'ex cavaliere che si prepara a morire, meno incisiva quella della ragazzina che si appresta a prendere la via del convento. Ed è un convento anche la meta alla quale, per le ragioni più diverse, quasi tutti i protagonisti tendono a convergere, seguendo un percorso che li porta a muoversi tra i verdeggianti paesaggi, a incontrare altri personaggi dando la possibilità al film di approfondire sempre più quella certa parte di mondo che condivideva credenze e convinzioni che ora ci appaiono inevitabilmente ingenue e rozze. Simpatico Crocitti che aggiorna una sorta di necrologio visitando le rocche, divertenti i religiosi che trascorrono il tempo sfidandosi a indovinare passi della Bibbia o dei Vangeli, esempio di quanto le figure secondarie trovino spesso il loro perché anche più di chi sta al centro della storia. Cesare Bastelli provvede a una fotografia di qualità più di un Riz Ortolani le cui musiche non sono invece per nulla memorabili. Certo che tra la logorroica voce fuori campo, i tempi che si allungano, le pause infinite e vicende il cui coinvolgimento è limitato, il film pare soprattutto un esperimento scarsamente riuscito che soffoca la creatività e il talento di Avati favorendo una messa in scena soclastica e sterile.
Lascia perplessi. È parzialmente una delusione, quello che per molti è il capolavoro di Avati. Certo: grande cura nei particolari, buone interpretazioni, soffusa pittoricità, qualche momento interessante ma, tolto il bell’episodio del boia, il film dov’è? Resta l’impressione di aver visto temi da documentario da "History Channel", ma con l’aggravante che non era un documentario.
MEMORABILE: Il quiz (ante litteram...) dei versetti.
Buon film di Avati, che costituisce uno delle migliori pellicole sul Medio Evo. Così come ama trattare piccole storie quando parla del periodo della sua fanciullezza (dichiarazioni d'amore), il regista emiliano tratta con la stessa passione per il dettaglio anche l'argomanto storico. Con una costruzione perfetta (frutto dello studio di migliaia di testi), Avati ci fa vivere una Settimana Santa del secolo buio, come dovesse raccontarci di un pomeriggio d'estate, ad anni luce dall'ambizioso I cavalieri che fecero l'impresa (molto meno riuscito).
Fola altomedievale nella cui farraginosa sceneggiatura si intrecciano storie diverse (un moribondo, le attività di due boia, una giovanissima novizia, una donna gravida, un monaco che registra i decessi…) che insieme ritraggono un mondo pieno di crudeltà e contraddizioni: tutto questo si sapeva già… Avati conferma le sue doti registiche e Bastelli quelle di direttore della fotografia, ma il film risulta nel complesso freddo e pesantemente didascalico, anche a causa dell’incessante voce fuori campo.
La ricerca del divino ed il rapporto tra fede e superstizione sono al centro di questo film di Pupi Avati, molto celebrato dalla critica, ed ambientato nell'Alto Medioevo (prima dell'anno mille) in un mondo che il regista immagina (probabilmente giustamente) oscuro e dominato da ignoranza e ritualità. L'ambientazione e la fotografia risultano decisamente riusciti ma il film ha il difetto di essere decisamente troppo didascalico ed illustrativo, quasi come un bel quadro privo di anima.
Spiacenti, ma qui Avati ha proprio steccato. Non è mal realizzato, per carità e gli eventi che si intrecciano hanno anche una credibile collocazione e cornice storica. Il problema di fondo, in fin dei conti insuperabile, è: che cos'è questo film? Che genere è? Cosa mi sta raccontando? Sinceramente lascia perplessi. A tratti sembra quasi un documentario, o una ricostruzione storica alla Piero Angela. Una concatenazione di storie che poi storie non sono, perché non succede più o meno nulla. Non più di una stella. Mah...
Pellicola amorfa nella filmografia avatiana. Rappresenta un tentativo di mostrare al pubblico un Medioevo nudo e crudo, così come sarebbe veramente stato. Fin qui Avati riesce nel suo intento. Il film però non decolla: le troppe storie si intrecciano male tra loro, non hanno un vero e proprio sviluppo e restano piatte. Buone le ambientazioni, peccato per la sceneggiatura, a tratti inesistente. L'insistito stile documentaristico con voce fuori campo rende il tutto troppo noioso e difficile da seguire con attenzione.
