Mario Bava torna al western dopo il mediocrissimo LA STRADA PER FORT ALAMO; ma nel frattempo il genere sta cambiando (stanno per arrivare Trinità e Bambino) e abbandonati i panni seriosi imposti dai grandi capolavori leoniani si sta trasformando in una sorta di commedia travestita. E allora poteva Mario Bava, da sempre consideratosi uomo divertente e ironico, non approfittare dell'occasione? Ovviamente no. Ecco quindi ROY COLT E WINCHESTER JACK, puerile storia di due amici (Roy Colt è Brett Halsey, Winchester Jack lo sconosciuto Charles Southwood) sulle tracce dell'oro...Leggi tutto del Reverendo, un grasso lestofante dal marcato e maccheronico accento russo. I due aitanti giovani (uno bruno, l'altro biondo a formare l'accoppiata perfetta) quando si incontrano se le danno di santa ragione, un po' per scherzo un po' per esercizio, ma quando nella loro vita s’inserisce una bella prostituta indiana (Marilù Tolo), le loro strade sembrano dividersi. Bava dirige senza troppi virtuosismi (pur lasciando la sua impronta su alcune indovinate inquadrature e nel senso artistico con cui riprende alcuni paesaggi di per sé molto squallidi), esagerando con i soliti zoom e facendosi riconoscere soprattutto per quella comicità quasi surreale, apparentemente ingenua, caratteristica delle sue opere meno riuscite (vedi 5 BAMBOLE PER LA LUNA D’AGOSTO o LE SPIE VENGONO DAL SEMIFREDDO). Tuttavia il film, va detto, è scorrevole e scanzonato; privilegia per fortuna ancora le sparatorie alle zuffe e resta un esperimento singolare, nel panorama western italiano. Proprio per la sua semplicità mista a un talento registico particolare comunque riconoscibile. Pur se stereotipata, la figura del russo è fonte di divertimento.
È risaputo che il miglior western di Bava è I coltelli del vendicatore... Poco a suo agio col genere, il Maestro qui non è nemmeno (e di gran lunga) il primo a sabotarne i meccanismi dall'interno, come abituato a fare, sicché le cose che sembrano stupidotte lo sono per davvero. Menzione d'onore per Doro Corrà, qui ottimo. Per una volta Umiliani (magistrale in altri ambiti ma di solito poco brillante coi cappelloni) imbrocca la colonna sonora di un western, proprio perché così così...
Bruttissimo e senza appello; chiaramente Bava lo dirige per contratto. Nonostante tentativi di lettura di decostruzione dello spag (Giusti) è solo un brutto film peggio di un Fidani. D'altronde che il western non fosse nelle corde del regista era stato ampiamente dimostrato da quelli precedenti. Basta; non aggiungo altro. Ah sì, bellissima Marilù Tolo anche col cerotto sui capezzoli.
MEMORABILE: "Una donna chiamata cavalla" dice Corrà alla Tolo.
"Roy Colt e Winchester Jack" è l'ultimo western targato Bava ed è anche uno dei suoi film peggio riusciti. Girato in fretta e furia, di Bava in questo lungometraggio c'è solo l'ombra. Anche se il regista porta avanti illuminazioni atipiche e utilizza lo zoom (qui particolarmente abusato per risparmiare sul montaggio), il film non decolla e scade in un umorismo da commedia da quattro soldi che contribuisce solo ad indebolire il tutto.
Western goliardico e parodistico – si citano pure titoli e personaggi di altre pellicole – che Bava dirige senza convinzione su soggetto e sceneggiatura di Mario Di Nardo, pur lasciando intravedere il proprio marchio di fabbrica nella fotografia di alcune riprese notturne (la caverna) e nel tono beffardo generale. Ruolo della vita per Doro Corrà, che assurge ad incontrastato mattatore nei panni del “Reverendo”, buffo bandito russo dai trascorsi in seminario.
Probabilmente Bava si sarà divertito parecchio a girare questo sgangherato spaghetti western; purtroppo gli spettatori non riescono a provare le stesse sensazioni guardando la pellicola. La trama è praticamente inesistente; ciò non rappresenta un male assoluto, ma per raggiungere il metraggio canonico, la sceneggiatura tira in lungo certe situazioni (vedi il bordello) rendendo più pesante il risultato finale. La mano di Bava si può riconoscere in certe inquadrature e nell'uso smodato dello zoom, ma è veramente poco per salvare il film. *!
