Ennesimo dei tanti proseliti del capolavoro Gomorra, questa Paranza dei bambini riesce, senza urlare troppo, a catturare la tragedia di certa gioventù costretta - per cecità altrui, assistendo a quello che gli succede ogni giorno attorno - a delinquere senza motivo, oltre ogni umana comprensione. Scremando qualche strappo di sceneggiatura con passaggi affrettati e una referenzialità troppo votata allo spettacolo coatto, rimane un’altra testimonianza sulle dinamiche di un paese piegato sotto i colpi di un fuoco che brucia ogni prospettiva futura.
Una banda di ragazzini poco più che adolescenti entra nel giro della camorra per riappropriarsi del proprio quartiere. Tratto dal primo romanzo completamente inventato di Roberto Saviano, il film si propone come possibile spaccato di una realtà dei bassifondi di Napoli. Diretto con maestria e ottimo stile, ben amalgamato alla sceneggiatura. Niente male il folto cast, che risulta credibile dall'inizio alla fine. Si sarebbe apprezato un finale meno "tronco".
MEMORABILE: L'attentato a Carminiello, che finisce con una sonora figuraccia.
Piccolo Gomorra in erba (in tutti i sensi) che indaga con verità e freschezza sulle suggestioni che la criminalità esercita sui più giovani, assumenendo come perno un sistema di valori di cui è necessario non vergognarsi per comprenderne il radicamento sociale. Gli attori, per lo più non professionisti, diretti dall'ottimo Giovannesi, filano via come in un videoclip di Francesco Lettieri e ci regalano una struggente gamma di episodi di vita, dove delinquenza e spacconeria riescono a non contrastare con la loro fondamentale purezza d'animo.
MEMORABILE: L'orda iniziale della paranza davanti al falò; L'estrema dolcezza della ceretta alle gambe di Nicola, verò must di giovanile napoletanità.
Un film di formazione. La sensazione di un futuro senza sbocchi può portare una banda di ragazzini a voler colmare il vuoto lasciato da una gerarchia criminale decimata dagli arresti: una scalata che nella loro fantasia è l'unica strada per raggiungere potere e soldi. Partito come un gioco, diventa una guerra vera, che travolgerà affetti e amicizie costringendoli in un ruolo che li accomuna a tutti i bambini soldato sparsi per il mondo. Meno didascalico di Gomorra, un City of God made in Italy.
Sono ormai undici anni che l'uscita del film di Garrone ha segnato un confine creando un vero e proprio genere e alimentando innumerevoli sottoprodotti. Anche questo La paranza viene da un romanzo di Saviano, scrittore che continua a instillare nella gente che non conosce le vere dinamiche di Napoli la sensazione che tutto questo sia realtà colata. Non che a Napoli sia tutto rose e fiori, ma si ha l'impressione che le problematiche vere lascino il posto al folklore. Non come è davvero, ma come la gente immagina che sia. Risibile e con un cast deludente.
Chi teme di assistere a una scopiazzatura di Gomorra rimarrà sorpreso dalla vitalità e compattezza dell'insieme, assemblato con bravura da Giovannesi con il solito gruppo di attori non professionisti che non perde mai la bussola e poco ha da invidiare a quelli veri. Qualcosa o qualcuno non sarà approfondito a dovere ma sono due ore godibili senza ricorrere a pietismi o scene efferate. Di efferato c'è la trasformazione degli adolescenti, ma viene messa in scena con sfumature intelligenti, personaggi empatici e sufficiente credibilità.
L'estetica di riferimento è quella di Gomorra (che in fondo possiede la stessa matrice letteraria), ma Giovannesi approfondisce più l'aspetto sociologico che quello criminale, mostrandoci l'evoluzione umana di un gruppo di ragazzi dei quartieri popolari napoletani e il loro diventare adulti troppo in fretta. Non manca la spettacolarità cinematografica ben mescolata a momenti più intimistici e riflessivi. Gruppo di giovani attori ben scelto e ottimamente diretto.
