Unico opus della filmografia Bergmaniana a fare in pratica corpo "a sè", una sorta di film sperimentale nel quale uno dei più grandi registi di sempre si mette alla prova tentando strade nuove, diverse. A grandi linee la storia è semplice: un'infermiera viene incaricata di accudire la sig.ra Elizabeth Vogler, che -ricoverata in una clinica psichiatrica- si rifiuta ormai da mesi di comunicare con chiunque, essendosi rinchiusa nel silenzio più completo. Tra le due donne si instaurerà un rapporto particolare...
Il film è esteticamente perfetto. La cruda bellezza del mare del nord, due donne bellissime che si fronteggiano, si cercano, si scambiano, a momenti si fondono in un solo volto. La musica tesa e a volte straziante, che fa da sottofondo, e da intervallo, a monologhi crudi e a volte verbosi, che tentano di analizzare l'inspiegabile, di far comprendere l'incomprensibile, di riconciliare ciò che si è con ciò che mostriamo agli altri. Un film più bello da guardare che da ascoltare.
MEMORABILE: Le mani delle due protagoniste, spesso al centro delle scene più drammatiche ed intense del film.
Uno dei capolavori del maestro svedese, visivamente sbalorditivo grazie al superbo lavoro di Sven Nykvist, che ci ricorda quant'è bello il bianco e nero, quando è fatto bene. Lavoro sui volti che surclassa quello di Dreyer nella sua Giovanna d'Arco, montaggio nervoso, narrazione anti-classica: Bergman si sbilancia molto, sorretto da due attrici magnifiche (passerà dall'una all'altra anche nella vita) in ruoli antitetici ma complementari. Applausi tonanti a Maria Pia Di Meo, voce italiana della logorroica Bibi Andersson.
Con a disposizione un paio di interni, qualche esterno generico e due attrici (al di là di qualsiasi sperticata lode) Bergman realizza il suo capolavoro: una lotta senza esclusione di colpi tra due (?) anime tormentate, condotta con un encomiabile rigore, in totale rispetto per lo spettatore (nessun cedimento nel ritmo, durata onesta) e con la capacità di non arretrare quando lo scontro inizia a tracciare solchi profondi e irreversibili. Notevole cornice sperimentale tra mani inchiodate e erezioni subliminali. E siamo nel '66. Capolavoro assoluto.
Poderoso racconto che Bergman condisce di immagini alla Bunuel e fissità dreyeriane. Fulcro centrale è l'inversione di ruoli tra chi è malato e chi assiste, che le attrici rendono molto bene. Il mutismo come arma di difesa diventa il grimaldello per minare l'apparente serenità dell'infermiera. Da ricordare la doppia ripresa del discorso finale, dai due punti di vista diversi. Film angosciosamente moderno.
Paziente ed infermiera degenti: una fagocitazione reciproca condurrà ad un’osmosi dalle connotazioni vampiresche. Regia maestosa, sperimentale, vigorosa. Per mezzo di una reiterata associazione di idee Bergman carnifica l’aleatorio inconscio. Artifici al minimo: la magniloquenza delle due attrici, l’immortalità e la fissità dei loro volti che si scrutano in un b/n magistrale, sono il fulcro. Pur rappresentando l’incomunicabilità, diviene appena prolisso, dimostrando maggiore incisività nelle sequenze mute (quella clou della visita notturna di Eli ad Alma).
Un'attrice che non parla e un'infermiera che si confida: relazione conflittuale o ricongiunzione di un'unica identità scissa? È misterioso e sottile questo film che racconta di una donna in fuga dalla vita e di un'altra che scopre le sue fragilità. Ciascuna sincera e al tempo stesso maschera ("persona" in latino) indagata in primissimi piani, perché la vita stessa è rappresentazione (e lo è anche quest'opera, come si vede dai pezzi metafilmici). Da lode la cura visiva calligrafica in un folgorante b/n e le strepitose attrici.
Dopo una tra le più belle sequenze iniziali della storia del cinema parte uno dei film più sottilmente sconvolgenti mai visti; vuoi la trama semplice ma inquietante o la resa filmica in cui il bianco e nero e l'approccio sperimentale straniano lo spettatore portando l'alto livello psicologico dei dialoghi anche ai nostri occhi, fatto sta che ci troviamo di fronte ad un capolavoro; non facile, ma bellissimo.