Un polpettone storico, di difficile digestione per l'assoluta mancanza di ritmo o situazioni accattivanti: il regista non concede nulla, puntando su un realismo assoluto, mostrandoci uno squarcio sul Medioevo più cupo e povero. C'è qualche errorino (lo Jus Primae Noctis è un falso storico), qualche forzatura nel voler legare per forza le vicende e la visione del Medioevo come "secoli bui" è un poco stereotipata (e stroricamente superata). Non malissimo, così-così...
Manieristico non è, ma alla ricerca di una cifra stilistica originale perde la carica emotiva, si affloscia gradualmente fino a diventare noioso. Avati non imbrocca il genere e lo sbadiglio è dietro all'angolo. Alcuni attori sono discreti, ma sono diretti male e i dialoghi non mi sono piaciuti (compresa la voce fuori campo, io narrante distaccato come nella pubblicita dell'amaretto di Saronno).
Avati in questo film non ci accoglie, non sceglie la leva dei sentimenti per metterci a nostro agio; ci racconta una storia in cui le vicende narrate non si intrecciano ma procedono separate. L'oblata che riempe il vuoto di una ragazza morta. L'esecutore di giustizia. Ancora una storia di morte e sulla morte; del patto che il morente stringe con il familiare più caro: la promessa di far avere notizie dall'aldilà. E della ricerca dei segni che sarebbero compimento della promessa. Un film non facile che non vuole essere, per forza, difficile.
MEMORABILE: La ragazza oblata che intaglia la colomba di chi morirà lontano da casa; che la colomba indichi la via per il ritorno dell'anima.
Come non apprezzare questo affresco in cui, molto realisticamente, si intrecciano storie a tematica religiosa attorno all'anno mille? L'intento pare quasi documentaristico-antropologico e il clima mistico viene ricostruito ad arte grazie al contributo dei testi, i costumi, gli oggetti, i paesaggi suggestivi. Il risultato è raggiunto pienamente.
Alle soglie dell'anno Mille, una serie di episodi intrecciati, aventi tutti un legame più o meno stretto con lo spirito religioso e la superstizione. Alcune parti hanno un quieto sapore semi-documentario, come quelle riguardanti la bimba avviata alla vita monastica e il fraticello che va da un convento all'altro a registrare le morti dei confratelli, ma è quella drammatica con venature horror, avente per protagonisti il boia e il suo aiutante alle prime armi, a risultare di gran lunga più riuscita. Risultato squilibrato ma interessante, migliore del successivo excursus medievale di Avati.
MEMORABILE: L'annegamento della donna; lo squartamento dell'uomo che per giorni ha seguito i suoi carnefici, in attesa dell'esito del "giudizio di Dio"
Non avrà le atmosfere del Nome della Rosa e tende verso la ricostruzione documentaristica, ma si lascia guardare tutto di un fiato e coinvolge dal primo momento. Insistendo su suoni naturali, crudi, senza il supporto emotivo di un’ingombrante colonna sonora, riesce ugualmente a emozionare e divertire. Le scene nel convento poi, valgono la visione. Il tocco dell’artista si vede anche in questo film, che tratta un’argomento forse difficile da proporre, ma il risultato è eccellente.
L'anno mille e il senso religioso dominante, senza spazio alcuno a sentimentalismi o giudizi di sorta, nessun intervento al di fuori dello sguardo imparziale di chi viaggia nel tempo, dove la ritualità si fonde con la vita e la morte, gesti, segni, suoni. Bellissimo riassunto di esistenze che corrono nel loro silenzio e nelle grida degli innocenti. Non valorizzato come meriterebbe.
Uno dei migliori film di Avati, perfettamente consonante al perturbante dei suoi film fantastici. Stavolta è il Medioevo dell'Italia profonda a ricreare, pur in una narrazione piana e senza invenzioni visive, un tono arcano e favoloso. Tradizioni e credenze religiose e popolari costituiscono una costellazione remota e fascinosa, dai toni serenamente distaccati e purgatoriali. Nulla di innovativo, ma va apprezzata la misura e la commozione di alcune scene (i gesti delle oblate devote al silenzio, le colombe di legno).
