L'eroina eponima, sempre in cerca di nuove esperienze sentimental-sessuali, è qui affidata alla rossa Erika Blanc, che si concede generosamente in eleganti nudi. Meritevoli soprattutto lo stile registico di Canevari, a base di zoom e primi piani, il montaggio di Messeri e la fotografia di Catozzo. I dialoghi sono pressochè superflui...
Pura tecnica fine a sé stessa. Rappresentare la noia di vivere senza diventare noiosi è molto difficile, ed infatti tolte poche sequenze si assiste ad un'inerte rappresentazione dell'andirivieni di Erika Blanc per Milano mentre si abbandona più volte alle braccia del primo venuto. Di sostanza, insomma, neanche a parlarne... ed i dialoghi sono spesso irritanti. Un film che dimostra ampiamente i suoi 40 anni, purtroppo.
Poco pertinente con l'intero lotto successivo di apocrifi italiani (quelli senza una emme nel nome) ha però il merito di anticipare persino l'Emmanuelle di Just Jaeckin, ispirato dagli scritti della Arsan ed interpretato da Sylvia Kristel. Erica Bianchi Colombatto riveste il ruolo di protagonista nel film di Canevari: disperata per l'assenza dell'amante la bella Emmanuelle cerca surrogati più o meno interessanti, passando per ben quattro letti diversi. Il rimorso la invade solo in seguito, quando apprende che l'uomo non si è presentato all'appuntamento perché deceduto in un tragico incidente.
Emblematico di una fase irripetibile del cinema italiano - quando erotismo, sperimentalismo e contestazione si intrecciavano con risultati spesso discutibili ma non privi di suggestione - il film di Canevari è interessante nelle soluzioni visive ma cade pesantemente sui dialoghi. Erika Blanc è splendida, peccato che la sceneggiatura la costringa a farneticanti soliloqui e a un insensato tour de force erotico fra maschi odiosi e ridoli. La bella fotografia di Claudio Catozzo ci regala ampi squarci di quella Milano tanto amata dal regista.
MEMORABILE: Il fricchettone-filosofo che vive in un tugurio: una figura ricorrente nel cinema italiano di quel periodo.
Film noiosissimo che di erotico ha davvero poco. Salvo solo le atmosfere e le ambientazioni tipicamente anni sessanta. Discreta colonna sonora, pessimo tutto il resto; pare che questo film anticipi la fortunata serie con la Crystal, senza ovviamente raggiungerla né sfiorarla in quanto a qualità. Mediocre.
Pellicola per certi versi paradigmatica del cinema erotico anni '60: sesso castigatissimo di cui fatichiamo a comprendere lo scandalo, dialoghi inascoltabili che tradiscono un attaccamento di fondo agli antichi "valori" che si pretende di sovvertire; ma d'altre parte anche velleità semiautoriali, intellettualismi alienati (o manierismi psichedelici travestiti da tali) nell'uso del montaggio e della musica. La Blanc, raramente protagonista, si segue volentieri. Bel quadretto d'epoca, benché immaginario, anzi: sull'immaginario di un'epoca.
MEMORABILE: Le riprese "rubate" di Erika Blanc tra la folla sui marciapiedi di una Milano anni '60 sono bellissime.
Intenso ritratto di una donna moderna in piena crisi valoriale che, alla disperata ricerca di un sublime bisogno di "tenerezza", finirà per perdersi negli angusti meandri di una società cinica e arida, scevra da qualsivoglia sembianza di purezza. Purtoppo (o per fortuna) siamo in pieno '68 e molti dei datatissimi dialoghi pseudo-intellettualoidi si fanno sentire non poco, contribuendo nel male e nel bene all'unicità della pellicola. Movimenti di macchina ipnotici e zoom ferocemente indagatori sono gli ingredienti base di una regia a dir poco oppiacea.
MEMORABILE: "L'amore non c'è e se ne è rimasto un grammo costa troppo. Vieni.. ti regalo il mio contatto, pelle contro pelle. E non c'è altro".
Emmanuelle, pallida, addolorata e fredda, è una madonna delle Sette Spade (o sette sfighe): un tronfio imbrattacarte, uno stilista idiota, un tossico filosofo che cucina Marcuse, una lesbica appiccicosa, un puttaniere aereoportuale, un caporedattore bolscevico e mammone, un innamorato morto. Una madonna in un tabernacolo al crocevia di strade piene di traffico e di tumulti, Milano alienata ma composita, piena di facce sfuocate o distorte, ma belle, tanto felicemente connotate da rendere superflui i quasi farneticanti dialoghi e i soporiferi monologhi. Bella istantanea di un attimo fuggente.
