Viaggio nell'inferno metropolitano con (im)possibilità di ritorno
Praticamente la Ramsay fa un ripasso generale su certo cinema nero cittadino, comincia da Scorsese, lambisce lo Schrader dei gironi infernali, passa per Ferrara e arriva in zona Glickenhaus (
Exterminator è il titolo che più mi è balzato in mente durante la visione) sondando, a suo modo, tutte le derive del b-movie ottantiano del reduce di guerra che diventa giustiziere della notte), filtrandolo con il cinema autoriale prossimo a Refn. Lo script è minimale, ma il girato è trascinante e, a volte, mozzafiato.
Intriso di squallore e miserie umane, dove l'immenso e corposo Joaquin Phoenix ne è il simbolo catartico (la madre anziana e decrepita, le manie suicide, i dolorosi flashback sugli abusi fisici e psicologici del padre, i crudeli ricordi di guerra o di quando era un poliziotto, il grigiore di una vita borderline), male di vivere che sfoga nel suo lavoro di sicario, menando martellate a destra e a manca, dove la liberazione di una "pretty baby" in mano agli orchi, diventa questione di vita e redenzione per quando arriverà-forse-quel giorno bellissimo che le è stato negato per tutta la sua esistenza.
La Ramsay, dopo aver parlato di Kevin (e che ora, senza fronzoli, parla di Joe), si getta nelle notti al neon e nel disagio mentale, sprofondando nel sangue, per arrivare al bellissimo e tesissimo pre finale nella villa del governatore con la passione per le ragazzine, tra foto di adolescenti feticisticamente conservate, case di bambola, gole squarciate e rasoi insanguinati.
Mani spappolate alla
Django, poliziotti violenti che sparano a bruciapelo e imbrattano di sangue la faccia del nuovo messia, esecuzioni silenti e implacabili, denti strappati con la tenaglia in un lurido vicolo della città e il cervello che schizza al tavolo di un dinner dopo essersi sparato in bocca, in una sequenza onirico/surreale di grande potenza espressiva.
Ma la Ramsay non è solo ambaradan belluino di stragi e mattanze, è anche poesia e toccante profondità (l'immersione jordaniana nel lago con il cadavere della madre-con le ciocche di capelli che si librano sott'acqua e escono dal sacco- e la visione di Nina, l'agonia dell'agente governativo nella cucina di Joe, la canzone cantata insieme, le mani che si stringono e la dolorosa sequenza della foto con lo smartphone alle ragazze orientali, che riporta a lancinanti flash del protagonista)
In guerra (dove i soldati ballano tra loro come i repubblichini nel finale di
Salò) i ragazzini uccidono altri ragazzini per una barretta di cioccolato, Joe ragazzino abusato e cavia di un padre psicopatico, le ragazzine oggetti sessuali di una lobby potentissima, dove il tema dell'adolescenza (cara alla regista scozzese) si moltiplica al cubo
Joe che vive di visioni continue (l'enigmatica ragazza tumefatta che lo spia tra le colonne della metro, immaginando Nina preda e giocattolo sessuale nelle mani del padre, le allucinazioni multiple nella villa del governatore), antieroe che passa tra saune e caramelle colorate, fino a pestare i piedi ai pedofili sbagliati, innescando una girandola di morte e vendetta che non risparmia nessuno, nemmeno l'anziana madre)
Potentissima la musica di Jonny Greenwood che avvolge e ipnotizza
Unica nota stonata , la discutibile scelta registica della Ramsay di mostrate l'entrata di Joe nell'edificio , per liberare Nina, visto dalle telecamere di sorveglianza (martellate sulla capoccia comprese) che va a togliere un pò il pathos e il coinvolgimento emotivo.
Per il resto puro cinema di pancia, tanto stilizzato quanto incancrenito, di cui, per una volta tanto, si auspica un happy end per quel tanto agognato beautiful day sulle bellissime note di
Angel baby
McCleary ha detto che sei brutale
Posso esserlo...