Gruppo di ragazzini vuole imporsi sulla piazza del Rione Sanità. Qui non si parla di affiliazioni camorristiche ma del desiderio fai da te di arricchirsi utilizzando modelli entrati ormai alla radice del tessuto sociale. Stile registico già visto, vale come un approfondimento del versante giovanile della malavita napoletana. Seconda parte in cui ci si aspetta la resa dei conti; ha somiglianze con il finale di Little Odessa. Buona scelta del protagonista, mentre il resto del cast a volte sembra troppo impacciato per il ruolo di micropotere di cui dispone.
MEMORABILE: La polizia al matrimonio; L’acquisto dei mobili; Gli spari alle parabole sul tetto; Il travestimento da femmina; L’abbraccio della madre.
Ispirata da un libro di Saviano, la pellicola mostra una sfaccettatura forse lievemente esagerata degli adolescenti napoletani vicini alla malavita pesante. Nel complesso si assiste a un lavoro di buona fattura in cui i giovani interpreti appaiono egregi e alcuni situazioni rimangono impresse con validità. Finale tronco, ma è giusto che conduca lo spettatore alle sue conclusioni.
Ispirato alla vicenda del capoclan ragazzino Emanuele Sibillo (già alla base del romanzo di Saviano), il film riesce a evitare la pedissequa ripetizione degli ormai molti film venuti dopo il capostipite Gomorra. Merito dei protagonisti, ragazzi non professionisti diretti con grande efficacia e dell'attenzione degli sceneggiatori a non creare macchiette o mostri, raccontando una storia tragica nella sua apparente ordinarietà. Difficile realizzare qualcosa di veramente originale sul tema, ma il film merita attenzione.
MEMORABILE: I bambini che trovano il nascondiglio delle armi e cominciano a giocarci.
Faticando non poco per l'assenza di sottotitoli ci caliamo in una realtà già portata alle cronache dal capolavoro di Garrone anni fa. Questa pellicola non ha minimamente la forza di quella appaena già citata e sembra cedere il fianco a una visione più folkloristica che empatica, per quanto l'obiettivo sia proprio illustrarci l'aspetto emotivo degli adolescenti. Questi ultimi non riescono però a incidere a sufficienza, pur non risultando "farlocchi". Finale interessante.
Eccoci catapultati in una sorta di Gomorra baby in cui i giovani del quartiere del Rione Sanità cercano di prendere in mano di nuovo "il potere". Più che dalla realizzazione del film si viene colpiti dal suo contenuto e dal fatto che non si tratta di fantasia. La realtà è a volte inaccettabile come in questo caso e la sofferenza è tale da non poter essere descritta. Questo raccontato da Giovannesi/Saviano è un mondo che fa paura perché uccide quanto di buono e bello c'è nel candore dell'adolescenza.
Come autorevolmente (ma per una volta benevolmente) scritto da Fofi, il film di Giovannesi (e lo script di Saviano) ha il demerito di far vedere quel che ci si aspetta di vedere, mutuando stilemi hollywoodiani classici e più recenti edulcoramenti televisivi (a cominciare dalla scelta di un cast molto convinto ma poco convincente). Così, se a livello di "spettacolo" La paranza funziona, mostrando una precisa guida stilistica, sul piano della profondità prevalgono un epidermico coinvolgimento e un manierato claustrofobismo sociale. Da rivedere Certi bambini.
I bambini ci guardano, dal mirino di una semi-automatica. Ragazzi fuori di sé, ma non troppo: malati di gomorrea, granata alla mano, indugiano su dove scagliare e se la fanno scoppiare in faccia. Non deflagra altrettanto il film di Giovannesi, che anzi fa cilecca: un po' perché scialba risacca dei marosi di Sollima, molto perché lo scenario della monopolistica imprenditoria babycrime, spennellata a grandi righe da una sceneggiatura cui piace farla apocalitticamente facile e da una regia troppo introversa e inibita, stenta a occupare un posto nel neo-verismo e a farsi largo in sala.