MEMORABILE: Adolfo Celi che fischietta "Bandiera Rossa" mentre lo medicano al Pronto Soccorso. La sequenza al ristorante, con gli inserti visivi e sonori.
Non posso dare un gran voto, perché se sono eccelse musica e fotografia, il film è di una noia infernale. Certo che verrebbe da chiedere ad una media di donne se ancora oggi cercano quel che la Blanc non trova nel film... Celi invece sforna in pochi minuti una marea di verità attualissime, prima di subire il bluff della catenina ed eclissarsi miseramente. Il giovincello e gli altri due son proprio dei bambocci integrali...
Si sarà capito che quelli che agli occhi dei più appaiono come difetti (e che probabilmente ad analizzarli in modo asettico lo sono senz'altro) al nostro gusto appaiono spezie decisive per quel certo sapore d'allora (di quell'allora) che ci fa amare follemente film del genere. Malgrado l'ampollosità, un cast non equilibratissimo, le non infrequenti scivolate nel ridicolo involontario (?). "Kitsch"? "Stile senza sostanza"? Averne, averne. Erika Blanc poi è meravigliosa, ma questo si sapeva.
MEMORABILE: La scena di (non)seduzione con Lia Barbieri
A livello tecnico non è male, ma non aspettatevi un film interessante dal punto di vista della sceneggiatura (schematica e ripetitiva); comunque oggi sono quei film irripetibili nati nel 68 e già dopo pochi anni datati. La Blanc è molto bella, meno il film (come del resto ci ha abituato Canevari).
Mezzo voto in più unicamente per il coraggioso sperimentalismo di Canevari, che toppa però in fase di sceneggiatura, lasciando nello spettatore un vago senso di incompiuto. Inevitabile chiedersi cosa sarebbe potuto essere questo film con dialoghi un po' più pregnanti, visto l'estremo interesse del soggetto e la bella presenza di Erika Blanc, perfetta per il ruolo. Ma era il '68 e Canevari faceva parte della corrente sperimentale del cinema italiano dell'epoca, un piccolo stuolo di audaci registi sprezzanti di ogni rischio.
Ha un suo culto, ma l'ho trovato terribile. Noioso e pretenzioso: e il suo essere pretenzioso lo rende ancora più noioso. La Blanc inalbera un'espressione, quella di chi è assalito da un ricordo stupito e vertiginoso e, per ordine di scuderia, non la molla quasi mai. Sorprendenti apparizioni di Paolo Ferrari e - soprattutto - di Adolfo Celi, il cui professionismo rende il film ancora più ridicolo. C'è un incredibile errore di montaggio (una donna prima si asciuga le mani e poi se le lava): non ditemi che è un messaggio, perché non ci credo.
Non si capisce bene cosa volesse esprimere Canevari; la vacua sceneggiatura vede la protagonista aggirarsi in stato confusionale, sedurre vari personaggi, riflettere tra sé e sé sull'amore, sulla vita, sulla morte... Il tutto nella cornice di un'uggiosa Milano, in piena contestazione da '68. Ogni tanto, tra un dialogo ridondante e l'altro, qualche spunto interessante c'è; si fanno apprezzare anche i consueti interni pop-art, le sinuose riprese intorno alla sfuggente Blank e il tema cantato da Mina. Un film curioso, figlio del momento storico.
MEMORABILE: Il segmento con Celi; Le passeggiate a Milano.
D'impronta totalmente differente dai film su Emmanuelle, è invece una pellicola che tratta un disagio esistenziale come il mal di vivere in maniera non ammorbante. Ci avevano provato in tanti (vedi Broken flowers o Una bellezza che non lascia scampo), ma Canevari è riuscito nell'impresa senza far pagare lo scotto all'incauto spettatore. Il film non è purtroppo molto scorrevole, ma Erika Blanc da sola vale una visione. In mancanza dell'amore Emmanuelle finirà in letti sbagliati, tra crisi d'angoscia e bisogni intimi da appagare.