Affascinante, ambiguo, criptico, denso, difficile ed emoziante studio di donna/e di cui Bergman scandaglia sapientemente l'animo e la psiche lasciando più di un dubbio allo spettatore. E' la radiografia di un conflitto o il ricongiungimento di due facce della stessa medaglia? Liv Ullman e la Anderson sono padroni assolute della scena e "gareggiano nell'esprimere l'inesprimibile, tagliando insieme il traguardo"(Mereghetti dixit). Eccelsa (niente di nuovo all'orizzonte) la fotografia del maestro Sven Nykvist. Notevole anche la colonna sonora.
Mezzo capolavoro di Ingmar Bergman. Surreale. Un duo di attrici: una è al limite del logorroico, l'altra è sempre muta. Bibi Andersson bravissima, ma Liv Ullmann silenziosa è (forse) ancora meglio. Grande regia. Inquietante e affascinante.
Siamo ai limiti della fusione tra il linguaggio cinematografico e la psicologia, intesa come studio della mente e della personalità dei personaggi. Bergman disegna queste due donne estremamente diverse e alla fine le fa combaciare, il tutto condito dalle varie chicche metacinematografiche che, a parer mio, funzionano solo se è un grande artista affermato a proporle sullo schermo. Divino il bianco e nero di Sven Nykvist e mi associo ai complimenti alla doppiatrice italiana della Andersson, Maria Pia Di Meo.
Le angosce e le paure sedimentate nell'animo, disegnate esemplificate sviscerate dalla maestria di Bergman. Due donne così diverse e così complementari a confronto: l'una soggiogata dal mutismo, l'altra alle prese con la propria coscienza e le proprie scelte di vita. Le disillusioni che si contrappongono alle domande, le illusioni che permeano i rimpianti, le certezze e le responsabilità che si sgretolano e si addizionano al tempo stesso. È così che l'autore svedese costruisce il suo immenso ritratto di due profonde e sofferte crisi esistenziali.
MEMORABILE: La fotografia di Nykvist; L'incipit; Il colloquio finale dai due punti di vista; Le stupefacenti prove attoriali di Liv Ullmann e Bibi Andersson.
Molto sperimentale, visionario e aulico. I primi cinque minuti con immagini che passano in un gioco di montaggio veloce rimangono scolpiti nella memoria. Un film molto avanti. Grandi prove di Liv Ullman e Bibi Andersson, volti tipici del cinema del regista svedese. Di breve durata, si regge piuttosto bene nonostante non sia certamente d'intrattenimento e si ha spesso l'idea di perdersi. Film che fa riflettere e pone molte domande cui spesso è difficile rispondere.
I temi trattati in questo stranissimo film di Bergman sono molteplici e tutti di estremo interesse: il più rilevante è senza dubbio l'argomento filosofico esistenzialista in cui si possono rintracciare le teorie sull'angoscia del filosofo danese Kierkegaard. L'attrice che perde volontariamente l'uso della parola, ridendo dinnanzi alla vita, è come se decidesse di innalzarsi a uno stadio superiore evitando di rimanere ancorata alla vita terrena. L'impresa, comunque, non risulterà delle più facili. Arduo, ma immenso.
Senza dubbio uno dei dieci film che porterei su un'isola deserta. La perfezione assoluta che non rimane fredda e chirurgica ma che riscalda il cuore. Narrazione magnifica, colta, ipnotica con dialoghi arditi e coraggiosi per l'epoca (da vedere rigorosamente con i sottotitoli) e una regia illuminante e geniale. La prova delle attrici è commovente ed è difficile scegliere chi è la migliore. Tecnica da leccarsi i baffi con una fotografia che va oltre il sublime. Scenedere nel dettaglio del messaggio significherebbe rovinare la visione. Immenso.
MEMORABILE: Il racconto dell'orgia, meraviglioso e coraggioso per un film del 1966.
Il film più moderno e sperimentale di un Maestro: Bergman assimila l'antica lezione del surrealismo e la traduce in un contesto iperrealista e minimale. Un kammerspiel in riva al mare, non cambia nulla anche se la porta non è chiusa a chiave; un duetto fra due donne che si presentano in antitesi (una bruna e una bionda, una muta e una logorroica) per poi finire a confondersi trovando l'una nell'altra la propria nemesi. Il troppo stroppia e di alcuni ammiccamenti intellettualistici si poteva fare a meno: sarebbe già stato lo stesso un gran film.
