Avventure picaresche di un gruppo di morti di fame in giro per campi e strade desolate della Toscana. La storia in realtà si apre a Roma, dove la coppia pasoliniana formata da Ninetto Davoli e Franco Citti vaga per un quartiere periferico svuotando l'immondizia alla ricerca di qualcosa di commestibile. Finiscono in prigione per intralcio del traffico (guardavano il cielo portando i passanti a fare lo stesso) e lì vi incontrano Benigni (che chiamano subito “il maestro” per l'abilità con cui consuma i pasti e sparisce prima di pagare il conto al ristorante). Sfruttando la genialità del loro nuovo amico riescono a cenare a sbafo, ma la notte, sistematisi...Leggi tutto in un vagone abbandonato, vengono agganciati da un treno per la Toscana e si svegliano a Poggibonsi, dove subito Benigni li porta da una supposta vecchia conoscente che pare proprio non ricordarsi di lui. Qui si chiude la prima delle tre puntate (di circa 55 minuti ciascuna) di questa surreale fiction diretta da Sergio Citti, pasoliniana fino al midollo. La seconda si apre con i tre “eroi” alla ricerca di una trattoria chiamata “I cacciatori”. Dopo 15 chilometri percorsi a piedi tra le colline toscane la trovano accorgendosi che forse sparire senza aver pagato il conto non sarebbe la scelta migliore: i proprietari (uno è Carlo Monni) prendono le ordinazioni con il fucile in mano e la via di fuga non esiste! I tre decidono di restare a digiuno e di rimettersi in cammino. Cominciano così una serie di incontri “on the road” con personaggi più o meno buffi destinati tutti ad aggregarsi al gruppo in cerca di cibo. Finiranno legati a un palo con la prospettiva di essere torturati da un gruppo di donne inferocite, visiteranno la magione di un ricco marchese (Antonino Faà Di Bruno) ossessionato dall'idea di essere avvelenato (tra la fine della seconda e l'inizio della terza puntata) e decideranno - allo stremo delle forze - di sfamarsi d'aria in una trattoria abbandonata inscenando un finto pranzo luculliano. Ci sarà spazio ancora per una lavanda gastrica di gruppo (per aver mangiato terra!) e per una lunga processione finale a seguito di un bizzarro santone (Giorgio Gaber) conosciuto in ospedale. La prima parte dell'avventura è la più interessante, mentre quando i personaggi in ballo si assommano incessantemente, la storia perde di smalto per assestarsi qualitativamente su di un livello modesto: troppo ripetitiva e stanca (esiste anche una versione cinematografica che concentra i 165’ in 105’), si giova del tocco surreale di Citti e di un'attenta direzione del cast (Benigni, all'epoca non certo una celebrità, è molto contenuto cedendo spesso la scena ai più esuberanti Citti e Davoli). Non diverte molto né intende farlo; è semplicemente una sentita parabola - con alcune frasi centrate - sulla fame e gli affamati. Notevolissima la troupe: Piovani alle musiche (eccellente il tema portante), Ferretti alla scenografie, Spinotti alla fotografia. Comunque una fiction insolita e ben realizzata.
Consulente di Pasolini e forte influenza nel trovare la Roma vera, Citti realizzò un bellissimo film per la tv in due puntate, questo "Minestrone" appunto. Benigni era ancora in stato di grazia; Citti e Davoli pasolinianamente, come in Uccellacci e uccellini, si concedono questo on the road per l'Italia tra fame, fughe, avventure. Un regista outsider genuino, maestro nel racconto della vita. Da recuperare.
Due sottoproletari affamati raccolgono altri poveracci nella comune ricerca del cibo. Parabola picaresca col sapore dell'epica popolare. La ricerca porta i nostri eroi a perseguire uno scopo così materiale con ansia quasi mistica: ed è proprio qui, nel punto di contatto tra la "bassezza" dell'argomento e il "sublime assoluto" di questo viaggio quasi biblico, che prende forma lo strano fascino di questo film (visto in versione per il cinema) che sembra uscito dalla testa di un vecchio saggio delle novelle antiche. Da non vedere a digiuno...
Pur stagliandosi all'interno di una filmografia coerente, questo film di Citti mi è risultato indigesto. Lo stile è fieramente fuori tempo massimo, sfrondato dagli inserti neorealistici che avevano fatto grandi Ostia e Casotto. Ad ergersi rispetto agli altri elementi sono il surrealismo socialista (Benigni che vuole dividere in parti eguali il banchetto), la poetica pasoliniana di Uccellacci e uccellini e la metafora della fame resa cinema. Troppo tardi per un paese che si sente sazio, appagato, alle soglie di un decennio ottuso ed effimero.