L'"io" del titolo già materializza l'interiorità soggettiva; il volto e il corpo della Blank, frammentato e a volte sfuocato, pone in secondo piano l'audacia e viene privilegiato il ventre come fotogramma anatomico, fulcro sin dall'antichità dell'anima e dell'angoscia, la stessa che opprime l'uomo moderno schiavo dell'urbanizzazione e del consumismo. Il viaggio della Blank è quello dell'emancipazione femminile anche ideologica e la ricerca della tenerezza che gli uomini sono incapaci di trasmettere e che va oltre ogni presa di posizione politica.
MEMORABILE: Il dialogo silenzioso, separato da un vetro, tra la Blank e il bambino, simbolo della tenerezza mai trovata, racchiusa nell'infanzia.
Lo sperimentalismo a briglia sciolta (o quasi) dei '60: non sostenuto, però, da idee solide come acciaio. Forse c'è anche dell'improvvisazione che, per quanto potente nei lavori riusciti, emerge con forti stonature nei lavori poco o niente risolti. L'insieme è irrimediabilmente sbilenco: sequenze oggettivamente belle (o almeno interessanti) rischiano di essere sommerse da pericolose grossolanità; comunque: armati di curiosità cinefila e disposizione all'abbandono, si potrebbe apprezzare certa figuratività dei tempi della contestazione.
Il vagare di Erika Blanc in una Milano in preda al cemento e al consumismo è di una noia mortale. Si ragiona su tutto e su nulla: morte, amore, società. Il fatto è che l'aria pseudo-intellettuale del film si scontra con dialoghi di rara banalità che scadono spesso e volentieri nel ridicolo. La regia invece non è male, Cesare Canevari dimostra buona tecnica e discreta fantasia. Anche la musica si salva, ma il risultato è noioso e pretenzioso. Erika Blanc qui monoespressiva non aiuta, e la parte erotica è estremamente fiacca. Tempo sprecato.
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DiscussioneFauno • 16/06/11 13:14 Contratto a progetto - 2749 interventi
Ma no, Dandi...non c'è paragone fra i due film, solo che la Scott e la Pignatelli alzano il livello del secondo. e il discorso finale della Scott sull'inconciliabilità di certe tendenze è un bel po' rivelatore. Certo che è ben lontano dai 5 pallini del primo.
Ti ricordi le uscite di Celi nel giro di un paio di minuti in questo film?
"Spara, spara...impara a sparar sempre per primo"
"Questa nuova generazione di critici...vanno al cinema e si divertono, e poi presi dal rimorso ideologico non san cosa scrivere...Borghesi!"
Lasciando stare il Borghesi, qualche utente del sito ci dovrebbe meditare su...
"O la belva si affronta o è meglio cambiar strada"
"Il carbonizzato sull'autostrada.Oggi si corre, si corre e non ci si accorge che va tutto a rotoli...a piedi, a piedi, come noi che con i piedi abbiamo fatto la storia"
Il Gobbo ebbe a dire: Undying ebbe a dire: Alla base del film sta un testo scritto da Graziella Di Prospero: Disintegrazione 68
Ma esiste davvero? Si trova?
Non saprei se lo si può rintracciare, ma varie fonti attribuiscono al racconto di Graziella di Prospero il soggetto del film.
Se ben ricordo i crediti sono anche nei titoli del film... cosa però da verificare.
Zender ebbe a dire: Non si posson far domande in curiosità. Sposto qui e chiamo Undying. Pardon.
Sì Undying, nei titoli è citato, ma non si trovano tracce di libri di costei a parte uno (però di poco posteriore, ma non vorrebbe dire) dal titolo Sex+Amo=Sesamo (sic), chissà se ne fa parte
DiscussioneZender • 1/08/12 09:31 Capo scrivano - 48353 interventi
Curiosa 'sta cosa... Una citazione nei titoli inventata mi pare veramente strano però. Di una scrittrice esistente poi. Sarà semplicemente un titolo completamente dimenticato e sfuggito a chi scrive su internet.
Non si dovrebbe trattare di un libro, ma di un racconto. Probabilmente apparso in appendice a qualche rivista dell'epoca, e quindi per questo oggi - quasi - introvabile.
Caesars ebbe a dire in CURIOSITA': SU FilmTv viene riportato, a proposito di questa pellicola, che "A suo tempo un critico scrisse: Il particolare più espressivo di Erika Blanc è l'ombelico."
Aveva ragione. Canevari la obbliga a tenere un'espressione unica per tutto il film...