MEMORABILE: La fotografia in B/N è da urlo, ma il primo piano sul volto asimmetrico delle due protagoniste in una vale da solo l'intero film.
Attrice chiusa nel silenzio viene assistita da un'infermiera in una casa al mare. Diverse chiavi di lettura per dichiarare che solo nella paura non si hanno maschere (la finta nel tirare l’acqua bollente) e che i rapporti interpersonali si logorano. Scenografie all’osso per puntare solo sulle espressioni facciali e miscelare i ruoli in una simbiosi crescente. Interessante anche per il passaggio dalla curiosità verso il diverso (afasico) alla distruzione del rapporto. La Andersson meglio della Ullmann. Fotografia eccezionale.
MEMORABILE: La Ullmann che fotografa in mdp; "Odori di sonno e pianto"; L’inquadratura con l’ombra sulla metà del viso.
Un'attrice teatrale che non parla più, una giovane infermiera che parla troppo, un rapporto simbiotico in cui l'una pare rispecchiarsi nell'altra in un gioco ambiguo ed estenuante, finché una lettera rompe l'incantesimo e ciascuna torna al proprio posto. Spesso indicata come l'opera più sperimentale del regista, un film impegnativo, programmaticamente "freddo" ma nello stesso tempo conturbante, sottilmente sadiano, al cui fascino ipnotico contribuiscono in maniera decisive le prove intense delle due attrici, la bellezza rarefatta delle inquadrature, la fotografia di Sven Nykvist.
Bergman, grazie alla sua splendida maniera di raccontare il dramma interiore dei suoi personaggi, riesce a regalare emozioni purissime, aiutato dalle stupefacenti interpretazioni della Andersson e della Ullmann, le quali superano loro stesse. Mille interpretazioni si possono dare a quest'opera viscerale, ma risulta difficile trovare le parole giuste dopo una visione ricca di coinvolgimento e stupore; più semplice parlare della fotografia come al solito magistrale, dei volti metà opachi metà splendenti delle due protagoniste, dei dialoghi meravigliosi scritti dallo stesso regista.
Dopo un incipit dal montaggio d'avanguardia russa, Bergman si muove verso una storia solo in apparenza più lineare, che si rivela una spirale di enigmi e ambienti metafisici, un "teorema" di cui non sono svelate le ipotesi. Poi, un rapido finale che riprende la sperimentalità dell'incipit, come rapida summa della cinematografia del regista. Le riflessioni esistenzialistiche possono forse non soddisfare tutti, mentre aveva ragione Moravia: le punte del film sono gli spezzoni muti, più puri e toccanti, a un passo dal sublime. Attrici eccezionali, bianco e nero strepitoso.
MEMORABILE: Le riprese mute dei volti delle attrici, travolgenti fino quasi a toccare l'insopportabilità.
Pièce teatrale in tre atti per pizze esaurite di pellicola, bruciature di sigaretta ed erezioni falliche: la dea ex machina fuori campo, la mutacica, la chiacchierona, il bambino abortito e quello mai voluto, la maschera sociale e quella da palcoscenico, uno stordente tappeto dialogico che nella condivisione di un'immane sofferenza esistenziale (e nel desiderio sempre represso di essere, o sembrare perlomeno di essere, altro da ciò che si è veramente) sembra trovare il proprio fil rouge. Bergman sperimentale, corrosivo, impetuoso, con fotografia e O.S.T. eccellenze assolute.
MEMORABILE: I titoli di testa; Una confessione alcolica; Inseguimento in riva al mare; Il finale.
Svezia 1966: Elizabeth Vogler, celebre attrice di teatro, smette di parlare. Non ha nessun disturbo fisico o psicologico. Prova orrore difronte al male del mondo o di fronte alla sua mancanza di amore? Viene affidata ad una infermiera che le racconta tutto di lei. Eccellente regia e ottima la recitazione delle due attrici. Si esplora il tema psicologico del doppio con qualche tratto crudele. D'effetto la fotografia in bianco e nero.
L'attrice malata e l'infermiera, gli antipodi della personalità centrale. Gli estremi che si annullano per dare il centro, l'equilibrio. La bellezza delle immagini, quando si sovrappongono le due protagoniste, ci restituisce la chiave di lettura del capolavoro di Bergman. La quadratura. E' di una bellezza tanto delicata quanto brutale e sensoriale, da vedere e godere più e più volte ognuna delle quali potrebbe portare a una conclusione diversa. Per il 1966 raccontare una scena di sesso orgiastico così come fa una delle due protagoniste è rivoluzione allo stato puro. Essenziale.