Stralci di vita quotidiana del X secolo fra nascita e morte, fede e superstizione. Avati sceglie i toni epici affidandosi alla forza evocativa delle splendide immagini ma l'assenza di una storia che conduca tutto sui binari della linearità fa in modo che il film si riduca ad un puro esercizio formale. Gli attori eseguono con diligenza, ma in molti casi l'impegno non riesce a sostituire il talento. Va meglio sul piano tecnico, con musiche, scenografia, costumi e fotografia di ottimo livello ma un ritmo catatonico rende la visione oltremodo pesante. Solo per appassionati.
Avati inventa un medioevo magico, padano e separato. E' bravo ad effondere i riti, le punizioni, la fissità dei ruoli in una natura ferma e dominante, che sancisce Dio e insieme lo mette in dubbio. Stona qualche faccia troppo levigata, da belloccio moderno (Baino pare Raoul Bova più che un vice-boia) ma la messa in scena frugale e le location sanno fermare i tempi del giorno e della notte, legati tra loro dalla suadente voce narrante. Tener da conto su tutte le storie del carnefice e del messo dei morti. Il più pasoliniano dei film del regista emiliano.
MEMORABILE: Il nuovo principe aspetta un segno dall'aldilà che non arriva; Il processo all'adultera; "Salutiamo per la croce".
Avati realizza quasi un documentario sul medioevo. Il risultato finale è pesante assai e lo spettatore si deve armare di santa pazienza per arrivare alla fine dello spettacolo. Non che il film non abbia dei pregi: tecnicamente è ben realizzato e le interpretazioni sono mediamente di alto livello, ma le storie a cui assistiamo sono molto frammentate e di scarso interesse (ad esclusione di quella riferita ai due boia). Ad aggravare la situazione un commento con voce fuori campo, troppo insistito e decisamente molto faticoso da seguire. Non certo tra gli apici del regista.
Ottimi la fotografia, la buona ambientazione medievale e il discreto cast, senza contare qualche buona idea quale quella di Vincenzo Crocitti che va in giro a segnare i morti; ma la sceneggiatura, come spesso accade con Pupi Avati, è disomogenea e alterna momenti buoni ad altri che non hanno molto senso. Il film poi è molto lento e scellerata si rivela la scelta di una voce narrante onnipresente che rallenta ancora di più l'azione. L'episodio migliore è quello del boia, il resto sembra un documentario, peraltro molto pesante. Peccato.
Alto medioevo in Italia, quasi alla vigilia dell'anno 1000. Un mondo di cui si è persa la memoria, o forse la si è proprio voluta cancellare, perché caratterizzato da una totale mancanza di pietas. Come assente è quel Dio, continuamente evocato e invocato, nel cui nome si esercita una giustizia crudele e sommaria. Avati affresca gli orrori di quel periodo senza risparmiarci nulla nella visione di ciò a cui potevano condurre superstizione e sottomissione. Storie che si svolgono nel nitore della natura o nel chiuso di conventi. Magnificamente diretto, fotografato e interpretato.
MEMORABILE: L'annegamento della donna colpevole di adulterio; La cerimonia nuziale con la promessa della moglie di morire prima di invecchiare.
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Davinotti non ha mai visto questo film di Avati???
DiscussioneZender • 27/05/14 14:19 Capo scrivano - 48841 interventi
Potrebbe averlo visto nel famoso periodo buio, ovvero in quei due anni (circa) in cui Marcel scrisse centinaia di impressioni su computer che il fratello Lupus K. cancellò in un disgraziatissimo pomeriggio con un clic.
Zender ebbe a dire: Potrebbe averlo visto nel famoso periodo buio, ovvero in quei due anni (circa) in cui Marcel scrisse centinaia di impressioni su computer che il fratello Lupus K. cancellò in un disgraziatissimo pomeriggio con un clic.
Capito.
Quando mi scrivi direttamente, per favore chiàmami, altrimento rischio di perdere il post.
DiscussioneZender • 28/05/14 08:21 Capo scrivano - 48841 interventi
Sì, ma anche se ti perdevi la mia risposta non era sto gran perdere :)