Bava scivola rovinosamente sulla buccia di banana del western umoristico (genere di per sé già ad alto rischio caduta: qualche buon tentativo di Burt Kennedy e la discreta parodia di Brooks, poi verranno Bud e Terence), dimostrando tutta la sua riluttanza alla “commissione” con un film scipito e svogliatissimo. Pur forzandone la lettura come anticipazione del fagioli western, di salvabile restan davvero poche pallottole: la simpatica prova della Tolo, il pingue reverendo di Corrà, un incredibile Isa Miranda tenutaria del bordello. Irrisorio non irridente.
Se è vero, come è vero, che qui occorre esprimere inevitabilmente una valutazione, ebbene questo film è fra i meno facilmente valutabili. Bava massacra scientemente il genere, sia in senso classico sia in senso spaghettaro, puntando su un comicarolo in confronto al quale i film Hill-Spencer paiono quasi seri. Il tutto in un cornice polivalente (gran parte degli esterni mi pare girata ad Anzio, forse in cento metri quadrati). I tocchi leggeri sono spesso azzeccati (il fischio che richiama il cavallo, il volto nello specchietto d'acqua), mentre l’ingombrante personaggio di Corrà infastidisce nel suo grande, ma ha perle nel suo piccolo (anziché “cowboy” dice “mugik”!).
Scadente pellicola del Maestro Mario Bava. Come da lui stesso dichiarato più volte, il genere western non lo ha mai convinto e ha diretto pocchi titoli, senza troppa convinzione e mezzi poverissivi. Purtroppo il risultato è evidente: il film risulta semi-comico e anche le ambientazioni sono ridotte all'osso. Per fortuna che Bava ha poi dato il meglio di sé con altri generi...
Da un soggetto dello sceneggiatore Di Nardo nasce una divertente commedia western a tratti goliardica girata dal bravo Mario Bava. Nel cast non eccelso spicca per simpatia il reverendo russo fissato con la dinamite interpretato da Corrà e che funziona alla perfezione, così come non sfigura il duo di amici nemici (Halsey e Southwood) e l'indiana Tolo. Dopo varie vicissitudini il finale è a sorpresa.
Ritorno (poco felice) al western dello specialista del brivido "all'amatriciana" Mario Bava. Siamo nel 1970 e il genere sta ormai virando verso la farsa alla Trinità ma, in questo caso, l'esperimento si rivela poco interessante. Pur riconoscendo il mestiere del regista, il film stenta a decollare; non manca qualche momento divertente in cui l'ironia di Bava si fa sentire. Niente di eccezionale.
Un western difficile da inquadrare e con poche armi a disposizione che gli consentano di lasciare un segno tangibile. In alcuni frangenti Bava sembra prendersi gioco del genere, ma lo fa in maniera talmente approssimata e banale da dare l’impressione che lui stesso ci creda poco. Lo si nota anche dalla qualità della sceneggiatura, sprovvista di idee e di rara sciatteria. A livello visivo non si registrano picchi memorabili, mentre si percepisce benissimo la pochezza dei mezzi a disposizione, dall’abuso degli zoom e dalle ambientazioni a dir poco scarne.
Scarso western del maestro Mario Bava che qui si diletta in una simil commedia comica dallo sfondo western. Tante sparatorie e meno scazzottate, alcune buone inquadrature registiche, gag in stile cartone animato, insomma un western anomalo. Tre uomini di cui uno russo sono alla ricerca di un tesoro nascosto: due hanno la mappa divisa in due, uno ce l'ha intera. A loro si unisce una prostituta indiana. Finale abbastanza prevedibile.
MEMORABILE: Il russo che salta in aria con la dinamite.
Bava parte dal classico spaghetti dando prograssivamente sempre più spazio al registro umoristico fino a trasformare il film in una vera e propria commedia con l'ingresso di Corrà. Malgrado qualche momento indovinato, l'opera lamenta la pochezza da low budget che costringe il regista a fare minutaggio con noiose lungaggini (il bordello) dal momento che la sceneggiatura è poco più che un abbozzo e le location sono farlocche in modo imbarazzante. A suo modo si distingue da altri prodotti simili, senza però elevarsi al di sopra della media del genere, invero piuttosto mediocre.
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Uscito (con audio italiano) negli USA per la Image (la cover campeggia nella pagina davinottica principale sul film), in Giappone per l'Avanz, e infine da noi per Hobby & Work, numero 20 della serie "Spaghetti Western"