L'andamento è un po' sonnacchioso e qualche volta si gira a vuoto per le desolate e squallide stanze del motel (pochissimi esterni, quasi tutto girato praticamente nello stabile in via di abbandono) dove pare, in prima istanza, che l'autore di
The sacrament abbia poco o nulla da raccontare. Ma Ti West sa muovere virtuosamente la macchina da presa in uno spazio soffocante, angusto e claustrofobico, dove non stonano nemmeno i frangenti da commedia, soprattutto per quanto riguarda il personaggio della Paxton (si butta sul letto e si toglie le scarpe, porta fuori il sacco dell'umido e litiga con il cassonetto, racconta storie di fantasmi al ragazzino con disapprovazione della madre, si fa beccare in maglietta e si copre le pudenda, si mette a fare gli scherzoni travestendosi da "fantasma formaggina", i buffi battibecchi con il suo collega nerdone con cui gioca a fare l'acchiappafantasmi), dove West tratteggia il tutto con realismo e un'approccio al genere assolutamete personale (lo scantinato zeppo di cianfrusaglie, la vecchiaia e il vecchiume torneranno in
X).
Un po'
Poltergeist con atmosfere decadenti non dissimili dall'
Aldilà fulciano, le parche ma agghiaccianti apparizioni fantasmatiche (la sposa in necrosi, il vecchio nudo e sanguinante, che ritorna ciclico dopo il suicidio nella vasca da bagno) e un finale ambiguo e oscuro (l'amara e inaspettata dipartita, la McGillis che guarda fuori dalla finestra, la porta della stanza simil
Ballata macabra che si chiude improvvisamente) fanno della "ghost story" westiana un ritorno al classicismo degli
Invasati, dove quello che conta è la coltre di mistero impalpabile e il mesto declino del motel, eliminando gli orpelli teen delle produzioni BlumHouse.
Bellissimo e intenso, poi, lo score di Jeff Grace.
Per Ti West la paura è un albergo sul viale del tramonto.