Un gruppo di ragazzini sbandati, squattrinati e inesperti, vittime di una subcultura con scala di valori completamente capovolta, viene risucchiato nel vortice criminale delle lotte di conquista del territorio tra clan di camorristi di tutte le taglie, dove non esistono né amore, né amicizia, né Dio. Storia raccontata con inedito equilibrio con uso frequente di steadicam e camera a spalla, che esasperano il taglio documentaristico ma senza cadere mai nel tranello di accalappiare lo spettatore con voyeurismo gratuito e morboso.
MEMORABILE: Il boss pre-adolescente che litiga con il fratello minore per la crostatina sottratta.
Ragazzini che giocano a fare la guerra degli adulti senza il conforto della sospensione ludica dell'incredulità: adolescenti di rione cresciuti troppo in fretta, mitologie criminose tagliate un tanto al chilo, un romanzo di (de)formazione che di discesa in discesa certifica la deflagrazione del trauma. Stretto fra l'incudine del neo-noir verista e il martello del crime movie, il teso racconto di Giovannesi riesce comunque a vivere di vita propria, innervato dall'eccellente prova dei due giovani protagonisti (bello ed espressivo il volto di Viviana Aprea) e da un ritmo sostenuto.
MEMORABILE: Tensioni in discoteca; Rinascita e caduta di Don Vittorio (Carpentieri); Ultima cena al ristorante; Il finale.
Il racconto del gruppo di adolescenti che si fa strada nella malavita napoletana non ha il sapore del documentario né della cronaca, ma dell’epica e del mito, in un'epopea centrata sul giovane spavaldo e impunito che aggredisce la vita come un eroe omerico o come uno Scarface in erba in un far west mediterraneo. Il film segue il protagonista nella sua irresistibile ascesa, con un afflato da cupo poema romantico, attraversato da bagliori maledetti, come una cantata malinconicamente nichilista. Fascinosamente inquietante.
L'ennesimo capitolo di una storia legata al degrado, allo schifo, all'autodistruzione di una città malata; il capitolo in questione riguarda gli adolescenti che sin da quindicenni scalano i gradini della malavita e della camorra. Il film non dice niente di nuovo, i dialoghi sono al solito incomprensibili se non si è del posto e la sceneggiatura, la storia, è stucchevole quanto abbastanza inverosimile. Una "sceneggiata" napoletana.
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A chi interessa, penso che su Sky ondemand si trovi ancora il bel documentario su Emanuele Sibillo, ES17, il capoclan della vera paranza dei bambini.
Si intitola "Dio non manderà nessuno a salvarci".
Candidato al David di Donatello come miglior film e migliore regia.
DiscussioneRaremirko • 31/07/21 20:28 Capo call center Davinotti - 3861 interventi
Film coraggioso ma che, a detta dello stesso regista, non può/non vuole prendere posizione riguardo al mostrato (che tratta fatti negativi però, of course).
Sorta di Baby Gomorra, con bravi attori e più di una scena che riesce a far star male, in un mondo dove tutto è pretesto per litigare/menarsi.
Fa piacere vedere Aniello Arena di Reality e Dogman.
Un film discreto, discretamente fatto e girato, sul solito meridione italiano disastrato e non redimibile.
Film coraggioso ma che, a detta dello stesso regista, non può/non vuole prendere posizione riguardo al mostrato (che tratta fatti negativi però, of course).
Sorta di Baby Gomorra, con bravi attori e più di una scena che riesce a far star male, in un mondo dove tutto è pretesto per litigare/menarsi.
Fa piacere vedere Aniello Arena di Reality e Dogman.
Un film discreto, discretamente fatto e girato, sul solito meridione italiano disastrato e non redimibile.
Il regista trattandosi di fatti reali ne esprime la denuncia raccontandole. È già questa è una presa di posizione