Grosso errore di valutazione, aver snobbato Citti: è un Poeta. Con la P retoricamente maiuscola. Ergo amarissimo, terribilmente delicato e surreale al tempo stesso, si serve del dettaglio come cruna per l'universale. Come un Pasolini meno greve, dallo sguardo più stupito, Bambino, letterale e ingenuo.Grande abbuffata polarizzata (la Fame è la miglior cuoca, e noi siamo il suo ingrediente) dalla durata un po' intimidatoria (tre ore) e con una Nicolodi intensa e calibrata come mai altrove. Tautologico? Yes, nondimeno nobiluomini di cinema di tale grado in italia ormai li vediamo col telescopio.
Si riconosce molta ispirazione pasoliniana tipica del regista, unita ovviamente ad una consolidata venatura comica affidata ad un cast di tutto rispetto: in primis spicca il Benigni che piace a me, quando non era troppo "impegnato" e sprizzava naturalezza espressiva, sincero e credibile. Non tutto è troppo fluido, purtroppo la voglia di concettualizzare, poetizzare e lasciar intendere (tra giostre di carri armati e pasti immaginati) ha i suoi punti deboli, ma il primo episodio considerato in sè lo considero un capolavoro. Che fame...
Mi raccontava mio nonno che da giovane aveva sempre fame, una fame che non sarebbe mai più riuscito a levarsi di dosso neanche con tutti gli abbacchi del mondo. Citti porta questa sensazione su pellicola e lo fa con il suo modo di fare cinema fantasticamente surreale ma al tempo stesso molto terreno, capace di cogliere l'essenza del mondo e dell'umanità dentro un piatto di spaghetti. Durata importante, qualche momento di stanca ma in tutta l'opera si respira arte (Magritte, Ensor, Borges) e cinema (Buñuel, Bergman, PPP). Ci manchi Sergio.
MEMORABILE: "E tu dove abiti" "Mah un po' de qua e un po' de là" "Ah e tu?" "De fronte a lui"; "E tu come la pensi?" "Come te" "Come me?" "Anzi pure mejo de te".
Amo questo film visto (almeno 100 volte) nella versione divisa in tre parti per la televisione. Un film surreale dove vengono raccontate le vicissitudini di un gruppo di disperati in cerca perenne di cibo. Si comincia da due (Citti e Davoli) per poi pian piano diventare molti, forse troppi. Benigni, il maestro del "vento", in una delle sue interpretazioni migliori dove, fortunatamente, non strafa come d'abitudine. Mitico Gaber nella parte di una specie di predicatore con flebo al braccio. Colonna sonora diretta da un eccezionale Piovani.
MEMORABILE: Giovannino (Davoli) che sogna di vincere la gara mondiale di mangiatore di spaghetti con commento di Giampiero Galeazzi.
Tre morti di fame, in una sorta di pellegrinaggio verso un cibo che si allontana in continuazione, attraversano una parte dell'Italia e ne conoscono altri ancora, nelle più disparate situazioni. Il primo episodio già di per sé potrebbe essere conclusivo, ma la storia si consuma ulteriormente in altri due, perdendo in efficacia simbolica. Lo stile surreale sta ben dentro le corde sia di Benigni che di Ninetto Davoli, entrambi dalla recitazione spontanea (dotta l'una, popolana l'altra). Pasolini ha acquistato humor.
Sorta di apologo sulla fame realizzato da Citti che parte dalla lezione del suo maestro Pasolini, di cui riprende due attori storici (il fratello Franco e Davoli) oltre che una parte del cast tecnico. La vicenda monotematica e la lunga durata della versione televisiva mitigano il messaggio sociale (che appare oggi per molti versi superato) mentre le eccessive lungaggini di alcune scene tolgono ritmo al racconto, sceneggiato in modo non sempre impeccabile. Il cast si adegua con qualche forzatura allo spirito del regista, ma i momenti memorabili sono pochi e il capolavoro è lontano.
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Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv, della prima parte (martedì 15 gennaio 1985 ) di Il minestrone:
B. Legnani ebbe a dire: Esiste anche un'edizione per il cinema di 104', che passa su RAITRE nella notte fra il 24 e il 25 gennaio.
Come gestiamo la cosa? Infatti...
DiscussioneZender • 9/07/19 07:54 Capo scrivano - 48841 interventi
Zender ebbe a dire: Si può commentare qui specificando la cosa. E come detto...
HomevideoZender • 26/02/24 15:23 Capo scrivano - 48841 interventi
Uscì dapprima nei cinema (nel 1981) la versione ridotta di 104' e solo successivamente, dal 15 gennaio 1985 per tre serate su Raiuno, la versione televisiva lunga in tre puntate, come appunto scrive anche La Stampa.