Esteticamente modernissimo, grazie all'incredibile fotografia di Nykvist, "Persona" è una delle opere più sperimentali di Bergman, a partire dall'introduzione psichedelica in cui è inserito perfino un pene in erezione. In scena due attrici, ma non necessariamente due persone. Tagli di luce sui corpi e sui volti che lasciano incantati, mentre l'infermiera sciorina un aneddoto estremamente spinto (da guardare coi sottotitoli perché stracensurato nel doppiaggio) o il dramma di un aborto. L'altra, muta per tutto il film, esprime tutto con lo sguardo, così come noi spettatori.
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Mesi fa vidi un film intitolato Daisy Diamond nel corso del quale tale capolavoro di Bergman era citato in più occasioni. Veniva ripreso più volte il momento in cui la Andersson racconta di aver partecipato ad un'orgia occasionale mentre prendeva il sole con un'amica. Quando in tali scene di Daisy Diamond sentivo parlare di penetrazioni, "venire dentro", ragazzi che si masturbano, orgasmi e via dicendo, pensavo si trattasse di una citazione hardizzata del film di Bergman, magari per adattare i toni a quelli del nuovo film.
Oggi pomeriggio, visionando Persona in sala in originale coi sottotitoli in francese, mi rendo conto che dialoghi tanto arditi erano già presenti in Bergman! Avevo visto il film la prima volta doppiato su Rai3, poi un paio di volte in dvd e in sala (in pellicola) in originale coi sottotitoli in italiano (meno edulcorati del doppiaggio, e infatti pensavo si trattasse della traduzione letterale), ma in nessuna di tali versioni erano presenti segni che lasciassero presagire un simile stravolgimento. In originale le parole sono davvero esplicite e conturbanti, e non a caso me le sono godute in mezzo ai colpetti di tosse del pubblico.
Tutto questo discorso per consigliare, a chi ha visionato il film in italiano o con sottotitoli in italiano, di recuperare un'edizione filologica (qualcosa mi pare sia uscito in dvd edito dalla Cineteca di Bologna) o dei sottotitoli accettabili, in quanto certi passaggi del film risultano stravoltissimi nelle edizioni nostrane, suppur uncut a livello di metraggio (eccetto la copia censura italiana, tagliata nel prologo).
DiscussioneDaniela • 22/03/14 14:46 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Persona è uno dei film di Bergman che mi hanno lasciato più perplessa ma anche affascinata quando lo vidi, ormai parecchi anni fa - non avevo idea che fosse stato operato un tale stravolgimento dei dialoghi che, in un film di questo genere, sono fondamentali. Quanto scrive Deepred88 fornisce un ottimo motivo per una re-visione, sperando di trovare una versione più fedele....
Le nuove edizioni dei film di Bergman curate dalla Cineteca di Bologna presentano le edizioni restaurate ed integrali, con sottotitoli filologici e non le trascrizioni dei dialoghi italiani come nei precedenti dvd Bim.
È cosa abbastanza nota che all'epoca in Italia sui film di Bergman sono state operate moltissime censure sia attraverso i tagli che attraverso il doppiaggio (come ne Il settimo sigillo e appunto Persona). Ma credo che i più massacrati furono Il silenzio, Monica e il desiderio, La fontana della vergine.
DiscussioneDaniela • 22/03/14 21:40 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Rebis ebbe a dire: Le nuove edizioni dei film di Bergman curate dalla Cineteca di Bologna presentano le edizioni restaurate ed integrali, con sottotitoli filologici e non le trascrizioni dei dialoghi italiani come nei precedenti dvd Bim.
È cosa abbastanza nota che all'epoca in Italia sui film di Bergman sono state operate moltissime censure (...)
La vecchia edizione Bim in Dvd presenta il film in versione integrale ma i sottotitoli per la versione in lingua originale trascrivono il doppiaggio italiano che è notoriamente censuratissimo. La nuova edizione curata dalla Cineteca di Bologna presenta il film con lo stesso master video ma con i sottotitoli coerenti con la lingua originale: un discreto shock per chi lo ha sempre visto in italiano.
CuriositàZender • 18/02/18 19:06 Capo scrivano - 48848 interventi
Dalla collezione "Sorprese d'epoca Zender" il flano del film: